venerdì 30 ottobre 2009

Clochard trovato cadavere

29 ottobre 2009 - Secolo xix

A Sanremo, un senzatetto è stato trovato morto in un casolare abbandonato nelle vicinanze di villa Helios: a nulla sono serviti i soccorsi, perché al loro arrivo l’uomo era già cadavere.

giovedì 22 ottobre 2009

Clochard, sarà l' inverno più lungo

Repubblica — 16 ottobre 2009 pagina 9 sezione: MILANO

«IL PACCHETTO sicurezza mette a rischio la vita e i diritti fondamentali dei senzatetto. E chi fra loro non ha i documenti, piuttosto che rischiare la denuncia, resterà a morire di freddo in strada». L' allarme arriva dalle organizzazioni del volontariato, alla vigilia della decima edizione della "Notte dei senza dimora", prevista oggi dalle 20.30 in piazza Santo Stefano, in contemporanea con altre 12 città italiane. Nella Milano che l' inverno scorso, nei soli mesi da dicembre a febbraio, vide morire assiderati otto clochard, le condizioni di vita di chi non ha casa rischiano di diventare ancor più aspre, dopo l' approvazione del decreto sicurezza. Quella legge contiene nuove norme che rendono impossibile chiedere al Comune - come avviene oggi attraverso la collaborazione del terzo settore - l' iscrizione all' anagrafe,e quindi l' accesso ai servizi sanitari e sociali. Inoltre è scattato anche il reato di immigrazione clandestina, con il relativo obbligo di denuncia, pena l' accusa di favoreggiamento. Per questo ieri i volontari, che vanno di notte a portare conforto ai clochard milanesi, hanno fatto appello al ministro dell' Interno Roberto Maroni affinché nel regolamento attuativo del decreto tolga i vincoli che renderebbero difficile l' elezione del domicilio agli emarginati gravi, che vivono in strada. «Senza domicilio non si può chiedere la residenza anagrafica al Comune e quindi non si ha diritto alla tessera sanitaria, all' assistenza ospedaliera se non in caso di estrema urgenza, all' assistenza sociale, alla pensione o all' assegno di invalidità», spiega Paolo Pezzana, presidente della Federazione italiana organismi per le persone senza dimora. I giornali di strada milanesi (Terre di mezzoe Scarp de' tenis) invitano a scrivere al ministro - un' apposita cartolina è stata stampata e sarà distribuita stasera in piazza - chiedendo che la residenza rimanga un diritto per tutti. In città si stima siano 1.300 i senza casa italiani, per non parlare delle migliaia di immigrati irregolari. «A Milano quest' anno i clandestini non saranno più accolti nei dormitori pubblici - aggiunge Carlo Giorgi - perché il pacchetto sicurezza prevede la denuncia da parte degli operatori del terzo settore che lavorano in convenzione con il Comune per l' accoglienza. Per paura della denuncia molti preferiranno restare in strada e a morire di freddo». Il pacchetto sicurezza istituisce, inoltre, il "Registro nazionale delle persone che non hanno fissa dimora". «Un provvedimento che puzza di schedatura», conclude Giorgi.

Dazzi Zita

domenica 18 ottobre 2009

Riflettiamo un pò!!

A piccoli passi verso la barbarie

Dilaga una sorta di pandemia etica che minaccia la natura della convivenza civile

ENZO BIANCHI

Più volte l’abbiamo ribadito su queste colonne e con forza l'abbiamo affermato in più occasioni: ci stiamo dirigendo a piccoli passi verso la barbarie. Negli ultimi tempi l’andatura è sempre più accelerata e l’emergenza di alcuni fattori deleteri ci porta a riconoscere che ormai ci troviamo in una barbarie diffusa. Non si tratta solo di assenza o debolezza della cultura, ma di una ferita alla civiltà inferta dall’affermazione di comportamenti indegni dell’uomo che non cercano la qualità della convivenza ma la oltraggiano. Assistiamo non allo scontro di civiltà profetizzato da Huntington, né alla fine della storia ipotizzata da Fukuyama ma, in modo più tragicamente banale, al piombare in un’epoca oscura, in cui è minacciata di sparizione la stessa democrazia. Quest’ultima, infatti, non può sussistere in una società in cui si disprezza la politica, cioè la gestione del bene comune, in cui non si avverte più come necessaria alcuna convergenza sull’orizzonte di senso della polis. Nel Salmo 14 vi è un’amara constatazione: «tutti sono corrotti, nessuno fa il bene!»: grido tragico perché, se da un lato può essere denuncia di una situazione reale contingente, d'altro lato può attestare la presenza di una pandemia etica che dilaga e che perverte la natura stessa della convivenza civile. La violenza, l’aggressione innanzitutto verbale non è forse un habitat al quale oggi assistiamo attoniti, in un’impotenza a fare qualcosa che ci rende tristi e amareggia i nostri giorni? Basta accendere la televisione - cosa che personalmente mi capita assai di rado e solo fuori casa - per assistere a talk-show in cui si misura da subito il sistematico non ascolto dell’altro mentre il tono di voce gridato copre ogni opinione e passa sovente al disprezzo e all'insulto che negano l'altro nella sua soggettività e dignità. Così i telespettatori si abituano progressivamente ad assumere come propri nel quotidiano quegli atteggiamenti aggressivi. Questi divengono così la modalità consueta dei rapporti in famiglia, sul lavoro, nei luoghi di incontro: tutti si sentono non solo autorizzati, ma incoraggiati alla rissa, all’aggressione, al dileggio delle regole comuni. I ragazzi e i giovani, invece di essere contenuti e corretti nelle intemperanze proprie dell’età, di essere condotti alla consapevolezza di limiti e di freni essenziali e decisivi nei rapporti e nella comunicazione, si sentono stimolati a emulare i modelli di comportamenti incivili offerti dagli adulti: se incrociano un senzatetto lo scherniscono quando non lo malmenano, alla vista di una persona di colore partono insulti e sputi, gli immigrati sono oggetto di minacce e di intimazioni a tornarsene a casa loro... Anche certa stampa ormai è divenuta palestra di combattimento, in cui non ci si arresta neppure davanti al mistero e alla dignità della persona, con accuse che vogliono solo distruggere il bersaglio preso di mira. Questi sono anni in cui molti italiani si sentono autorizzati dagli esempi provenienti da quanti occupano posizioni di rilievo anche istituzionale a far uso non solo di espressioni violente, volgari, offensive dell’altro, ma di un profondo disprezzo per qualsiasi regolamentazione. L’egolatria dominante reclama che i bisogni soggettivi siano accolti da tutti come diritti, anche se contro gli altri e contraddicenti l'umanizzazione, dimentica che accanto ai diritti ci sono sempre dei doveri, sembra negare ogni responsabilità personale per inquadrare il male compiuto in una fisiologia della vita umana personale e sociale: tutto questo fa sì che la barbarie avanzi e che la stessa democrazia sia erosa. In questo quadro sconsolante la società risulta afflitta da una progressiva perdita di memoria, e un paese senza memoria non ha passato, non riconosce l’eredità che gli è propria e perde così la capacità di vivere il presente con consapevolezza e il futuro con speranza e progettualità. Per ogni cultura, la memoria dei momenti e delle forze che l’hanno generata è essenziale: è proprio nella memoria degli eventi fondatori che la democrazia si afferma e si manifesta come valore. Ora, un individuo sradicato dal proprio passato, senza vera appartenenza che non sia quella localista o quella dettata da meri interessi economici, non può essere un cittadino di una società autenticamente democratica. Quando l’identità è negata a livello di polis ed è valorizzata solo con atteggiamenti etnicistici, innesca infatti una regressione alla dimensione tribale, alla tirannia di gruppi «consanguinei» e autoreferenziali che minano lo spazio della communitas. Va invece spezzata la contrapposizione tra cittadino e Stato, tra individuo e società e riscoperta la dialettica tra queste due polarità perché l’«io», il «noi» senza «gli altri» depersonalizza e immiserisce: il «noi» assume la forma incontenibile dell’esclusione e, di conseguenza, l’altro assume i tratti della minaccia da scongiurare o da distruggere preventivamente. A questo punto la strada verso il razzismo è spalancata. Non si dimentichi che le parole quando si caricano di odio diventano armi, che le accuse reciproche senza più limiti né rispetto spingono alla negazione e alla distruzione dell’avversario, che il continuare ossessivamente a indicare nell’avversario il Male genera a poco a poco una violenza che può arrivare ad assumere persino le forme del terrorismo più o meno elaborato ideologicamente. Saremo capaci di un soprassalto di dignità umana e di etica democratica? Sapremo riscattare il senso alto della politica, oggi pesantemente affetta da una malattia autoimmune di svilimento? Non si tratta tanto di auspicare una tregua verbale posticcia, di aggiustare i toni di un confronto che da tempo ha cessato di essere tale ma, ben più in profondità, di favorire il passaggio dall’individuo al soggetto politico, innescando una logica non solo di diritti ma anche di doveri verso gli altri e con gli altri. Ritrovare la propria qualità di cittadini significa sentirsi attori di una storia collettiva, capaci di immaginare se stessi assieme agli altri, tesi a riscoprire valori comuni e principi etici condivisi attraverso i quali edificare la polis, rifiutando che sia la forza a prevalere. Certo, questo richiede volontà, assunzione della responsabilità comunitaria, senso dello Stato e capacità di elaborare, mantenere e alimentare un quadro sociale e istituzionale che garantisca a tutti la libertà nella giustizia. Ma è l’unico percorso per uscire dalla barbarie e rientrare nella civiltà.

sabato 17 ottobre 2009

Il vescovo difende il dormitorio

17 ottobre 2009 - Roberto Pettinaroli - Secolo xix levante



«Assumere una decisione negativa, di chiusura nei confronti del centro di accoglienza notturna per senza dimora proposto dal Villaggio, significa non rendersi conto del problema e dell’oggettiva utilità di una soluzione che potrebbe fare molto».
Monsignor Alberto Tanasini interviene con una riflessione pacata sul caso del momento: il “no” del Comune di Chiavari al progetto per un rifugio destinato ai senzatetto da realizzare all’Agricola di Sampierdicanne, in una struttura già destinata a servizi socio-assistenziali. Il vescovo non vuole polemizzare con il sindaco Vittorio Agostino, che proprio ieri - intervistato dall’emittente diocesana Telepace - ha ribadito la propria contrarietà all’iniziativa del Villaggio del Ragazzo («Se ci fosse una struttura come quella, i clochard salirebbero da 30 a 300, arriverebbero anche da Genova»). Ma è convinto che la rigidità del Comune sia anche frutto di un equivoco di fondo.
Monsignor Tanasini, è innegabile che il diniego del sindaco rifletta il malumore di una parte non irrilevante della città.
«Vorrei essere chiaro: anche a me dà fastidio l’accattonaggio organizzato, gruppi di persone che probabilmente fanno questo di mestiere. Mi si dirà: ma sono poveri anche loro. Certo, sono emarginati e lo erano già anche in Romania, dove pure esiste una possibilità di sviluppo e di lavoro. Lo riconosco: è un problema complesso, da affrontare con carità, ma anche con serietà. Ma offrire ospitalità al caldo e al riparo ai senza dimora è un’altra cosa».
Intende dire che l’arcipelago del disagio sociale è molto più frastagliato?
«Assolutamente sì. Ci sono scelte di vita, persone buttate fuori di casa dal coniuge da un giorno all’altro, gente che ha perso il posto e si è sentita crollare il mondo addosso. Gente che un tempo aveva, magari, un fior di lavoro. Ma non è solo questo. L’esperienza dell’accoglienza, storicamen te, dimostra che si innestano processi virtuosi che possono rappresentare anche occasioni di recupero, di riscatto sociale per queste persone».
Nel senso che trovare un sostegno in un momento di particolare difficoltà può consentire a una persona di ritrovarsi?
«Proprio così. Al Monastero di Genova, alle “Casette”, si instaura con gli ospiti un dialogo che tende al loro reinserimento sociale. A Milano due associazioni hanno trasformato diverse persone senza fissa dimora in volontari che ora girano le strutture e offrono assistenza. Ma anche la nostra piccola “Casa Betania”, che pure ha solo quattro posti letto e li concede per non più di due notti, è un esempio illuminante. Io ci sono stato, ho cenato con queste persone, ho parlato con loro. C’è il tipo stravagante e pittoresco, ma c’è anche l’ospite attento, aperto all’incontro. Ho visto il gusto con cui si approfitta di una lavatrice per poter lavarsi i panni, per poter avere un vestito pulito. E non mi pare che a Cavi ci sia l’assedio di senzatetto che arrivano a frotte da Genova. Ripeto: c’è il povero e c’è chi dell’accattonaggio ha fatto un mestiere».
Riassumendo: il centro di accoglienza notturna a Sampierdicanne non può essere visto come un problema. Semmai, come un tentativo di risolverlo.
«Non c’è dubbio. Intanto, l’iniziativa non è assolutamente a carico del Comune, al quale non è stato chiesto un euro. Per il centro è stato proposta un’accoglienza temporanea: non più di due mesi. Un tempo sufficiente a ripararsi dai rigori dell’inverno. E magari a immaginare un percorso di recupero che possa ridare piena dignità alla propria esistenza».

venerdì 16 ottobre 2009

Viva la carità!!

Vittorio Agostino: «No al dormitorio»

15 ottobre 2009
| Debora Badinelli - Secolo xix levante

Il Comune dice no al dormitorio per senza fissa dimora. «È una questione che richiede una lunga maturazione - spiega il sindaco di Chiavari, Vittorio Agostino - Per adesso la risposta è stata negativa. Non favoriamo iniziative che possano essere in contrasto con la popolazione. Non posso sostenere chi, potenzialmente, può essere dannoso per i cittadini. Ci sono persone che non si sentono sicure a causa della presenza di senzatetto accampati e non vorremmo che questo progetto peggiorasse la situazione».

Deluso prete Rinaldo Rocca, presidente del Villaggio del ragazzo e promotore dell’iniziativa. «Il progetto si scontra con la mentalità della non accoglienza - dice, amareggiato, il sacerdote - Speravo ci fossero margini di confronto e si potesse dare corpo a un’iniziativa alla quale avevo incominciato a lavorare insieme a don Nando Negri». L’obiettivo era creare - al pianterreno dell’immobile di Sampierdicanne, nell’ala destra, che ospita la comunità terapeutica Chiarella, la cosiddetta “Agricola” - una struttura di accoglienza per i senza fissa dimora. Un presidio (l’unico tra Genova e La Spezia) che offrisse risposte immediate, ma di breve durata per far fronte all’emergenza. «Non mi fermerò di fronte al no di Chiavari - aggiunge prete Rocca - Cercherò altre soluzioni per poter andare avanti con chi si dimostrerà disponibile. Se il Signore vorrà, da qualche parte questa struttura si farà». Qualche soluzione alternativa a Chiavari la offre il sindaco Agostino che, provocatoriamente, suggerisce di realizzarla «nelle aree dell’ex Tubifera di Sestri Levante». Immediata la replica del vicesindaco, Giorgio Calabrò. «La riqualificazione delle aree ex Fit è frutto di un accordo di programma intoccabile, sottoscritto da Stato, Regione e Comune - spiega - L’idea di un dormitorio per senzatetto mi sembra una buona idea. Ovviamente, è necessario verificare dove convenga realizzarlo ed è importante capire chi gestirebbe questa struttura».

La seconda alternativa suggerita da Vittorio Agostino è Lavagna: «Città con la metà della popolazione di Chiavari e il doppio della superficie disponibile», spiega. «Agostino potrà pianificare il territorio di Lavagna quando verrà eletto dai lavagnesi - ribatte il primo cittadino in carica, Giuliano Vaccarezza - La proposta di accogliere il dormitorio non è stata fatta a noi e in questo momento non abbiamo aree o edifici disponibili. Comunque, se sarà Lavagna, alla fine, a ospitare il campus scolastico per il quale Chiavari non trova una sistemazione - è la sfida di Vaccarezza - potremmo destinare un piano del nuovo edificio ai senza fissa dimora».

L’occasione per presentare il progetto del dormitorio l’ha offerta il quattrocentesimo anniversario dell’apparizione mariana a Chiavari. Il prossimo anno, infatti, la Chiesa diocesana organizzerà iniziative religiose e culturali legate all’apparizione di Nostra Signora dell’Orto e in quest’ambito il Villaggio del ragazzo e il vescovo, monsignor Alberto Tanasini, vorrebbero dar vita al centro di accoglienza notturna.

Prete Rocca ha preparato un progetto di massima, depositato in Comune contestualmente alla richiesta di avere un incontro con il sindaco Agostino. «Adesso chiederò alla Fondazione privata alla quale mi ero rivolto per avere un aiuto finanziario di fermare tutto - spiega prete Rocca - Tuttavia questa non è una resa: il nostro aiuto verso chi ha bisogno non verrà meno».

Il progetto prevede un costo complessivo di 461 mila per un rifugio con venti posti, divisi in due sezioni, maschile e femminile, ognuna con servizi igienici e docce. I Cavalieri di Malta avevano già offerto la loro disponibilità e prete Rocca pensava alla formazione di un gruppo di volontari che potessero supportare i promotori dell’iniziativa nella gestione, rendendola meno onerosa. A Sampierdicanne il dormitorio avrebbe avuto un ingresso autonomo, reception, atrio e sala per l’accoglienza, la rifocillazione e l’incontro.

«Quella che potremmo offrire è un’accoglienza temporanea - spiega Rocca - Un aiuto, non un incitamento all’accattonaggio. Infatti, nel nostro progetto è previsto un filtro all’ingresso del dormitorio che garantisca condizioni di gestibilità e sicurezza».

mercoledì 14 ottobre 2009

Ci Risiamo!!!

Fara, tornano i senzatetto

14 ottobre 2009
| Simone Schiaffino

Secolo xix - Levante

Ex colonia Fara violata, ancora una volta, nel disperato tentativo di trovare un riparo. Le inferriate saldate alle finestre non hanno retto, i “tondini” sono stati segati e piegati verso l’esterno, per permettere l’accesso a locali al coperto, al piano terra dell’edificio di Preli. Perché il freddo incalza: la stagione calda è finita, e la comunità di stranieri che bivaccano in città sta cercando di organizzarsi per l’inverno. I romeni sono tornati all’ex colonia, dopo innumerevoli sgomberi, interventi di muratura a porte e finestre, posizionamento di sbarramenti in metallo alle aperture accessibili del grattacielo sul mare. Disabitato ormai da anni, se non fosse per la loro, saltuaria presenza.

Ed è allarme in città per la crescita del numero di romeni che stazionano nei pressi dello scalo ferroviario, della passeggiata a mare, del centro storico. Chiedendo l’elemosina, anche con modi insistenti, bevendo birra sulle panchine, accampandosi dove capita. Per poi andare a dormire all’ex colonia. Dove, sotto il porticato del piano terra, è già stato allestito un fornelletto di fortuna, e dove, su un ripiano, ci sono razioni di cibo e pentole sporche. Poco distante, una finestra con l’inferriata divelta funge da accesso a due stanze, riattate a povere camere da letto, con materassi, vestiti piegati, bottiglie d’acqua e sedie ripulite alla bell’e meglio. Tutto esattamente come un anno fa, quando le ruspe e gli uomini del Comune avevano abbattuto una vera baraccopoli all’esterno del fatiscente grattacielo di Preli e rimosso materassi e mobilio di fortuna ai primi piani dell’edificio.

«I controlli ci sono: verifichiamo i documenti dei senza fissa dimora e ogni mattina rimuoviamo giacigli abusivi e rifiuti abbandonati - dice Vittorio Agostino, sindaco di Chiavari, impegnato in questi giorni in un botta e risposta sulla questione romeni con il consigliere comunale Pdl Emanuele Rustichelli (vedi articolo a fianco) -. Quanto all’intrusione nella ex colonia Fara, provvederemo come abbiamo sempre fatto. Il problema però è a monte: queste persone sono cittadini europei, e secondo il trattato di Schengen possono circolare liberamente in tutta Europa. Questa è materia per i governi - conclude il primo cittadino chiavarese - non dei Comuni, che in tal senso non possono certo legiferare».

Di qualche giorno fa una lettera al Comune da parte di commercianti e residenti della zona di piazza San Giovanni, per lamentare la massiccia presenza di questuanti stranieri, particolarmente insistenti, soprattutto all’ora dell’uscita dalla messa, intorno alle 18. Poi le segnalazioni, sempre più numerose, al comando di polizia municipale, in merito agli stessi romeni che occupano il sottopassaggio che dalla stazione ferroviaria porta al lungomare.

Proprio sulla passeggiata chiavarese, ieri, il bivacco dei romeni ha generato un episodio di violenza, con intervento di carabinieri e polizia municipale. Sono le 15, nell’area verde sul mare all’altezza di piazza Leonardi. Ci sediamo su una panchina vicino ad un gruppo di romeni: c’è un uomo completamente ubriaco, e molesto. Poi ci sono due donne, sedute da una parte e altri ragazzi, tutti romeni. Uno dei giovani ci raggiunge in bicicletta per chiederci una sigaretta. Domandiamo perché il suo connazionale più anziano sia così agitato. «Lucian beve sempre troppo», dice il ragazzo straniero, prima di pedalare via, verso il gruppo. All’assembramento si avvicina una giovane romena, proveniente dal sottopassaggio della ferrovia. Quello che sappiamo chiamarsi Lucian inveisce contro di lei, prima a parole, poi tenta di colpirla con uno schiaffo. Urla il suo nome: «Amandi!», poi grida in romeno, poi la chiama innumerevoli volte, mentre gli altri uomini tentano di calmarlo. Finché lei gli porge due banconote da 10 euro. È possibile che quei soldi siano il risultato dell’accattonaggio oppure di altra più redditizia attività. Ma Lucian sbraita, grida ancora sventolando i soldi, che poi mette in tasca. Forse sono troppo pochi per la sua aspettativa di guadagno. E così, fulmineamente, colpisce la ragazza al viso. Un pugno che quasi fa cadere a terra la giovane. Gli altri romeni lo bloccano e lo costringono a sedersi su una panchina. In un attimo arrivano ai giardini pubblici una gazzella dei carabinieri e un’autopattuglia della polizia municipale, probabilmente chiamate da qualcuno, tra i numerosi passanti, che ha assistito alla scena di violenza e schiamazzi. Gli animi si placano istantaneamente, alla vista degli uomini in divisa. Vengono chiesti i documenti, e tutti risultato essere romeni, quindi cittadini europei in regola con le norme sull’immigrazione. Tutto questo mentre Amandi, la ragazza picchiata, si massaggiava la guancia arrossata, seduta su una panchina poco distante. La giovane non sembra aver denunciato alcunché di quanto le era appena accaduto.

Il nostro breve viaggio si conclude in altre due “mete” dei senza tetto nel Tigullio: sulla sponda destra della foce dell’Entella, nelle vicinanze del Lido, dove nessuno sembra aver violato le inferriate per ripararsi al coperto; e all’ex hotel Astoria, a Lavagna, dove, sul retro dell’edificio, abbiamo trovato soltanto un paio di materassi sotto il portico.

mercoledì 7 ottobre 2009

Senza limiti!!

Stoops, direttore della ong NCH: «forte il rischio emulazione»

Usa, le risse tra clochard vanno online

I "bum fighters" partecipano a scontri organizzati da teppisti in cambio di soldi e alcol: 27 morti lo scorso anno

MILANO - Il loro ring è la strada. Per una scazzottata all'ultimo sangue ottengono in premio una cassa di birra o qualche spicciolo e in pochi anni hanno guadagnato un'effimera popolarità sul web. Sono i "bum fighters" (combattenti vagabondi), senzatetto americani che partecipano a scontri pugilistici ("bum fights") organizzati da giovani teppisti statunitensi che poi pubblicano i filmati su internet. Solo l'anno scorso su YouTube sono stati caricati migliaia di filmati che hanno come protagonisti questi singolari lottatori. I video più violenti però sono stati velocemente cancellati dal popolare sito di video-sharing perché considerati brutali e offensivi. Tuttavia non mancano in Rete siti e blog che mostrano senza alcuna remora gli scontri più feroci.

VIDEO - Il fenomeno dei "bum fights" nasce nel 2001 quando la casa di produzione Indecline Films mette in circolazione una serie di filmati i cui protagonisti sono degli homeless di San Diego e Las Vegas che in cambio di soldi e alcol si cimentano in lotte all'ultimo sangue. I video hanno un grande successo di pubblico e, secondo il sito di France24, nei soli Stati Uniti sono stati venduti circa 8,6 milioni di dvd. Sebbene già nel 2003 la casa di produzione sia stata condannata da un tribunale americano che ha vietato la duplicazione e la vendita di questi filmati, le lotte tra i barboni hanno velocemente conquistato una parte del popolo della Rete.

SPEDIZIONI PUNITIVE- La fantasia dei teppisti online non si è fermata qui. Negli ultimi anni sono apparsi sul web anche diversi video in cui si vedono decine di giovani partecipare a vere e proprie spedizioni punitive contro i senzatetto. Secondo le stime della National Coalition for the Homeless (NCH), organizzazione americana che si occupa dei clochard, lo scorso anno ben 106 di loro sono stati picchiati senza motivo e 27 hanno perso la vita per i colpi ricevuti. Questi raid sono sempre più spesso condotti da ragazzi bianchi di diversa estrazione sociale e sotto l'effetto di alcol e di droghe. «I clochard sono un bersaglio facile perché non possono difendersi soprattutto quando si trovano di fronte un gruppo di giovani - ha detto al sito di France24 Michael Stoops, direttore di NCH, organizzazione non governativa che ha il suo quartier generale a Washington -. Gli aggressori sanno di non correre nessun rischio perché un barbone non andrà mai dalla polizia a lamentarsi. Il vagabondo è la vittima ideale perché è invisibile alla società». Secondo Stoops il dato più preoccupante è che i video sul web stimolano il fenomeno dell’emulazione.
I RIMEDI - Alcuni Stati americani come la California e la Florida sono corsi ai ripari: chi si macchia di un'aggressione contro un clochard sarà punito allo stesso modo di chi compie un reato di razzismo o discriminazione. Tuttavia la maggior parte degli Stati americani non si è ancora mossa: «Ci vorrà ancora tanto tempo prima che la sorte dei barboni negli Stati Uniti sia tutelata come si deve» ha detto amareggiato Stoops.

Francesco Tortora - Corriere della Sera

martedì 6 ottobre 2009

Continua la storia!!!!

«Io, in coda alla mensa dei frati»

06 ottobre 2009 - Secolo xix

Simone Schiaffino

Il cielo è grigio e inizia a piovere mentre, col passo strascicato e l’aria trasandata, attraversiamo i giardini Mariele Ventre. Sembra che gli altri, i “semplici” passanti, non vedano chi non vogliono vedere: i poveri, i barboni, gli “invisibili”. Il viaggio del Secolo XIX, che porta un cronista a Sestri Levante, inizia nell’area di verde pubblico davanti alla stazione ferroviaria, luogo dove spesso i clochard bivaccano.
L’obiettivo è attraversare la città, sotto le spoglie di un barbone, per raccogliere storie e arrivare alla mensa dei poveri dei frati Cappuccini, nella baia del Silenzio. Dove consumare un pasto insieme a loro, “gli invisibili”. Trovando, tra poveri vecchi e nuovi, la solidarietà tra gli ultimi, fatta di sigarette e Tavernello distribuiti in modo che nessuno resti senza. E accorgendoci degli sguardi in tralice di negozianti e residenti della passeggiata sestrese: non a tutti, infatti, va giù l’idea che, proprio in uno dei punti più belli della città, ci sia la mensa dei poveri. Fatto che, inevitabilmente, provoca il passaggio degli ultimi davanti alle vetrine dei più bei negozi, ai dehors dei ristoranti. Fatto che quindi ha scatenato la polemica in città, col tentativo di alcuni di spostare la mensa in un luogo meno visibile, o addirittura di chiuderla. Ma i frati che la gestiscono non pensano nemmeno minimamente di rinunciare alla loro missione francescana. E hanno riaperto ieri, con la distribuzione di undici pasti caldi ad altrettanti poveri, compreso chi scrive.

Ma facciamo un passo indietro. Ai giardini Mariele Ventre c’è Natasha, una donna russa senzatetto sui 40 anni. La donna è stata appena identificata da un poliziotto della Municipale, che le ha chiesto i documenti, ha steso il suo verbale per poi salire il sella al suo scooter e dirigersi altrove. A lei chiediamo informazioni, come fossimo nuovi della città. «Se vuoi mangiare devi andare dai frati, in fondo alla passeggiata, ma fai presto: devi prenotare il pasto alle 11,30». Chiediamo perché la donna non venga anche lei. «Oggi ho qualcosa che mi è stato portato da un’amica, un’italiana che abita qui vicino. Lei mi aiuta da quando mio marito è stato arrestato: lo hanno preso mentre rubava portafogli in spiaggia».
Seguiamo le indicazioni di Natasha. Ma prima tentiamo di racimolare qualche spicciolo chiedendo l’elemosina. «Li ho dati appena adesso ad un altro povero, mi spiace» dice un’anziana, di ritorno dalla spesa. Arriviamo al cancello del convento dei Cappuccini. Un marocchino, sui 50 anni, dice «Devi mangiare? Fai in fretta, stanno per chiudere le prenotazioni». Scopriremo che si chiama Idriss, e che, se ti serve fare qualche lavoretto in un cantiere, è lui l’uomo da conoscere. Ci presentiamo al frate della mensa: padre Luigi. «Tu sei il numero undici, prendi questo e aspetta con gli altri». Ci viene data una “rondella” metallica (una sorta di moneta forata al centro) con impresso un numero, l’undici, appunto. Siamo gli ultimi: dopo di noi non viene più nessuno e le prenotazioni si chiudono. E si aspetta una mezzora perché il pranzo sia pronto. «Ero un camionista, vengo da Messina, prima lavoravo, adesso mi hanno licenziato e mi ritrovo qui. Bevi un po’ di vino». Domenico, qui lo chiamano tutti Mimmo, racconta di un’esistenza normale, in giro per l’Italia, col suo tir. Poi la fortuna che gli volta le spalle, con la sua azienda che lo licenzia, la moglie che lo lascia e la prospettiva di una vita da vagabondo che lo ha portato fino a Sestri. «Prima o poi riesco a levarmi da questa m...».
Arriva il pranzo, che sarà distribuito secondo l’ordine dato dai numeri sulle “rondelle”. Ma prima don Luigi fa recitare un’ave Maria. Pasta al ragù, acciughe fritte, fagiolini e patate bollite, un panino e una mela, oltre ad una bottiglietta d’acqua (il Tavernello, invece, è stato portato da Mimmo e viene distribuito a chi lo vuole). Si mangia sul sagrato della chiesa, chiacchierando. Il tempo ci assiste: ora non piove più. E il cibo è buono.
«Vuoi lavorare? Io posso farti fare qualche giornata nei cantieri, a Sestri e Casarza: ma da dove vieni? Non ti abbiamo mai visto». Chiede Idriss. Raccontiamo di essere scappati da Genova, dopo aver rotto con la propria compagna. «L’importante è che sei “pulito”, che non ti cerca la polizia, che non ti droghi. Io faccio lavorare solo gente seria».
Ci sono altre persone oltre a Idriss e Mimmo. Tra queste ci sono un uomo e una donna che del clochard non hanno proprio nulla. La barba fatta, i vestiti puliti, uno zaino appresso e l’aria triste. Scambiamo poche parole, scoprendo che questi sono i “nuovi” poveri. Gente che, fino a qualche mese, fa viveva normalmente, con una casa e un lavoro. Storie come tante altre: figlie della crisi economica che tutto calpesta e tutto travolge. Non c’è, però, molta voglia di raccontare di sé, forse per la vergogna di trovarsi in quella condizione. Si parla invece dei giornalisti che tanto hanno scritto della mensa dei poveri di Sestri. «Perché vogliono portarla a chiudere» dice Mimmo.
No. Perché volevamo documentare che questo servizio, svolto con grande umanità, non dà fastidio né problemi a nessuno.

lunedì 5 ottobre 2009

Riscatta il cucciolo di un clochard

5 ottobre 2009 - Secolo xix

120 euro, per strappare un cucciolo affamato e maltrattato ad un girovago, che lo esibiva ai passanti per raccogliere offerte.

Li ha tirati fuori una anziana pensionata spezzina, che non ha resistito allo sguardo del cane: e ha ingaggiato una contrattazione col proprietario.
Poi ha affidato il cane all’ufficio tutela animali, per farlo adottare.
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E’ accaduto in pieno centro. La donna ha preferito tirare la cinghia, per questo mese: piuttosto che chiudere gli occhi. E non è stata protagonista di un gesto isolato. La identica scena si è ripetuta qualche ore dopo, quando un altro clochard ha ottenuto 60 euro per lasciare ai volontari un altro cane: un incrocio collie, terrorizzato.
Per un terzo caso, la responsabile dell’ufficio tutela, Antonietta Zarrelli, ha fatto un’ispezione ai giardini, dietro segnalazione di un cittadino. Ha trovato un cane di poche settimane, maltrattato, trascinato da uno straniero, al palco della musica.
Ha fermato una volante della polizia di stato. Il cane, malridotto, è stato sequestrato, perché l’uomo non aveva alcun titolo di proprietà. «In tutti e tre i casi, si trattava di persone senza fissa dimora, che fanno accattonaggio – dichiara la Zarrelli – i cani sono fatti entrare chissà come, condannati ad una vita di stenti, per strappare commozione nei passanti: un meccanismo abietto. Comprendo bene il sacrificio fatto da questa pensionata, che ringrazio per la sensibilità: veder maltrattare un animale, è qualcosa di intollerabile, per chi ha coscienza».
Quando i cani sono usati per impietosire, spesso non vengono nutriti e curati apposta. Si ammalano. Vengono poi gettati via, in condizioni estreme.
Al canile ne sono arrivati quest’anno diversi, anche con tumori terminali.
In alcune città l’accattonaggio con animali è vietato. La Zarrelli lo ritiene un deterrente legittimo: «C’è un giro, i cani sono introdotti cuccioli, fatti nascere sfruttando le madri come fattrici, fino a sfiancarle. Alimentare questo giro è un male».
Oltretutto, quando il cane è vecchio, viene spesso ceduto per le lotte clandestine.
In città ci sono stati casi di vecchi cani spariti dai giardini: l’ultimo, un meticcio nero, alla Chiappa, è stato prelevato da due uomini, e non è mai stato più trovato, nonostante tutti i tentativi del giovane proprietario, che lo aveva con sé da quando era un bambino.