domenica 28 settembre 2008

Vangelo secondo Luca 12; 33-34

[33] Vendete ciò che avete e datelo in elemosina;

fatevi borse che non invecchiano, un tesoro inesauribile nei cieli, dove i ladri non

arrivano e la tignola non consuma.

[34] Perché dove è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore.

mercoledì 17 settembre 2008

Il Barbone

http://www.baccobaccanels.com/scritti/Il_barbone_baccobaccanels.htm

Sulla banchina della stazione di Genova a mezzanotte, ad aspettare il treno, io e un barbone.
Nella mano destra porto una borsina di plastica con due asciugamani e l'astuccio con rasoio, dentifricio e spazzolino, nella sinistra ho il sacchetto dei panini.
Il barbone ha una gamba sola e si appoggia a due stampelle. E' lì che borbotta, sembra ce l'abbia con qualcuno.
Arriva il treno, marrone di ruggine. La porta del secondo vagone di testa si ferma davanti a me e al barbone.
Scende il controllore: "Genovartenzaimmediatalocalefermattuttentimiglia!"
Chiedo: "Ferma ad Albenga?"
Risponde: "Parte subito. Tutte fino a Ventimiglia, signore".
Faccio per salire quando sento il barbone che si lamenta: "Non ce la farò mai a salire con una gamba sola. Mi servirebbe aiuto per prendere il treno".
Mi giro e prendo il barbone sotto braccio, gli levo una stampella e la butto sul vagone. E' pesante e puzza: il barbone, non la stampella.
Ci sono tre gradini alti, lui si appoggia all'altra stampella da un lato e a me dall'altro. Poi agita la gamba solitaria cercando di raggiungere il primo gradino.
Dopo essersi gustato la scena a lungo, con impietosi occhi da rettile, il controllore scende ad aiutarmi e poco dopo, tutti e tre siamo a bordo.
Il barbone fa: "Mi avete fatto male. E' il modo di aiutare uno con una gamba sola?". Il controllore alza un sopracciglio, si gira e se ne va, nel posto dove vivono i controllori.
Io lascio l'ingresso e apro la porta del vagone. Luce blu fredda e odore di piedi, poche persone: operai delle imprese di pulizia, militari, una suora.
Mi siedo in un blocco da quattro ancora vuoto. Il barbone mi segue e si siede davanti a me e si accomoda stirando la gamba.
Il treno parte e per quasi un'ora non succede nulla, tranne l'agitarsi del barbone, che non trova una posizione comoda e s'addormenta e poi si sveglia, ogni volta spostando le stampelle e girandosi per trovare una posizione migliore, fino a svegliarsi del tutto.
Una volta sveglio, il barbone ricomincia: "Questo treno è uno schifo e tu e quell'altro scemo mi avete fatto salire! Se stavo giù adesso ero seduto bello comodo sulla panchina."
Un sottotenente del battaglione logistico, che riconosco dalle mostrine, alza la testa e ci guarda. Una suora alza gli occhi da una rivista di pesca con la mosca e ci guarda.
Dico al barbone: "Sei tu che hai chiesto di aiutarti a salire".
"Non è vero", piagnucola, "Siete voi che mi avete preso e buttato su questo treno!"
Il sottotenente si accomoda meglio e la suora chiude la rivista. Mi rendo conto che per loro io e il barbone siamo una cosa sola.
Mi accorgo di come mi guardano, in effetti, io non sono in gran forma. Con questi vestiti, la borsa di plastica e il sacchetto dei panini è facile dare un'impressione sbagliata.
Tra me e il barbone c'è solo una gamba di differenza. Questo penso, e non mi piace.
Per distrarmi, apro il sacchetto e prendo i panini che ha preparato mia madre. "Ne vuoi?" Dico al barbone, a voce alta, e lui ne prende uno.
Un altro uomo, che sembrava addormentato, alza la testa e ci guarda, aggiungendosi al nostro piccolo pubblico.
Mastichiamo piano e guardiamo fuori dal finestrino. Non si vede niente: solo il riflesso di due facce che ruminano piano.
Il barbone tossisce. "Il pane è secco, a momenti mi soffoco. Che schifo di panino mi hai dato".
"Mangia che è buono, quel panino lo ha fatto mia madre", rispondo alzando un sopracciglio in direzione del pubblico.
Ora mi sento più padrone della situazione, è chiaro che io mi sto prendendo cura di lui. "
Ah, allora è colpa di quella zoccola se sto morendo soffocato!", sputa fuori il barbone, insieme a briciole di pane umide che si attaccano al finestrino.
Respiro forte e mi sento bruciare la faccia dalla rabbia.
Non riesco più a mantenermi calmo e sbotto: "Adesso basta, mangiati quello schifo di panino e falla finita, capito?"
Il barbone mi guarda con gli occhi lacrimosi e tace.
Ha vinto lui.
Il sottotenente mi guarda con rimprovero e la suora riprende a leggere scuotendo la testa.
Gli altri, che non riesco a vedere in faccia, mi comunicano disapprovazione con la loro posizione, con il loro respiro, che sembra più pesante di prima.
Guardo l'orologio imbarazzato, mi alzo, prendo le mie cose e mi sposto verso l'uscita, dove almeno non c'è nessuno.
Chiudo alle mie spalle la porta del vagone, per lasciarmi alle spalle l'intera scena.
Non mi accorgo del controllore, che dietro le mie spalle, ride.
"C'è da ridere?", chiedo.
"Sì, lo sa, stiamo per arrivare…"
"E allora?".
"C'è sempre da ridere quando si arriva da qualche parte."
Non lo capisco, ma il treno si sta fermando e non ho più tempo per scherzare.
Scendo alla stazione. E' molto buio e in giro non si vede nessuno. Con calma, cammino sul marciapiede diretto verso l'uscita.
Vedo una figura piccola sotto un pannello che dovrebbe essere il tabellone degli orari, appeso fuori dalla stazione.
La cosa si agita e salta. Da lontano, sembra un cane in equilibrio sulle zampe posteriori, con le zampe davanti appoggiate al muro.
Curioso, mi avvicino.
La piccola figura non è un cane, è un nano che sta cercando di leggere l'orario del treno senza riuscirci: il tabellone è appeso troppo in alto.
Mi fermo e gli dico: "Amico, guarda che fino alle cinque da qui non passa più niente".
Il nano si gira e mi risponde: "Amico un cazzo, chi ti ha chiesto qualcosa? Ce la faccio benissimo anche da solo!"
Rimango a bocca aperta, cercando le parole. Poi, tiro un sospiro e prendo la mia strada verso il paese.
Tra le labbra, una sigaretta mi distende i nervi. Tra i denti, un vaffanculo mi fa compagnia. Brrr!, fa proprio freddo stanotte.

baccobaccanels - aprile 2002

http://www.baccobaccanels.com/scritti/Il_barbone_baccobaccanels.htm

giovedì 11 settembre 2008

il barbone di Platì

Si chiamava Michele, ma per tutti era Michele u Giamba.
Lo vedevo ogni giorno e a tutte le ore vagabondare per le vie del paese. Sempre per strada, sempre in cammino. Alla ricerca di un barattolo, di un pezzo di legno, di una pietra o di un qualsiasi oggetto abbandonato o buttato nella spazzatura. Altre volte lo vedevo seduto per terra a raccogliere avanzi di sabbia. La raccolta non avveniva se non prima si fosse ben assicurato che quel materiale era stato abbandonato, un rifiuto.
Michele conduceva una vita poverissima ma molto tranquilla, dignitosa e rilassata, non riusciva ad appropriarsi indebitamente neanche di una briciola di pane. Per lui tutto era utile. Un barattolino vuoto poteva servire a dar da bere ad un uccellino. Questa era stata la risposta e la spiegazione alla mia domanda, nel vederlo raccogliere una vuota scatoletta di tonno.
Michele era un uomo minuto, asciutto, capelli ricci brizzolati e scapigliati, spesso portava una barba bianca lunga ed incolta, Michele era nato a Platì l’8.10.1923 e nel suo paese natale in data 20.02.2006, aveva finito il cammino terreno, lo stesso giorno in cui 7 anni prima lo aveva lasciato Rachele.
Nel cimitero di Platì, a soli pochi metri dalla lapide di mio padre, lo rincontro, lo saluto e gli porto una rosa del mio giardino, ogni volta che passo da quelle parti. Sulla sua lapide trovo sempre un cero che arde e un fiore che sembra non voglia mai appassire. Nei giorni di festa o di lutto, quell’uomo ritorna nella memoria di tutta la comunità platiese, di grandi e piccini. Michele manca a tutti pur essendo stato l’ultimo…. l’ultimo o il primo “barbone” di Platì.
E’ difficile scrivere una biografia su questo uomo, tanti sarebbero i tasselli che andrebbero a comporre il suo mosaico. E’ importante ricordarlo, avvicinarlo ora che non sentiamo più l’odore sporco dei suoi vestiti.
E’ importante ricordare un uomo che ha vissuto accanto a ciascuno di noi e di cui spesso ci siamo beffati, è importante incontrare il Cristo anche attraverso il suo ricordo, ritrovare quel Cristo scomodo di cui quasi sempre ci vergogniamo e che ogni giorno allontaniamo dalla nostra vicinanza.
E’ importante ricordare un barbone platiese più volte aggredito a calci e pugni o a sassate - come in altri tempi lo è stato per “massaru Bruno di cagnola” (il signor Bruno dei cagnolini) - molto probabilmente da ragazzi scapestrati che non avevano trovato di meglio nella loro bravata, che una forma di gioco e di divertimento.
Michele era gioioso per tutte le filastrocche, canti natalizi e pasquali che conosceva.
Aveva l’umiltà di un asinello, quasi mai si adirava, neanche quando era stuzzicato in maniera pesante o addirittura con violenza fisica. Ricordo la cantilena pasquale: “Sono stati i miei peccati, Gesù mio, perdon e pietà” ….. e nel modo in cui la canticchiava, sembrava che lui fosse l’unico o il solo peccatore dell’umanità. E poi, il “Tu scendi dalle Stelle” con gli occhi puntati al cielo, quasi implorasse la caduta della neve.
Michele conosceva a memoria alcuni canti della Divina Commedia ed era uno spettacolo sentirli recitare da lui (aveva anticipato, d’una cinquantina d’anni, Roberto Benigni nella recita-spettacolo dell’opera dantesca)….. sapeva molte cose, era un uomo colto, ma amava fingersi stupido, e in quel suo atteggiamento nascondeva, velava una sana e dolce furbizia.
Spesso per ottenere qualcosa, si rendeva seccante, perché ripeteva la stessa richiesta infinite volte. Fingeva di non capire e poi ritornava sullo stesso argomento. Quante volte mi ha fatto innervosire perché mi chiedeva una “riabilitazione” per una “interdizione” inesistente?
Egli era stato per un breve periodo in manicomio e pensava, anzi era convinto, “fissato”, che fosse stato dichiarato interdetto e che altri, a sua insaputa e per conto suo, riscuotessero una sua pensione. Non vi era modo di convincerlo che a suo carico non vi era alcun provvedimento di interdizione e che nessuno per suo conto e in suo nome riscuotesse alcuna pensione. Non disdegnava il lavoro anche se non lo se faceva appesantire. Lo ricordo, negli anni 50 e 60 come imbianchino.
Aveva uno strumento che portava dietro la schiena e legato sulle spalle e quando spruzzava la pittura, sulle pareti venivano raffigurati degli uccellini, per questo io chiedevo ai miei genitori che chiamassero Michele ad imbiancare le parete di alcune stanze.
Lo ricordo ancora come operaio al tempo in cui è stata ristrutturata la mia casa. In quegli anni, lui abitava insieme alla mamma, in una catapecchia a pian terreno e già sin da allora raccoglieva piccole cose che gli capitavano per strada. La madre, come ogni mamma, pensava alla sua sistemazione e cercava la ragazza che potesse andare per lui, ma faceva delle comparazioni un pò esagerate. Un giorno si recò da un signorotto del paese per chiedere la mano della figlia per Michele.
A sostegno di quella richiesta ed unico argomento di convincimento era che se Michele avesse sposato la figliuola, il signorotto si sarebbe risparmiato il salario di un garzone. Più tardi e dopo, molte delusioni d’amore, Michele sposò Rachele, una umile donna di par suo rango. Erano entrambi anzianotti e non ebbero figli. Michele e Rachele vivevano tranquilli, sazi di quel pò che la Divina Provvidenza disponeva per loro. Secondo tradizione e convinzione, la religione era al primo posto.
Michele e Rachele erano timorati da Dio e ad ogni occasione partecipavano, secondo i loro averi, alle necessità della Chiesa. Michele ben presto incominciò a mettere dei risparmi da parte per comprare fonduscoli di terreno, casette abbandonate per poi colmarli di ogni cosa che trovava per strada, Raccattava carta, cartoni, barattoli, pietre, resti di ogni cosa, persino due vecchie ruote di frantoio, una vasca da bagno arrugginita, la carcassa di un’ automobile, un vecchio televisore e via discorrendo.
Michele era presente ad ogni funerale, ad ogni lutto per la morte di qualche compaesano. Egli accettava con molta umiltà tutte le elemosine che gli venivano fatte. Diceva che la Divina Provvidenza non l’avrebbe mai abbandonato. Spesso lo si vedeva sulla SS 112 a raccogliere pochi chicchi di ulivi avanzati alla raccolta.
La morte di Rachele, dopo lunga malattia, lo destabilizzò completamente. Egli avrebbe voluto tenere quel freddo corpo in casa sua, a fargli compagnia. Nei giorni successivi alla morte egli è stato visto al cimitero con l’intento di trafugare la salma, per tenerla con sè, a casa sua, dove avevano passato tanti anni insieme e felici.
Michele, come abbiamo già scritto è stato per lungo tempo il suonatore di tamburo del paese, ma negli anni 50 e 60 fino alla morte di Gianni, maestro dei maestri di tamburo di ogni tempo, egli è stato, il tamburino “in seconda”. Poi passò titolare e suonò in coppia con il cognato Pasquale, con Cicciallotto e con altri valenti suonatori di grancassa ed è stato presente in moltissime novene, processioni, festività varie Michele, un uomo che aveva capito molto della vita e dei suoi indecifrabili misteri; non parlava molto, preferendo invece osservare con molta attenzione tutto ciò che gli capitava
Preferiva, quasi con ostinazione, il silenzio.
Non sono stato sempre tollerante con lui e rievocare la figura di Michele mi ferisce. L’educazione di ogni individuo passa anche attraverso l’ammonimento, attraverso l’esame di coscienza, attraverso il pentimento e solo in questa direzione trovo la forza di scrivere di lui.
Una società migliore nasce sulla consapevolezza e sul riconoscimento dei propri errori, e non ha paura di rimproverarsi. Qualcuno potrebbe obiettare che in altri posti vicini e lontani accadono cose molto più brutte. Si è vero, ma per andare avanti bisogna migliorarci, non confrontarci con chi si comporta peggio di noi.
Identificare un paese o una persona, per ergerla a protagonista è puro e semplice infantilismo.
Con stile e dolcezza deamicisiana, Michele, amava parlare dei barboni, come fossero soggetti molto lontani da lui. Sotto Natale o durante l’emergenza freddo, quando mi coglieva solo soletto, seduto sulla panchina fuori di casa mia, lui passava, mi salutava, poi tornava indietro pensieroso come se avesse dimenticato di chiedermi qualcosa per poi sortire: “Non vi faci friddu? Vostra mamma u feci u braseri? (Non vi fa freddo? Vostra mamma ha preparato il braciere?)
In molte case del mio natio borgo, ancora ci si riscalda intorno al braciere.
E dal freddo dell’inverno, Michele, passava rapidamente a delle considerazioni pietistiche, alla gente che dormiva per strada, che non possedeva nulla. Per fortuna, diceva, che c’erano i preti, “uomini di Dio”, che aiutavano gli “ultimi”.
Nel contempo si domandava e mi chiedeva perché lo Stato non desse loro una pensione. Ma prima che io potessi dare una mia risposta alla sua domanda, egli continuava: “perché sono cafoni e sono egoisti e non hanno Iddio nell’anima”. In tale direzione cercava la mia approvazione: “Chi diciti avvocato”? (Cosa ne pensate avvocato?)
Michele non sapeva, e mi riusciva difficile spiegarlo e farglielo capire, che il Barbone per lo Stato invece è un puro peso economico, che non rientra neanche nelle leggi finanziarie di fine anno! I barboni e gli emarginati non interessano ai politici e sono visti in negativo come “sporcizia” che va pulita e ripulita e poi “bonificata” con i soliti mezzi polizieschi. Bisogna far sgombrare un barbone dall’angolo della stazione, ma non ci si preoccupa poi quale spazio egli dovrà andare ad occupare.
Forse l’unica celata indignazione è che non si è ancora riusciti a “tassare” le loro elemosine! I barboni sono spazzatura, perché vivono, sporcano e poi muoiono per la strada e il tutto assume un costo per lo Stato. Per comprendere che cosa significa essere senza fissa dimora occorre un grande sforzo d’immaginazione.
Il barbone è il “parente povero” di Michele, è un uomo che vive nella strada, senza una casa, senza un amico, senza un parente, nulla. La strada, una condizione di non-ritorno. la strada, il massimo dello spazio libero.
La strada è un campo di concentramento senza reticolato, una prigione senza sbarre. La strada: miseria e solitudine. Il cosiddetto «barbone» non ha cittadinanza, non ha diritti ed è assimilato al cane o al gatto randagio.. Ogni barbone ha una storia di vita, di solitudine, di emarginazione, di sofferenza. I barboni, i senzatetto muoiono in silenzio, senza far rumore. I barboni hanno «luoghi di sonno»; hanno «luoghi di lavoro», angoli di strada dove chiedono l’elemosina. Molti muoiono per freddo, sotto gli sguardi indifferenti dei passanti o in anonimi ospedali cittadini.
Michele era una persona piena di dignità. Non chiedeva l’elemosina, ma accettava e ringraziava con infinita dolcezza per tutto quello che gli veniva dato: un piatto di minestra, un pezzo di pane, un paio di scarpe, un paio di pantaloni, una giacca e via discorrendo. “Doni di Dio” amava definire tutte le elemosine che gli venivano fatte.
Michele viveva di ricordi: la sua casetta; la sua mamma, le sue abitudini, la miseria del tempo passato, il pezzo di “pizzata” (pane di granturco). La gente lo scansava, ma allo stesso tempo, lo voleva bene. La sera, prima di addormentarsi, egli guardava le stelle in cielo, il suo lampadario, per il quale non arrivava mai la bolletta enel. Spesso aveva voglia di piangere, ma, al contrario, non aveva paura di morire.
Michele non aveva privacy. A chi gli rinfacciava benevolmente il suo stato d’abbandono, Michele rispondeva che anche uno scienziato (alludendo al matematico russo Grigori Perelman), e quelli della televisione (così egli chiamava gli artisti di strada) avevano scelto di vivere come lui.
- Pensate, riflettete - diceva Michele - c’è anche chi dorme in un cassonetto dell’ immondizia o in una automobile abbandonata; c’è chi suona uno strumento musicale per procurarsi un piatto di minestra; c’è chi commette una cattiva azione solo per andare in carcere o chi simula una malattia mentale o si procura un incidente per ricevere rifugio e cibo in un ospedale.
Ma il barbone in genere è gravato quasi da un "marchio d’infamia”, non ha voce e i suoi diritti sono terribilmente compromessi. I nostri occhi fotografano soltanto l’esterno, l’aspetto esterno e superficiale, ma non l’angoscia della sua disperazione, della sua solitudine, della sua impotenza. La barriera della società civile non gli consente di uscire dalla sua condizione.
La fredda materialità del mondo industriale moderno ha aggravato la situazione; gli uomini vedono sempre meno, hanno una miopia irreversibile, assomigliano sempre più ai prodotti e alle tecnologie che hanno inventato; gli uomini hanno barattato la conoscenza con il confort, acquisiscono sempre più ricchezza materiale smarrendosi nel cammino della vita.
Schiavi delle nuove comodità, gli uomini non si domandano più chi sono e dove stanno andando. Il computer, strumento di lavoro, si trasforma in una nuova divinità da venerare. Superficialità e maschere, falsi valori e false verità, ci allontanano dalla nostra dimensione umana. Il barbone ci guarda: egli è l’unico testimone scomodo che la nostra coscienza non può rimuovere.
Michele, è già Natale anche quest’anno e tu non aspetti più la Sua ascesa sulla terra, perché sei salito tu sulle stelle, dove non sentirai più freddo.

Ciao, il tuo amico avvocato. Mimmo Marando

mercoledì 10 settembre 2008

Un barbone maggiorenne conversa con Dio

Il fenicottero con le stampelle

ha un euro in mano,

arrugginito,

e coccola i turisti

con le sue parolacce.

Ha gli occhi aperti

tra i denti la polvere

e il cuore sbriciolato

dal suo unico amore liquido

domenica 7 settembre 2008

Vagabondi e Barboni

I senza casa secondo Chuck Ferris
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Scritto da Maurizio Caudana

venerdì 25 luglio 2008


Secondo alcuni, sono degli opportunisti che non hanno voglia di fare nulla, e vivono sulle spalle della società. Secondo altri, sono dei poveracci, che stanno attraversando un periodo buio della loro vita, e meritano compassione ed aiuto, nella speranza riescano un giorno, a ritornare ad una vita normale.

homeless.jpgQualunque sia il nostro personale punto di vista al riguardo dei barboni, è senza dubbio vero, che ognuno di noi, in qualsiasi parte del mondo viva, è a conoscenza dell'esistenza di queste persone. Costituiscono forse la prima vera espressione della globalizzazione, anticipando di secoli l'omologazione di uno stile di vita, condiviso da persone differenti in punti diversi del globo.

Se in passato queste persone erano obbligate a mendicare per le strade delle città, o passando di casa in casa, oggi, nell'era dei consumi, riescono a sopravvivere senza dover chiedere nulla, grazie alla possibilità di mangiare con pochi spiccioli, ed all'enorme quantità di scarti, prodotti ogni giorno dal nostro modo di vivere.

Liberati dalla necessità di elemosinare, i barboni si sono trasformati in vere e proprie entità invisibili, di cui ci si accorge quando ne parlano i giornali, quando bivaccano in strade affollate, o si avvicinano, per chiedere una sigaretta o una moneta. Ciecamente adagiati sull'impossibilità di vederli, ci illudiamo con facilità che possano essere spariti, chissà quando, chissà dove, ma spariti.

Chuck Ferris li ha cercati per le strade della sua città, e li ha fotografati con la sua macchina fotografica, per mostrare a tutti la loro esistenza, e dimostrare che questi individui, vivono ancora nella nostra società, o, sarebbe meglio dire, ai piedi della nostra società.

sabato 6 settembre 2008

Miracoli del web!!!

C'è un nuovo personaggio che sta diventando popolarissimo su Internet.
Non si tratta nè di uno dei tanti geniali imprenditori della "Web generation" né tantomeno di una starlette che si spoglia davanti ad una webcam.
La nuova star della rete è Tramp Gordon Roberts, un senzatetto di 78 anni con cui tutti vogliono farsi fotografare.
Il sito web a lui dedicato registra quotidianamente moltissimi accessi da tutto il mondo.

La particolarità di quest'uomo è quella di essere in grado di conoscere l'ora con una approssimazione di due minuti, senza possedere alcun orologio.

Tutto qui, niente di più. Non ha fatto imprese straordinarie nè inventato nulla di rivoluzionario.
Si aggira per le vie della città britannica di Bournemouth da oltre 20 anni e lì lo conoscono tutti. Ma da qualche tempo, da quando un suo "fan" ha deciso di aprire un sito a lui dedicato, la sua fama si è estesa a tutto il mondo.
Sono infatti oltre 4.500 le persone che entrano nella sezione di Facebook a lui dedicata e all'interno della quale è possibile visionarie centinaia di foto fatte dagli ammiratori del "barbone digitale" assieme a lui. E sembra che possedere una foto assieme a Gordon stia diventando una cosa di moda: chi ce l'ha la mostra orgogliosamente ad amici e parenti.
Lui, raggiunto da alcuni giornalisti si limita a dire di aver saputo di questa sua improvvisa notorità dovuta al web, ma di non farci troppo caso. "E' una leggenda vivente" scrivono alcuni sul sito e cominciano ad apparire anche i primi video
del senzatetto. Lo spazio web è stato creato da uno studente universitario che ha dichiarato:"Pensavo fosse una bella cosa dedicargli uno spazio su internet, ma non mi aspettavo che avesse così tanto successo".

esempio di video: http://www.youtube.com/watch?v=M46NyuJxvYg

Storia di Pasqualino

Pasqualino, invece vive fuori della stazione della Circumvesuviana al corso Garibaldi, quasi sempre lì perché da ragazzo la sua famiglia abitava nei pressi di piazza Mercato ed una sua sorella vive ancora da quelle parti.

Il papà faceva le pizze fritte, aveva una piccola friggitoria "ncoppe e mmure", la mamma era casalinga. II lavoro di Pasqualino era il calzolaio e, a suo dire, era anche molto bravo.
Aveva iniziato a lavorare da piccolo perché a casa servivano i soldi, continuando fino ai 18/19 anni quando comparve la schizofrenia che spinse la famiglia a ricoverarlo presso il Leonardo Bianchi.

Pasqualino trascorre in manicomio 39 anni della sua vita. La mamma lo andava a trovare tutti i giovedì e la domenica e gli portava cose buone da mangiare ed i panni puliti. Dopo 39 anni, Pasqualino, per effetto della legge 180, esce dal manicomio, ma i genitori non ci sono più, i fratelli e le sorelle hanno problemi a prenderlo in casa e lui resta per la strada.
Pasqualino è una delle persone più miti che abbia mai incontrato. L'ultima volta camminava con una stampella di legno perché dei ragazzi, per rubargli pochi spiccioli, lo avevano riempito di botte.

Non è difficile incontrarlo prendendo la Circumvesuviana alla stazione terminale.

venerdì 5 settembre 2008

Storia di Domenico

Domenico è nativo di Marcianise, è geometra, ha sempre lavorato all'estero, in Germania, in una impresa edile. Anche la sua vita è stata segnata dalla perdita del lavoro. L'azienda dove lavorava dovette chiudere, rientrò in Italia ma non riuscì a trovare alternative di lavoro. Anche lui è una persona molto dignitosa, un gran chiacchierone, molto affabile, molto normale se non fosse per il carrello pieno di buste che sono il segno del suo stato.

Anche Domenico è una persona che, nonostante tutto, si tiene informato su quello che succede nel mondo. Infatti l'ultima volta mi parlò dell'aeroporto di Capodichino, di quello che avrebbe significato l'acquisto da parte degli inglesi della maggioranza delle azioni, del fatto che c'erano grossi progetti di investimento, che tutta la città ne avrebbe beneficiato.

Devo dire che ne sapeva più di me benché cerchi di tenermi informato. Questo è un esempio di come sia la società ad emarginare persone che si sforzano di non rimanere emarginate.