martedì 6 ottobre 2009

Continua la storia!!!!

«Io, in coda alla mensa dei frati»

06 ottobre 2009 - Secolo xix

Simone Schiaffino

Il cielo è grigio e inizia a piovere mentre, col passo strascicato e l’aria trasandata, attraversiamo i giardini Mariele Ventre. Sembra che gli altri, i “semplici” passanti, non vedano chi non vogliono vedere: i poveri, i barboni, gli “invisibili”. Il viaggio del Secolo XIX, che porta un cronista a Sestri Levante, inizia nell’area di verde pubblico davanti alla stazione ferroviaria, luogo dove spesso i clochard bivaccano.
L’obiettivo è attraversare la città, sotto le spoglie di un barbone, per raccogliere storie e arrivare alla mensa dei poveri dei frati Cappuccini, nella baia del Silenzio. Dove consumare un pasto insieme a loro, “gli invisibili”. Trovando, tra poveri vecchi e nuovi, la solidarietà tra gli ultimi, fatta di sigarette e Tavernello distribuiti in modo che nessuno resti senza. E accorgendoci degli sguardi in tralice di negozianti e residenti della passeggiata sestrese: non a tutti, infatti, va giù l’idea che, proprio in uno dei punti più belli della città, ci sia la mensa dei poveri. Fatto che, inevitabilmente, provoca il passaggio degli ultimi davanti alle vetrine dei più bei negozi, ai dehors dei ristoranti. Fatto che quindi ha scatenato la polemica in città, col tentativo di alcuni di spostare la mensa in un luogo meno visibile, o addirittura di chiuderla. Ma i frati che la gestiscono non pensano nemmeno minimamente di rinunciare alla loro missione francescana. E hanno riaperto ieri, con la distribuzione di undici pasti caldi ad altrettanti poveri, compreso chi scrive.

Ma facciamo un passo indietro. Ai giardini Mariele Ventre c’è Natasha, una donna russa senzatetto sui 40 anni. La donna è stata appena identificata da un poliziotto della Municipale, che le ha chiesto i documenti, ha steso il suo verbale per poi salire il sella al suo scooter e dirigersi altrove. A lei chiediamo informazioni, come fossimo nuovi della città. «Se vuoi mangiare devi andare dai frati, in fondo alla passeggiata, ma fai presto: devi prenotare il pasto alle 11,30». Chiediamo perché la donna non venga anche lei. «Oggi ho qualcosa che mi è stato portato da un’amica, un’italiana che abita qui vicino. Lei mi aiuta da quando mio marito è stato arrestato: lo hanno preso mentre rubava portafogli in spiaggia».
Seguiamo le indicazioni di Natasha. Ma prima tentiamo di racimolare qualche spicciolo chiedendo l’elemosina. «Li ho dati appena adesso ad un altro povero, mi spiace» dice un’anziana, di ritorno dalla spesa. Arriviamo al cancello del convento dei Cappuccini. Un marocchino, sui 50 anni, dice «Devi mangiare? Fai in fretta, stanno per chiudere le prenotazioni». Scopriremo che si chiama Idriss, e che, se ti serve fare qualche lavoretto in un cantiere, è lui l’uomo da conoscere. Ci presentiamo al frate della mensa: padre Luigi. «Tu sei il numero undici, prendi questo e aspetta con gli altri». Ci viene data una “rondella” metallica (una sorta di moneta forata al centro) con impresso un numero, l’undici, appunto. Siamo gli ultimi: dopo di noi non viene più nessuno e le prenotazioni si chiudono. E si aspetta una mezzora perché il pranzo sia pronto. «Ero un camionista, vengo da Messina, prima lavoravo, adesso mi hanno licenziato e mi ritrovo qui. Bevi un po’ di vino». Domenico, qui lo chiamano tutti Mimmo, racconta di un’esistenza normale, in giro per l’Italia, col suo tir. Poi la fortuna che gli volta le spalle, con la sua azienda che lo licenzia, la moglie che lo lascia e la prospettiva di una vita da vagabondo che lo ha portato fino a Sestri. «Prima o poi riesco a levarmi da questa m...».
Arriva il pranzo, che sarà distribuito secondo l’ordine dato dai numeri sulle “rondelle”. Ma prima don Luigi fa recitare un’ave Maria. Pasta al ragù, acciughe fritte, fagiolini e patate bollite, un panino e una mela, oltre ad una bottiglietta d’acqua (il Tavernello, invece, è stato portato da Mimmo e viene distribuito a chi lo vuole). Si mangia sul sagrato della chiesa, chiacchierando. Il tempo ci assiste: ora non piove più. E il cibo è buono.
«Vuoi lavorare? Io posso farti fare qualche giornata nei cantieri, a Sestri e Casarza: ma da dove vieni? Non ti abbiamo mai visto». Chiede Idriss. Raccontiamo di essere scappati da Genova, dopo aver rotto con la propria compagna. «L’importante è che sei “pulito”, che non ti cerca la polizia, che non ti droghi. Io faccio lavorare solo gente seria».
Ci sono altre persone oltre a Idriss e Mimmo. Tra queste ci sono un uomo e una donna che del clochard non hanno proprio nulla. La barba fatta, i vestiti puliti, uno zaino appresso e l’aria triste. Scambiamo poche parole, scoprendo che questi sono i “nuovi” poveri. Gente che, fino a qualche mese, fa viveva normalmente, con una casa e un lavoro. Storie come tante altre: figlie della crisi economica che tutto calpesta e tutto travolge. Non c’è, però, molta voglia di raccontare di sé, forse per la vergogna di trovarsi in quella condizione. Si parla invece dei giornalisti che tanto hanno scritto della mensa dei poveri di Sestri. «Perché vogliono portarla a chiudere» dice Mimmo.
No. Perché volevamo documentare che questo servizio, svolto con grande umanità, non dà fastidio né problemi a nessuno.

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