mercoledì 10 febbraio 2010

L'altra faccia delle olimpiadi!

La protesta degli homeless sui Giochi

Un momento della manifestazione di domenica a Vancouver


Il leader: «hanno sprecato tanti soldi,il nostro quartiere vive nella miseria»

VANCOUVER Al centro delle Olimpiadi c’è il mercato dello spaccio, meglio noto come «The poorest postal code in Canada», il luogo più povero di tutto lo Stato. Il quartiere si chiama Downtown Eastside e sta lì, in evidenza tra Canada Place, luogo simbolo dei Giochi in città, il Bc Place Stadium, sede delle cerimonie, e il Pacific Coliseum, impianto per pattinaggio e short track. Non si può evitare, nell’Eastside ci inciampi, ti ci porta dentro la corsia olimpica che non vuole trovare percorsi alternativi.I cinesi hanno imbiancato tutta Pechino e fatto sloggiare chi stonava, i canadesi lasciano i loro problemi in bella mostra perché questo controverso quartiere è insieme ferita e slancio, guaio e sfida. Compare a un anonimo incrocio dove la West Hastings, arteria del quartiere fantasma, diventa East Westings e tutto si allunga: barbe lunghe, capelli lunghi, passi strascicati dietro ai carrelli dei supermercati pieni di coperte e sacchetti di plastica. Una volta era il cuore della città, oggi è la patria degli homeless che si aggirano tra le carcasse dei vecchi hotel abbandonati. Il Balmoral cade a pezzi e l’orologio dell’insegna è fermo sulle 12,35 chissà da quando. Non che il tempo passi tra queste strade e per fartelo capire hanno creato il cimitero delle speranze: «The Heart of dies». Cinque cuori al posto dei cinque cerchi e sotto montagnette di terra con piccole lapidi in cartone: «Sogni infranti», «Umanità», «Umiltà», «Pace», tutte le aspettative che i residenti hanno sotterrato. Si vedono solo market fatiscenti difesi da spranghe di ferro e disperati che parlano da soli. La povertà attira senza tetto, malati mentali, tossici e sopra tutti gira la grande e luccicante «W» annunciatrice di futuro.La lettera tridimensionale è piazzata in cima al vecchio Woodwart, un ex centro commerciale in restauro. Si trova giusto di fronte alla Downtown Eastside Association, un punto d’appoggio per chi sta peggio. Il Woodwart è pronto a diventare il primo palazzo sociale: monolocali a prezzo fisso per chi può affrontare solo un affitto minimo. Mary McNeal, portavoce del progetto per la provincia, spiega: «Se volessimo riqualificare una zona così centrale sarebbe facile, ma qui nessuno intende spazzare via chi ci vive ora. Bisogna introdurre alloggi accettabili a prezzo basso, essere graduali e accompagnare la trasformazione». È il modo in cui il Comune cerca di rianimare le strade reiette. Ed è su queste cifre che si gioca la contro Olimpiade.Gli attivisti che non volevano i Giochi a Vancouver invece di arrendersi all’inevitabile hanno organizzato un movimento che è cresciuto negli anni e si è legato alla protesta sociale di quelli di Seattle. I primi no global, i ragazzi che si sono ritrovati dentro una delle manifestazioni più violente al Social Forum del 1999 (13 arresti e città devastata) insieme con i resistenti olimpici per costruire una protesta civile. Almeno è l’idea di fondo. Chris Shaw era a Seattle nel 1999 ed è a Vancouver oggi, è uno stimato medico, un ricercatore dell’Università British Columbia ed è anche una delle teste della manifestazione organizzata per il giorno dell’apertura, dopodomani. Alle 18 (le 3 di sabato mattina in Italia) parte la cerimonia, alle 15 la sfilata di protesta e la polizia, fino a qualche giorno fa molto rispettosa, inizia a innervosirsi. Chris Shaw è stato pedinato dopo essere andato all’aeroporto a prendere Martin Macias, noto attivista di Chicago, talmente conosciuto da essere rispedito indietro. Shaw racconta: «L’ho aspettato due ore poi ho capito che qualcosa non andava e ieri ho ricevuto la visita di un agente. Mi ha fatto mille domande. Non stiamo facendo nulla di illegale». È il portavoce di una frangia che sta crescendo: «Non abbiamo nulla contro lo sport né i Giochi in sé, ma qui ormai si parla solo di pubblicità, di marchi consentiti o vietati e non possiamo restare a guardare i nostri amministratori spendere sei miliardi per l’Olimpiade del capitalismo quando abbiamo a casa un quartiere che ha bisogno di fondi più dell’aria. Dove sono i soldi e le energie da dedicare a chi sta male?».Non è preoccupato per infiltrati o black bloc: «Siamo cresciuti da Seattle 1999, non escludo che potrebbero presentarsi, però sappiamo gestire meglio le emergenze e poi la sfilata è solo uno degli appuntamenti: abbiamo voluto evitare una sola ora X in cui concentrare tutte le tensioni». L’opposizione domenica scorsa ha messo in piedi i Giochi della Povertà, controprogrammazione con un ratto come mascotte, una gara di curling con una stone a forma di lingotto (fatto con una bottiglia di plastica verniciata d’oro) e lo slalom delle promesse non mantenute. Hanno partecipato 700 persone e Jean Swanson, altro attivista di punta dell’Olympic Resistance Network, è convinto sia stato un successo: «Magari anche un po’ carnevalata, ma a Downtown Eastside c’è lo stesso livello di allerta per il contagio hiv che ha il Botswana e qui si pensa a mettere in mostra il logo della Coca-Cola».

GIULIA ZONCA - La Stampa.it - 10.02.2010

Nessun commento: