lunedì 31 marzo 2008

Vivere (e morire) da barbone

Un inciampo, una fatalità e tutto si trasforma, l'esistenza deraglia
Storie di senzatetto fra vecchie coperte distese sui marciapiedi e mille rimpianti

di FABRIZIO RAVELLI

Vivere (e morire) da barboneQuando la vita ti butta sulla strada"
GIANNI LA SCIARPA a disegni Burberry se l'arrotola bene intorno al collo, poi infila il cappotto blu che sarebbe anche elegante, blu anche il berretto di panno a visiera tipo lupo di mare. Ha due borse, una 48 ore nera e una sacca grigia. Scarpe nere moderne. La vestizione è alle cinque e mezza della mattina, nella sala d'aspetto della stazione ferroviaria di Greco-Pirelli. "Prima sistemo le mie cose. Ho i cartoni sotto, poi una coperta, e il sacco a pelo. Piego tutto, e metto dietro la panchina di fuori. Fanno tutti così, nessuno tocca niente. Se posso, faccio colazione, sennò salto". Poi si avvia verso la sua giornata, e sembra un viaggiatore in arrivo. "Certo io non mi sento un barbone. Non ho fatto questa scelta". Diventare barbone è un attimo, un inciampo, una fatalità. Brutta parola barbone, ce ne sono di più corrette: va molto clochard, elegante, o senzacasa, senzadimora. Gianni ha 57 anni, nato a Ragusa. Da tre anni vive per strada. Non si sente un barbone, ma ha grande solidarietà e rispetto per i suoi compagni di vita. Il suo amico Daniele, per esempio, 51 anni, droga e galera alle spalle, senza casa da una vita. Magro, piccolo, e tossisce di continuo in questa mattinata di neve. "Daniele, bisogna che ti curi, che vai dal medico". L'altro scuote le spalle e tossisce. "Testa dura di un valtellinese, hai fatto la broncopolmonite anche l'anno scorso". L'inciampo di Gianni, quello che l'ha fatto deragliare, è stata una malattia: "Epatite B, quando me l'hanno trovata ho perso il posto. Ero chef sulle navi da crociera della Festival Cruise, in Oriente". E poi un furto: "Sono tornato in Italia, e a Roma mi hanno rubato la 24 ore. Dentro c'era il mio passaporto, e c'era la protesi. Sì, la dentiera. Era il 2004. Siccome ero residente nelle Filippine, là avevo moglie e due figlie, ci hanno messo un anno per ridarmi il passaporto, un calvario. Da allora sto per strada. Senza dentiera, nessuno mi dà un lavoro. Lo vedi? Mi restano solo questi tre denti davanti. Ho fatto dieci colloqui, ma mi guardano in bocca e dicono di no".
Gianni parla sei lingue: "Quattro parlate e scritte: inglese, francese, tedesco, spagnolo. Due solo parlate: cinese e giapponese". Nel suo italiano c'è traccia di pronuncia inglese. Ha girato il mondo. In borsa ha un curriculum che comincia nel '63, scuola alberghiera Tre Stelle di Stresa e finisce sulla motonave Flamingo, Festival Cruise Line. In mezzo, quattro diplomi in Food and Beverage Management, e tredici posti di lavoro: hotel, ristoranti, navi, in tutto il mondo. Ha una domanda di impiego in inglese, ("applicazione", dice traducendo), con tanto di indirizzo e-mail e cellulare ("Usato, me l'ha regalato una suora amica mia"). Il suo indirizzo è quello del Centro Sos, comunità Exodus di don Mazzi: "Ci vado spesso, si possono vedere gli amici e fare quattro chiacchiere, e c'è da leggere". A cento metri dal Grand Hotel Gallia, dove Gianni è stato assistente chef nel '74-'75. La sua giornata è questa: "Mi alzo alle cinque e mezza. C'è anche chi dorme fino alle sette, ma io lo faccio per rispetto dei viaggiatori. Dobbiamo liberare la sala. Adesso siamo otto singoli e due coppie. La sala è riscaldata, ci lasciano stare, e nessuno fa casino o si ubriaca". Prende su le sue borse, e si incammina verso la fermata dell'81. "Vedi, il mio segreto è questo: io faccio come se dovessi lavorare, come se avessi sempre un'occupazione. Vivo di espedienti, sì. Però non rubo, e non chiedo l'elemosina per strada. Per me è una questione di orgoglio personale". Si arrabatta: "Ho chiesto il sussidio del Comune, ma dicono sempre che si deve riunire la commissione. Conosco qualche prete e qualche vescovo, che a volte mi allungano dei soldi. Io non sono insistente, non assillo la gente. So stare al mondo, e sono gentile". Con le sue borse, come un viaggiatore. Basta non sentirsi un barbone. "Per mangiare, faccio così. Per esempio: il mercoledì sera alle nove, davanti alla stazione di Porta Garibaldi, viene il furgone di Sant'Egidio con del cibo caldo. Io e Daniele prendiamo il treno delle 20,58 da Greco a Garibaldi". In borsa ha la guida della Comunità di Sant'Egidio "Milano, dove mangiare, dormire, lavarsi". C'è tutto, ci sono anche gli ambulatori dove Daniele non vuole andare. Lui non dorme in stazione: "Mai stato in un dormitorio. Voglio stare da solo. Poi c'è quello che puzza, quello che non ha rispetto. E io ho un cattivo carattere". Poi ci porta a vedere "casa sua". Non l'ha mai mostrata nemmeno a Gianni. Sotto la neve, in mezzo a questa nuova Milano della Bicocca, il teatro degli Arcimboldi, l'università e i palazzoni disegnati da Gregotti, il "Caffè Harry's Scala". Daniele sta su un pianerottolo, al livello 2 del posteggio sotterraneo, aperto al gelo. Una coperta stesa in verticale a far da muro. Sacchi a pelo, coperte, borse, scarpe, tre lumini da camposanto: "Io qui non sento nemmeno l'umidità". E tossisce. Il suo amico Enzo, titolare del secondo sacco a pelo, è in giro. C'era Donatella, ora è a Bologna. Lì sotto il tunnel del tram c'è altra gente: "Come quei due ragazzi poveri, Antonio e Ludmilla, e i loro cani, vivono in una tenda". Casa sua Daniele la tiene mezza segreta, "perché mi hanno insegnato che si fa così, non si sa mai". Daniele si arrabbia se lo chiamano barbone "con superiorità", ma ha una sua filosofia della strada: "Il vero barbone è quello che non chiede niente, che fruga nei cestini e fuma i muccetti". Lui, che ha un sussidio di 160 euro al mese dal Comune, non vede che strada nel suo futuro. Gianni è amico suo, divide con lui anche un pasto completo 6 euro alla trattoria di via Breda: "Gestiscono dei cinesi, sono gentili, e quando ho qualche soldo ci vado". Ma per lui la strada è provvisoria, dice: "C'è chi l'ha scelta e chi non l'ha scelta. Chi l'ha scelta è diverso da me. Io mi curo esteriormente e interiormente, per essere una persona normale. Su tanti argomenti ho cultura, so fare discorsi. Potrei lavorare ancora qualche anno, se trovassi". Già, la dentiera, sempre lì torna. "Ho questo preventivo, fatto dal dentista di fiducia di un amico vescovo: 3.600 euro. E come faccio? Mi sono informato: in Ungheria costa meno. Il viaggio 580 e la protesi 1.300 circa". A questo pensa, marciando con le borse per la sua Milano di mense religiose, centri di assistenza, bagni pubblici: "Vado in quello di via Pucci, 50 centesimi e ti danno anche l'asciugamano". Su e giù da tram e autobus. A pranzo da suor Carmela in via Ponzio: "La 90 fino a piazza Piola, poi la 93". A cena dai francescani di viale Piave, oppure il tè e le brioche della Croce Rossa a Greco. Daniele prendeva anche l'Intercity, due fermate, per mangiare a Pavia: "Il primo potevi mangiarlo anche tre o quattro volte, roba buona. Ma era troppo uno sbattimento". E Gianni, che non si sente un barbone, lo accudisce come un fratello maggiore. Poi dà una mano al dopolavoro ferrovieri, sportello d'ascolto sotto la massicciata della stazione Centrale: "Abbiamo appena organizzato il Capodanno della solidarietà, 1200 pasti". Mimmo Vastola, il responsabile, ha un solo sogno: "Che restiamo disoccupati, nel senso che non ci sono più emarginati da assistere. Ci vorrebbero soluzioni vere. E invece i senza casa aumentano". A Milano c'è un esercito di gente che si dedica a loro, fra laici e religiosi. In questi giorni di neve e gelo, distribuiscono anche coperte e sacchi a pelo. Gianni aspetta solo che finisca, questa sua vita di strada: "Ho tre mesi, fino a marzo, per risolvere il problema della dentiera. Perché poi ci sono gli ingaggi sulle navi, sono pronto a partire per il mondo". Nelle Filippine ha due figlie, ospiti delle suore. La moglie è morta nell'alluvione del 2002. "Ogni tanto telefono, se ho abbastanza soldi". Intanto, c'è da badare a quegli altri: "Hassan il marocchino, anche lui dorme con me a Greco: bravo ragazzo, con un caffè lo fai felice. Al bar, ogni sera ci regalano quello che è avanzato: brioche o panini". Aspetta anche che finisca l'inverno: "D'estate vado in Toscana, ho degli amici che mi aiutano". Liscia il cappotto blu, sistema la sciarpa, saluta gli amici della "sala". Non sentirsi un barbone è già qualcosa. Se poi ci fosse anche una dentiera, per ricominciare la sua vita deragliata, sarebbe tutto a posto.


La Repubblica 4 gennaio 2008

venerdì 28 marzo 2008

www.aiutareibambini.it

Il ricco e il povero, la fiaba dei fratelli Grimm

Nei tempi antichi, quando il buon Dio errava ancora sulla terra, fra gli uomini, una sera che era stanco gli accadde di essere sorpreso dalla notte prima di poter giungere a una locanda. Sul suo cammino, si trovavano due case, l'una di fronte all'altra: la prima era grande e bella, la seconda piccola e dall'aspetto misero. Quella grande apparteneva a un ricco, mentre la piccola a un pover'uomo. Nostro Signore pensò: "Al ricco non darò disturbo: busserò a lui". Il ricco, udendo bussare alla sua porta, aprì la finestra e domandò al forestiero che cosa cercasse. Il Signore rispose: -Vi prego di darmi ricovero per la notte-. Il ricco squadrò il viandante da capo a piedi, e siccome il buon Dio era vestito umilmente e non aveva l'aria di uno che ha molto denaro in tasca, scosse il capo e disse: -Non posso ospitarvi: le mie stanze sono piene di verdure e di sementi; e se dovessi dare alloggio a tutti quelli che bussano alla mia porta, potrei andare in giro a mendicare. Cercate una sistemazione altrove-. Detto questo, sbatté‚ la finestra e piantò in asso il buon Dio. Allora questi gli voltò le spalle, andò alla casetta di fronte e bussò. Aveva appena bussato che il povero già gli apriva la porta pregandolo di entrare e di trascorrere la notte in casa sua. -E' già buio- disse -per oggi non potete proseguire.- Il buon Dio ne fu contento ed entrò. La moglie del povero gli porse la mano, gli diede il benvenuto e gli disse si mettersi comodo: doveva accontentarsi perché‚ non avevano molto, ma quel poco che c'era lo davano volentieri. Poi mise delle patate sul fuoco e, mentre cuocevano, munse la sua capra per avere un po' di latte da bere. Quando la tavola fu apparecchiata, il buon Dio si sedette e mangiò con loro, e quel povero cibo gli piacque, perché‚ aveva accanto a s‚ dei visi lieti. Terminata la cena, quando fu ora di dormire, la donna prese da parte il marito e gli disse: -Senti, marito caro, questa notte ci distenderemo sulla paglia e lasceremo il nostro letto al povero viandante perché‚ si riposi: ha camminato tutto il giorno ed è certo stanco-. -Ben volentieri!- rispose il marito. -Vado a offrirglielo.- Andò dal buon Dio e lo pregò, se era d'accordo, di coricarsi nel loro letto per riposare le sue membra. Il buon Dio non voleva portar via ai due vecchi il loro letto, ma essi non lo lasciarono in pace finché‚ egli acconsentì a coricarvisi; essi, invece si coricarono per terra sulla paglia. Il mattino seguente si alzarono prima che facesse giorno e prepararono all'ospite una modesta colazione. Quando il sole brillò attraverso la finestrella, il buon Dio si alzò, mangiò di nuovo con loro e si preparò a riprendere il cammino. Ma quando fu sulla soglia di casa, disse: -Poiché‚ siete così pii e misericordiosi, chiedete tre cose, e io vi esaudirò-. Il povero disse: -Che altro potrei desiderare se non l'eterna beatitudine, e che noi due, finché‚ viviamo, ci manteniamo in salute e possiamo avere il nostro pane quotidiano? Quanto alla terza cosa non so cosa potrei desiderare-. Il buon Dio disse: -Non vuoi una casa nuova al posto di quella vecchia?-. Allora l'uomo rispose che sì, se avesse potuto avere anche quella, gli avrebbe fatto piacere. Allora il Signore esaudì quei desideri e trasformò la loro vecchia casa in una bella e nuova; poi li lasciò e proseguì il cammino. Il sole era già alto quando il ricco si alzò e, messosi alla finestra, vide di fronte una bella casa al posto della vecchia capanna. Fece tanto d'occhi, chiamò la moglie e disse: -Moglie, cerca di sapere come sono andate le cose. Ieri sera c'era ancora quella misera capanna e oggi c'è una bella casa nuova. Corri di fronte e senti com'è andata-. La donna andò a interrogare il povero che così le raccontò: -Ieri sera è arrivato un viandante che cercava ricovero per la notte; questa mattina, nel prendere commiato, ha voluto concederci tre desideri: l'eterna beatitudine, buona salute in vita e il nostro pane quotidiano e, al posto della nostra vecchia capanna, una bella casa nuova-. Quand'ebbe udito tutto ciò, la moglie del ricco corse a casa a raccontare ogni cosa al marito che disse: -Meriterei di essere picchiato e fatto a pezzi! L'avessi saputo! Il forestiero è stato anche da me, ma io l'ho scacciato-. -Affrettati!- disse la moglie -sali a cavallo, il viandante non è molto lontano, puoi ancora raggiungerlo ed esprimere anche tu tre desideri.- Allora il ricco montò a cavallo e raggiunse il buon Dio. Gli si rivolse in modo amabile e cortese dicendogli che non doveva prendersela se non lo aveva fatto subito entrare: aveva cercato la chiave della porta e, nel frattempo, egli se ne era andato. Se fosse tornato un'altra volta, avrebbe dovuto alloggiare da lui. -Sì- disse il buon Dio -se torno lo farò.- Allora il ricco domandò se anche lui poteva esprimere tre desideri come il suo vicino. Sì, rispose il buon Dio, poteva benissimo, ma non era un buon affare per lui, era meglio se non esprimeva alcun desiderio. Ma il ricco pensò che avrebbe scelto comunque qualcosa di vantaggioso per s‚, purché‚ fosse sicuro di essere esaudito. Il buon Dio disse: -Va' a casa; i primi tre desideri che esprimerai saranno esauditi-. Il ricco aveva raggiunto il suo scopo; si mise in cammino verso casa e si mise a pensare a ciò che poteva desiderare. Mentre rifletteva, lasciò andare le redini, e il cavallo si mise a saltare sicché‚ egli era continuamente disturbato e non riusciva a concentrarsi. Allora si arrabbiò e gridò spazientito: -Vorrei che ti rompessi il collo!-. Come ebbe pronunciato queste parole, il cavallo stramazzò a terra, morto stecchito; e il primo desiderio era esaudito. Ma siccome era avaro, non voleva abbandonare i finimenti: li tagliò, se li mise sulla schiena, e dovette andare a casa a piedi. Tuttavia si consolava pensando che gli restavano ancora due desideri. Mentre camminava nella polvere e il sole di mezzogiorno bruciava infuocato, gli venne un gran caldo e diventò di cattivo umore: la sella gli pesava sulle spalle e continuava a non sapere quello che doveva desiderare. Se gli veniva in mente qualcosa, un attimo più tardi gli sembrava troppo poco. Nel frattempo pensò che la moglie a casa se la passava bene, seduta in una stanza fresca a mangiare di buon appetito. Questo lo indispettì per bene, e, senza riflettere, disse: -Invece di trascinarmi questo peso sulla schiena, vorrei che ci fosse lei seduta su questa sella e che non potesse scendere!-. Com'ebbe pronunciato queste parole, la sella scomparve dalla sua schiena, ed egli comprese che anche il secondo desiderio era stato esaudito. Allora sentì ancora più caldo, si mise a correre e pensava, una volta a casa, di potersi chiudere in camera da solo, per riflettere e trovare qualcosa di grande per l'ultimo desiderio. Ma quando arriva e apre la porta, vede, in mezzo alla stanza, sua moglie seduta sulla sella, che piange e si dispera perché‚ non può scendere. Allora egli disse: -Calmati! Stattene lì seduta e ti procurerò tutte le ricchezze di questo mondo!-. Ma ella rispose: -Che cosa me ne faccio di tutte le ricchezze del mondo se non posso scendere da questa sella? Tu hai desiderato ch'io finissi qua sopra, adesso devi anche aiutarmi a scendere!-. Così, che lo volesse o no, egli dovette chiedere, come terzo desiderio, che sua moglie fosse libera e potesse scendere dalla sella; e il desiderio fu subito esaudito. Così da quella storia egli non ebbe che rabbia, fatica e un cavallo perduto. I poveri invece vissero felici, tranquilli e pii fino alla loro morte serena. Non tutti i poveri sono buoni, nè tutti i ricchi malvagi, non generalizziamo. Ci sono persone e coloro che credono di essere persone, tutto ciò nulla ha a che fare col sesso di appartenenza, cultura, stato sociale, ricchezza, ma con chi si è davvero, non con chi si pensa di essere, inoltre non dimentichiamo una cosa molto importante, non pretendere mai, chi pretende di essere amato, chi pretende che gli altri abbiano fiducia in lui, chi pretende di essere aiutato e supportato perchè si trova in difficoltà o pensa di dover riscuotere un debito perchè meno fortunato degli altri si sbaglia di grosso. Il mondo non deve niente a nessuno. Tutti abbiamo diritto ad essere rispettati e ad avere le opportunità di realizzarci e vivere dignitosamente, ma siamo noi che dobbiamo meritarci l'amore altrui e viceversa, siamo noi che dobbiamo affrontare le avversità e comprendere che fanno parte della vita, siamo noi che dobbiamo costruire la nostra vita ogni giorno. Siamo noi che creiamo il nostro destino.

Grazie May Ying Lau

giovedì 27 marzo 2008

LA SANTA PASQUA DI RESSURREZIONE

Domenica di Pasqua, tutta la comunità (o quasi) è presente alla funzione delle 11:00 in parrocchia, e don Agostino questo lo sa………….
Ci sono i fedelissimi, i soliti quattro gatti, quelli solo per Pasqua e Natale, quelli che devono apparire in società, col nuovissimo assortimento primavera/ estate 2008, etc…..
Sembra proprio che ci siamo tutti; ci sono anche gli amici della spiaggia, lavati e rivestiti dalla Caritas diocesana e fortemente voluti alla celebrazione da Irene, per dare un quadro reale cittadino al resto della comunità
Chiaramente, relegati in un angolino……..
Chiaramente, fatti entrare circa mezz’ora prima da un ingresso secondario.
Chiaramente, secondo disposizioni del parroco!

Gommone: Cazzo, l’ultima volta che sono entrato qui dentro, è stato al funerale di un mio collega precipitato da una banchina, avrei voluto soffocare con il santo calice.
L’amministratore delegato presente in pompa magna, in rappresentanza dell’azienda, per partecipare al lutto della famiglia,………………. con commozione.

Zattera: almeno per oggi taci e ascolta, chissà che non ti faccia bene!!

Gommone: senti!!! se non era per Irene che ci ha trascinati qua dentro, nemmeno morto ci voglio rientrare, buttatemi in mare con una pietra al collo!!!!

Zattera: santa ragazza, gli è costato due giorni di preghiere, un vestito seminuovo, un taglio di capelli, barba e bagno completo………………!!

Gommone: beh non potevo mica presentarmi come un Barbone…e guarda che il bagno non me lo ha fatto lei…..!?!

Zattera: Gesù mio, questo bestemmia anche a casa tua ( guardando verso il cielo)……………..!


Il rito prosegue, qualche bambino ingenuamente, si fissa con lo sguardo sui ns. amici, finchè qualcuno non lo distoglie con piccoli ceffoni, oppure ricevono le linguacce e i gesti inequivocabili di Gommone.

Don Agostino: miei cari parrocchiani, mi sollecita vedervi tutti qui riuniti, almeno in occasione della festa per la Resurrezione di Cristo…bla bla..bla…

Gommone: Guarda c’è anche sua figlia in prima fila!!!!!

Zattera: ma che cazzo dici?!!??? quella è la direttrice del Credito Cooperativo!!!

Gommone: quello che fa per campare non lo so, ma ti assicuro che è figlia naturale di quel porco!
Ho conosciuto la madre, un giorno era una devotissima parrocchiana e assidua lavoratrice, oggi sua figlia a quanto dici tu è direttore di banca, lei campa di rendita e si è ritirata in un casale su in montagna.
Subito dopo aver partorito, la neonata è stata affidata ad un convento di Parma, non l’ha mai vista. Dieci anni fa una sera venne in città, finimmo insieme ad un allegra combriccola all’osteria e dopo tre bottiglie di Bonarda, mi confessò di avere una figlia adolescente e di non sapere che faccia aveva, e per questo odiava tutti gli uomini me compreso!!
Io che pensavo mi pigliasse per il culo, ho insistito e l’ho tampinata di domande e quando le ho chiesto chi era il padre, prese il crocifisso che portavo al collo, ci sputò sopra e mi rispose:
il tuo parroco!!!!
Dallo sguardo che mi rivolse, capì che non mentiva.
Rinunciai alla prospettiva di portarmela a letto, quella sera e le versai dell’altro vino, pur sapendo, che un’intera botte non sarebbe bastata a lavar via quel groppo di rabbia che si portava dentro.

Zattera: incredibile, io l’ho conosciuta era una donna in gamba e penso che lo sia ancora!

Gommone: taci adesso voglio vedere dove va a parare quel gran paraculo!!

Don Agostino dal pulpito:………………e se crediamo nel miracolo della Resurrezione, dobbiamo impegnarci e credere in noi stessi, nel nostro futuro e nel futuro dei ns. figli qui presenti!
La vita a volte ci riserva delle brutte sorprese (rivolgendo lo sguardo all’angolo di chiesa dedicato ai margini della società , stando ben attento a non incrociarne nessuno), ma non bisogna mai cedere alla vita e rialzarsi sempre, il Signore ci aiuta tutti i giorni, e ascolta le ns. preghiere.

Gommone: e già RIALZATI ITALIA!!!!

Zattera: si SI PUO’ FARE!

Don Agostino:bla …bla…………. bisogna dire basta e voltare pagina, basta con lo sdegno quotidiano che ci circonda, basta con la droga fra i nostri ragazzi, basta con la promiscuità, basta con le politiche libertine, basta con le prostitute schiave per le strade, basta con lo spreco,……………..( una pausa astuta nel discorso)…………. bisogna sfamare gli affamati e dar da bere agli assetati, e non ho paura di rivolgermi all’amministrazione locale, che con molto piacere è qui presente, per chiedere loro, delle azioni decisive contro tutto questo e una politica che riprenda in pieno i valori cristiani!!!

Gommone: fammi uscire ti prego, mi viene da vomitare!!!!!!!!

Zattera: non ricominciare a fare lo stronzo!!!!!

Gommone: ma come cazzo fa a dire ste cose, con sua figlia in prima fila, lei non lo sa, ma lui si cazzo!
Lui che ha reso puttana una donna qualunque, pagando il suo silenzio con una rendita vitalizia, lui che tutti i mercoledì sera, cena allo stesso tavolo con l’edicolante, il più bastardo strozzino che sia mai visto, nonché spacciatore all’ingrosso, (pensa che i tossici, hanno una sua foto in tasca e la tengono come santino), lui che ha reso orfana una ragazza con in genitori naturali, vivi e vegeti, lui che continua a sedurre le mogli degli altri e si dedica alle orge con quella grandissima troia di Luciana!!! per non parlare, di tutti i cazzo di intrallazzi che combina col sindaco e amministratori vari a vantaggio della comunità…..lui!!!!!!!!

Zattera: o abbassa la voce, ci stanno guardando!!

Gommone: ma non capisci che ci devono stare a sentire e non guardarci…………???
Io penso che se Gesù Cristo esistesse veramente, in questo preciso momento si schioderebbe da quella croce….. la dietro l’altare, scenderebbe giù, e quella stessa croce gliela spaccherebbe sulla schiena a quel porco!

Zattera: puoi anche avere tutte le ragioni di questo mondo, anzi ce le hai sicuramente tutte, ma tu non devi ascoltare le sue parole, ma le parole che legge, le parole del Signore…….

Gommone: e allora qua dentro che cazzo ci siamo venuti a fare??
La prossima volta vai in libreria e comprami una Bibbia che fino a prova contraria so leggere!!

Don Agostino: La messa è finita, andate in pace.

I parrocchiani ordinatamente escono, si scambiano saluti e occhiate sul sagrato, fino a quando tutti quanti si recano a casa o al ristorante prenotato per il Pranzo di Pasqua………………..
I nostri amici invece, tornano da dove sono venuti.
A loro, è stata donata una colomba a testa (rimaste invendute e praticamente a breve scadenza), tanti saluti e arrivederci.

Ma non dubitate, le cose non potranno che andare sempre meglio.

mercoledì 26 marzo 2008

Un barbone geniale!

(http://www.pietropacelli.com/barbone.htm)

Ai tempi dell’Università feci una conoscenza che non dimenticai mai più e che mi condizionò per tutta la vita; in uno dei miei vagabondaggi di studio ( mi piaceva studiare passeggiando nei luoghi più insoliti ) conobbi a Roma, sotto i ponti del Tevere, un barbone di mezza età che conduceva una vita poverissima ma molto tranquilla, dignitosa e rilassata; l’impressione che dava, al di là dell’alone di romanticismo che ci piace sempre immaginare in una figura di questo tipo, era quella di un uomo che aveva capito tutto della vita e dei suoi indecifrabili misteri; non parlava molto, preferendo invece osservare con molta attenzione tutto ciò che gli capitava intorno con un’aria di chi possedeva particolari lenti attraverso le quali poteva decifrare, in una originalissima dimensione, le cose, gli uomini, le piante e quant’altro si muoveva o esisteva intorno a lui. Al contrario, non era molto favorevole alla conversazione, preferiva, quasi con ostinazione, il silenzio; possedeva un sguardo invidiabilmente distaccato, qualche volta sorpreso, spesso meravigliato, per non dire estasiato; a volte sorrideva, forse a qualcosa o a qualcuno, senza una apparente motivazione; era la classica figura che spesso passa, agli occhi della gente normale, per un tipo particolare e stravagante, per non dire matto; non era neanche moltointeressato alle cure materiali del suo corpo, per quanto fosse sempre molto pulito, a prescindere della qualità dell’abbigliamento; anche nel mangiare aveva uno stile parco e riservato; poche cose, essenziali, con rapidità e noncuranza, come se avesse ben altro da fare.
Riuscii a entrare in confidenza con lui dopo molto tempo; fu sua l’iniziativa dopo miei svariati infruttuosi tentativi di contattarlo; avvenne quando, posato a terra il libro su cui stavo studiando, mi persi nell’osservazione del fiume che scorreva lento davanti a me; “cosa guardi?” mi chiese; “il fiume”, risposi; “e cosa vedi?”, “il fiume che scorre lento”; sorrise con un’aria comprensiva, ma triste e rispose soltanto: “capisco”, come se non potesse aspettarsi altro da me; il nostro colloquio, quel giorno, finì lì; anche lui si concentrò a guardare il fiume e lo spazio immediatamente sopra; lo osservai per un po’, senza farmi notare, e mi accorsi che quel barbone riusciva a vedere altre cose, altri movimenti che a me sfuggivano; stava lì con una partecipazione intensa, come un familiare a casa sua, come se quelmondo non gli nascondesse niente e gli appartenesse veramente.
Nei giorni che seguirono la nostra conoscenza migliorò; parlava molto più volentieri con me; mi spiegò che mi aveva posto quella domanda iniziale, perché pensava che stessi guardando non il fiume, ma dentro il fiume e immediatamente sopra; pensava, o meglio, sperava che avessi capito, o almeno percepito il suo segreto; gli chiesi di precisare meglio cosa intendesse, ma si mostrò molto riluttante perché, a suo dire, gli uomini non capiscono, si limitano solo al superficiale, non riescono ad entrare nel profondo della natura pur essendo parti della natura e pur possedendo un talento innato per penetrarla. Iniziò, allora, tra di noi una certa confidenza e cominciò a spiegarmi più esattamente cosa intendeva con quelle frasi; mi trovai all’improvviso di fronte ad una nuova visione del mondo.
Secondo quel mio nuovo amico, tutti noi osserviamo l’esterno con occhi molto limitati;all’inizio vediamo soltanto l’aspetto superficiale, esterno, meno importante di quello che ci circonda; ci limitiamo, insomma all’aspetto puramente esteriore, senza approfondire. Saremmo quasi come dei non vedenti che ignorassero l’esistenza della vista; i nostri occhi utilizzano, per vedere, poche dimensioni e gli sfuggono le moltissime dimensioni che invece esistono e che consentirebbero la comprensione vera della realtà, di tutta la realtà; in questo modo l’uomo perde l’unica occasione che gli viene offerta per vivere pienamente la sua esperienza.
Hanno rinunciato alla fantasia e, anche alla curiosità; stupidamente hanno delegatoai computer la guida della loro vita, divenendo soltanto corpi biologici che si nutrono,si ingrassano, curano inutilmente e in modo assillante il loro involucro esteriore. La fredda materialità del mondo industriale moderno ha aggravato la situazione; gli uomini vedono sempre meno, assomigliano sempre più ai prodotti e alle tecnologie che hanno inventato; gli uomini hanno barattato la conoscenza con il confort, acquisiscono sempre più ricchezza in cambio del vero potere: quello della comprensione della realtà, della vita e del loro destino.
Sempre con molta calma e sicurezza continuò a svelarmi il suo punto di vista; è possibile –proseguì- capire chi siamo e cosa siamo; ma occorre sbarazzarsi dei filtri che ci imprigionano e che ci mostrano altre strade; l’uomo che parla in strada, da solo, con il telefonino, e poi in macchina ascolta musica e continua a parlare al telefono, e poi a casa si concentra davanti alla televisione e poi si addormenta con la televisione accesa, è un uomo perduto; l’uomo che quando si sveglia la notte pensa sempre, in modo assillante e frenetico al business del giorno dopo è un pezzo biologico in movimento, senza coscienza e senza ricambi, senza vista e senza udito; quell’uomo è una cosa persa, anche se pensa di aver raggiunto il successo e di essere arrivato; non solo; quell’uomo, così frequente e crescente nelle nostre città, è sempre più solo, produce e dispensa nuove solitudini, in una rincorsa molto stupida verso ciò che non ha senso.
Si deve, invece, pur godendo delle nuove comodità, essere semplicemente capaci di usarle senza diventarne schiavi o innalzandole a nuovi miti; e, dunque, cercare di vedere meglio, di capire, di concentrarci sugli innumerevoli segnali che possiamo cogliere e che ci giungono spontaneamente dall’esterno e anche dall’interno.
Attraverso la concentrazione, la riflessione profonda, il silenzio -continuò-, è possibile osservare un altro mondo; non si deve avere fretta di scoprire tutto e subito; si tratta di un procedimento graduale, per fasi successive e consolidamenti successivi, che ha bisogno di molta forza interna e soprattutto di una grande volontà; chi inizia con determinazione comincerà ben presto a intravedere dei segnali chiari; poi la strada scorrerà, più velocemente, in discesa, perché, a quel punto, sarà una reazione a catena; all’inizio bisogna farsi aiutare anche dall’immaginazione e dalla fantasia; successivamente, la nuova realtà si affermerà prepotentemente e ci donerà la nuova, profonda, radicata consapevolezza.
Iniziò così a parlarmi dell’energia che anima ogni cosa e delle aree di energia più o meno vaste e concentrate che esistono in tutto ciò che vediamo; noi possiamo, in determinate condizioni ambientali e psicologiche legate ad un stato di tranquillità e rilassatezza, prima soltanto immaginare o intuire quelle aree di energia, e poi sempre più chiaramente capirle, vederle e persino sentirle fisicamente sulla nostra pelle e fin dentro i nostri stupefatti sensi; quelle aree di energia permeano e costituiscono tutto, persone, cose, animali, uomini, vegetali, fiumi, mari, montagne, fiori, pietre, insetti, ma anche temporali, venti, terremoti, inondazioni; sono in movimento perenne, si interrelazionano, si incrociano, affermano con decisione la loro esuberante esistenza, lottano per la sopravvivenza, si fondono e si dividono, danzano e rifuggono, dando luogo, in tal modo, alla vera lotta per la vita, per l’esistenza. Noi siamo il loro prodotto, il loro strumento, il loro modo di essere, di esprimersi, di apparire; siamo loro figli, ad esse rispondiamo e da esse dipendiamo; tutte le nostre manifestazioni sono legate al loro sviluppo, al loro stato di grazia o di depressione, alla loro giocosa o viscerale attività, che è perenne, mai doma, sempre in funzione, soggetta a periodiche trasformazioni.
Quell’energia, raggruppata in aree, e operativa in diverse forme, a seconda della sua intensità e della sua originale composizione, compenetra ed è la parte fondante del nostro organismo, scaturisce da esso e in esso ritorna; in questa vita e in altre vite; dà luogo a manifestazioni, sta intorno a noi, si proietta e riceve proiezioni, si agita e rotea intorno a noi; essa può essere visibile, anche a occhio nudo e può indicare all’osservatore attento le sue direzioni, le sue predisposizioni, le sue inclinazioni e anche i suoi desideri, i suoi movimenti e il suo ritmo.
La nostra particolarità, l’aspetto meraviglioso della nostra unicità consiste nel fatto che noi possiamo acquisire autonomia, agire in proprio; divenire nel pur brevissimo lasso di tempo della nostra vita una realtà specifica per quanto microscopica, peculiare, originale, che può navigare da sola, volare da sola, capire da sola e ragionare da sola. L’uomo non è altro che l’energia rappresentata in una delle sue più alte espressioni; è una fonte di ricchezza; una manifestazione straordinaria di potenza, di conoscenza, di capacità conoscitive e percettive senza precedenti.
Ma la presenza dell’energia non è appannaggio soltanto delle forme di vita umane; essa è presente e visibile ugualmente, pur in forme molto diverse tra di loro, anche negli animali e nei vegetali e persino nelle pietre, nell’acqua e nella terra; non si tratta infatti che della manifestazione esteriore del meraviglioso scontro perenne tra le parti costituenti della materia, di ogni tipo di materia; la fisica delle particelle,l’unica scienza, tra quelle esistenti, che ha indagato a fondo e nel profondo questo aspetto della vita, ha ampiamente e “oggettivamente” dimostrato la fondatezza di queste affermazioni; spetta però a noi andare oltre, apportare il valore aggiunto della nostra sensibilità percettiva e riuscire a vedere quello che la brutalità materiale della nostra vita quotidiana invece ci nasconde; la vera rivoluzione “tecnologica” che mi aspetto e che a tutti noi serve non sta in una ulteriore evoluzione del videotelefonino o in un superiore aggiuntivo confort della prossima automobile di grido, ma nella ricerca applicata e concretizzata di un metodo per vedere veramente al fondo la sostanza delle cose e della materia, vivere quella sostanza come sarebbe necessario e giusto, penetrare e comprendere pienamente ciò che siamo, chi siamo e dove stiamo andando; non ci può essere, al contrario, rapporto tra le luci al neon e la luce della verità riconoscibile; se il computer, invece di essere uno strumento di lavoro utile, si trasforma in una nuova divinità da venerare che assorbe tutto il nostro tempo, non avremo scampo, poiché saremo sempre più accecati dai falsi valori e dalle false verità che quella scatola di plastica, di fili intrecciati e di conoscenza artificiale e spesso contraffatta ci propina con generosità. Dovremmo prendere finalmente e definitivamente atto che il computer, come tutte le scoperte, le invenzioni e le innovazioni, è soltanto uno strumento in più che abbiamo e di cui possiamo disporre per affrontare le difficoltà della vita; non possiamo innalzarlo a nuovo mito, nuovo ideale, nuova divinità.
E’ comunque, quello che crediamo essere il nostro mondo, una versione superficiale, leggera, artificiale e mascherata della vera realtà; più ci estraniamo da quella superficialità e più possibilità abbiamo di trovare il bandolo della matassa che vogliano dipanare.
Questi pensieri mi riempivano la mente mentre stavo ascoltando con sorpresa e interesse fortissimo quella specie di summa filosofica e di vita; intuivo che quelle teorie venivano dal profondo del cuore di quel barbone e sentivo inspiegabilmente ma con sicurezza che quel mio nuovo strano amico non aveva tutti i torti.
Quando finì di parlare si sdraiò sul suo povero tappetino di cartone, bevve un lungo sorso d’acqua e si addormentò profondamente come per volersi riprendere da un grande stress. Io restai lì, vicino a lui, seduto a ripensare a quel colloquio; e mentre lo guardavo dormire ebbi netta l’impressione che soltanto una piccolissima parte di lui stesse dormendo; sentivo che in qualche modo continuava a trasferirmi la sua conoscenza e la sua saggezza e avvertivo con molta intensità la sua energia vitale nello spazio circostante.

martedì 25 marzo 2008

Consiglio cinematografico

Il maschile, il sé e l'altro da sé in "Tom White"

Il soggetto di “Tom White”, ovvero quello di uomini non ancora di mezza età pervasi da un malessere talmente profondo, talmente travolgente, talmente assoluto da coinvolgere tutto quello che li circonda, ha conosciuto varie declinazioni cinematografiche nel corso di questi ultimi quindici anni in cuila mascolinità è entrata in uno stato di crisi che non è eccessivo definire permanente e radicale.Operai più o meno qualificati, impiegati, e liberi professionisti insoddisfatti del loro lavoro, stanchi delle loro famiglie, frustrati da un quotidiano sempre uguale, monotono, privo di imprevisti, pianificato nel dettaglio, diventano estranei a se stessi e cercano le soluzioni più disparate per fare i conti con la propria perdita d’identità. Alcuni restano a casa ed evadono dalla piattezza delle loro esistenze abbellendo la realtà con l’immaginazione (“American Beauty”, Sam Mendes, 1999), altri si inventano una vita di scorta più violenta, sregolata ed elettrizzante (“Fight Club”, David Fincher, 1999), altri ancora si lasciano tutto alle spalle e si mettono “sulla strada” alla ricerca di un Sé di cui il viaggio è da sempre esplicita ed eloquente metafora (“Lunedì mattina”, Otar Iosseliani, 1999). In “Tom White” il regista australiano Alkinos Tsilimidos opta per quest’ultima variazione sul tema, ma fa del vagabondaggio di Tom (Colin Friels) tra St Kilda e Port Melbourne un espediente per esplorare le vite di quattro sconosciuti che incrociano accidentalmente il suo cammino, più che un viaggio animato da un movimento reale. Ecco allora che al tema della messa in questione del ruolo maschile convenzionale, si sovrappone quello altrettanto attuale della casa o della mancanza di una casa, perché qui i personaggi che interrompono fugacemente la solitudine di Tom sono, nessuno escluso, senzatetto, emarginati, miserabili. Un giovane uomo da marciapiede (Matt/Dan Spielman), una tossicomane (Christine/Loene Carmen), un barbone alcolizzato (Malcolm/Bill Hunter) e uno sniffatore di colla che è poco più di un bambino (Jet/Jarryd Jinks). Concetti come l’appartenenza, la collocazione, il radicamento sono inapplicabili a quell’universo parallelo che Matt definisce opportunamente un “paese straniero”, in cui non a caso Tom resta ripetutamente privo di un nome solo per essere “ribattezzato” di volta in volta. Tom che un tempo viveva in una confortevole casa di periferia e aveva una moglie e due figli; Tom che lavorava come progettista ma aspirava a fare l’architetto e che adesso non sa più chi o cosa sia. La domanda “chi sei?” è infatti la frase più ricorrente del film e la mancanza di nome del protagonista è la manifestazione letterale della sua mancanza di una storia personale, vale a dire della sua perdita di identità. La depersonalizzazione e la frantumazione dell’identità di Tom, Tsilimidos le mette in evidenza fin dall’inizio della pellicola attraverso una ripresa fatta dall’interno di un’uccelliera che genera un’immagine scissa di Colin Friels, in un’atipica ma significativa inquadratura in split-screen . E se il disorientamento a cui alludono già i titoli di testa attraverso la canzone di Paul Kelly, “I am your true shepherd”, farebbe supporre che stiamo per assistere alla parabola della pecora smarrita ricondotta a casa dal buon pastore, il lavoro del film è proprio quello di rovesciarne i presupposti. Perché qui a guidare verso la consapevolezza e a riportare sulla “retta via” l’uomo che ha perso il cammino, sono gli ultimi della terra, i reietti, quelli che hanno imboccato un’altra strada da tempo e non hanno più nessuno che corra a cercarli. Ammesso che una retta via esista e che lo scopo del film sia quello di indicarne la direzione. Che il protagonista torni ad essere l’uomo che era o decida di assumere un’altra identità alla fine del viaggio, evidentemente, non è la preoccupazione principale di “Tom White” che, infatti, non presenta il classico scioglimento dell’intreccio né un epilogo definitivo. Ciò che importa è che l’incontro e lo scambio con l’altro da sé qui avvengono al di fuori del consesso sociale, al di là dell’ordine costituito, in quel paese straniero che è terra di tutti e terra di nessuno, che è luogo di frammentazione e insieme di appartenenza. In questo altrove i confini dell’identità si sfaldano e il fragile Io moderno riconosce anche la propria differenza.
Titolo originale: “Tom White”; Regia: Alkinos Tsilimidos;
Sceneggiatura: Daniel Keene; Fotografia: Toby Oliver;
Montaggio: Ken Sallows;
Musiche: Ralph Rieckermann;
Scenografia: Dan Potra;
Costumi: Jill Johanson;
Produzione: Fandango Australia, Rescued Films; Distribuzione: Fandango;
Interpreti: Colin Friels, Dan Spielman, Loene Carmen, Bill Hunter, Jarryd Jinks, Rachael Blake, David Field;
Origine: Australia;
Anno: 2004;
durata: 106’
http://www.imdb.com/title/tt0360798/

domenica 23 marzo 2008

Consiglio letterario!


“Scrivere è un lavoro da sfaccendati, ogni motivo è buono per mollare, per uscire dalla clausura”. Per incontrare, talvolta, personaggi senza trama e senza autore. Che si raccontano in un capitolo, “uno solo, dall’alba al tramonto”. Come quel barbone all’uscita del supermercato, una miscela di “zucchero” ed “ insulti sessuali”, in cui la scrittrice Margaret Mazzantini - volto preraffaellita e uno sguardo cui sembrano concedere confidenza verità precise e pur lontane - ha riconosciuto un desiderio inedito, un sospetto. Un volto, forse: “Quella faccia affamata e sparuta che avresti potuto avere se il tuo spicchio di mondo non ti avesse accolto. Perché in ogni vita ce n’è almeno un’altra”. Così è nato “Zorro. Un eremita sul marciapiede”, monologo creato su misura per il marito e attore Sergio Castellitto. Come dono inconsueto: “la possibilità di sgangherarsi”. Perché il teatro è scioglilingua e scioglianima. E’ un marciapiede per vagabondi, uno scoglio nel grande fiume, “nell’impegnativo corso” della cosiddetta vita Normale.Dopo il meritato successo de “ Il catino di zinco” e di “ Non ti muovere”, la Mazzantini si conferma interprete dell’anima, acuta e coinvolgente. Narrando, su piani temporali sconnessi ma esaurienti (quadri che svelano con misura il segreto di una vita) la vicenda di un uomo qualunque. Moglie, Capufficio, una Famiglia d’origine che profuma di lasagne e polenta, di “miele e strofinaccio” . Mite l’infanzia e lineare il percorso, come il “tapis roulant” su cui camminano “ i regolari”. Quelli che Zorro chiama Cormorani, gli uomini che non sospettano che “ognuno ha la sua favola” , sebbene sgangherata, e che “il sogno è bello in solitudine, stretto nelle mani nude, magari sporche, magari dure”. Perché la vita non è in orizzontale. Talvolta è un piano inclinato, ti sorprende. Basta una piccola rivoluzione, un accidente. Un garzone del distributore di benzina che, imprudente, ti taglia la strada. Scivolano, allora, amori e certezze. E ti ritrovi sulla strada, senza seguirne il corso. Con il tuo cuore, le tue gambe in spalla, un misterioso guinzaglio al collo. E l’insopprimibile desiderio di pulizia e buoni profumi, di donne gentili dal baricentro basso, come il cielo di città. Quello da cui il Signore ci guarda con gli occhi che gli bruciano di benzene, sorpreso da “tutta ‘sta fantasia, tutto ‘sto fricandò”. Lui che “si credeva che eravamo più faciloni, buoni e cattivi, peccato e redenzione e amen”. Un inno dolente all’Irregolarità. Tra “sinfonie da senzatetto” (poesia e saggezza senza fronzoli) che si alternano alle parole impudiche della marginalità. Lasciando il sospetto di una gioia ruvida - forse vile, forse coraggiosa - di chi “ha accettato il suo destino (…) imprecando e ringraziando insieme”.


Margaret Mazzantini “Zorro. Un eremita sul marciapiedi.” Piccola Biblioteca Oscar Mondadori

martedì 18 marzo 2008

Una soluzione!!

questa che propongo, è una soluzione per reciclare un pò di materiale, che a noi non serve più ma altri è di vitale aiuto!

http://www.creatividellanottemusicforpeace.org/hom- e.htm

Consultatelo !

lunedì 17 marzo 2008

IL PAESE DEI BALOCCHI

Gommone:mio caro amico e compagno, siamo arrivati alla fine, ieri mi sono fatto un giretto in città e sono arrivato alla conclusione che presto la gente, si riverserà nelle strade, sbattendo le pentole come qualche anno fa in Argentina!!!!!

Zattera: buongiorno! Come al solito di buon umore stamattina, eh?

Gommone: ascolta, tu lavoravi nel campo della finanza, o sbaglio?

Zattera: si nella mia vita precedente, ero il direttore di una Sim, qui in città, ma preferisco non parlare del passato, lo sai!

Gommone: io invece, facevo il camallo al porto e ancora oggi, non capisco come mai nessuno di voi cervelloni ha mai studiato l’aritmetica!!

Zattera: l’aritmetica, ma sei scemo!!!………………dove cavolo vuoi arrivare?

Gommone: ma si, l’aritmetica, addizioni, sottrazioni, moltiplicazioni e divisioni………………..ti faccio un esempio: un giorno al porto arrivarono due carghi con venti container l’uno, 20+20 = 40, oppure 20 x 2 = 40 , addizione e moltiplicazione!

Zattera: ok, ho capito!! che vuoi prendermi per il culo?!!! io mi stappo una boccia e comincio a far colazione!

Gommone: aspetta, aspetta ,…….!! quella mattina, c’eravamo io e quattro colleghi, in totale cinque camalli, ci siamo guardati, ed ad un certo punto uno esclamo’: “ beh anche per oggi abbiamo fatto giornata!: 40 container, 5 stronzi camalacci ed un ora circa a container, ci rimane giusto il tempo di fumarci qualche sigaretta del cazzo, ma entro sera avremmo finito”…….

Zattera: ho capito!! 40 contianer, diviso cinque uomini, fanno otto container a testa, divisione;……………un container all’ora, fanno otto ore,……. moltiplicazione………cioè una giornata di lavoro!!!!

Gommone: ma allora, l’avete studiata l’aritmetica!!!!!!!

Zattera: quando fai così ti spaccherei la bottiglia in fronte, quando lo
svuotata……….!!!

Gommone: calmati, buffone!!!!! visto che hai studiato, spiegami quanto petrolio si estrae nel mondo diciamo in un anno?

Zattera: non ne ho la più pallida idea!

Gommone: bhe fissiamo un numero immaginario e diciamo tot!

Zattera: ok!

Gommone: è adesso dimmi? come mai quasi duemiliardi di cinesi vanno in bicicletta e qui i città ogni famiglia ha minimo due automobili?

Zattera: ????????????

Gommone: è indubbiamente probabile che di tot petrolio estratto, una buona fetta, anzi direi la quasi totalità, viene poi usata a beneficio di alcune economie e non per tutto il mondo!

Zattera: ho capito, e tu vorresti risolvere con addizioni e divisioni , tutti i problemi del mondo?

Gommone: no, certo che no!!! ma ascoltami! come siamo potuti arrivare al consumismo? ti rendi conto che oggi, è più conveniente comprarsi un frigorifero nuovo che riparare quello guasto!! indipendentemente dal guasto? Che se non fosse così, la fabbrica di frigoriferi chiuderebbe!! perchè se non rientra in una certa produzione…etc..etc.. e che fine fa il frigorifero guasto sostituito?

Zattera: lo buttano via?

Gommone: dove?

Zattera: ma che cazzo ne so!!!

Gommone: e tutte le materie prime utilizzate per quel cazzo di frigorifero?…secondo me, non si tiene conto del fatto che le materie prime non sono inesauribili!

Zattera: io non ti seguo!

Gommone: e già, a questo punto, sono in tanti a non seguire più il filo del discorso……..uno più uno fa due!!……non si scappa!!………presto vedremo i risultati di un secolo di economia di mercato, io spero di essere morto!!!!

Zattera: se continui con ste seghe mentali tutti i santi giorni, ti prometto che una botta in testa te la d’ho io!!!!

Gommone: passami quella boccia, che sono digiuno!! Vedo che già l’hai smezzata, ora tocca a me far colazione!!!

Zattera: vaffanculo!!! non la smetti mai!!! tieni e buona giornata!! io me ne vado a fare un giro….

Continua………

domenica 9 marzo 2008



giornale Repubblica 06/03/2008

Francesca Zuccari, Sant'Egidio "Ma quel gesto è già un aiuto"

ROMA — «Anche l'elemosina può servire ad aiutare un barbone, soprattutto perché può essere un momento di contatto con chi da tempo vive lontano dalle istituzioni, un modo per creare l'inizio di una relazione: i cittadini possono fare da collegamento con i volontari che si occupano dell'assistenza». Francesca Zuccari, responsabile dei servizi per le persone senza fissa dimora per la Comunità di Sant'Egidio, ricorda che spesso avvicinare chi vive in strada significa fare più di un tentativo, «e gli spiccioli sono uno dei modi possibili, quello che può fare il singolo accanto agli interventi delle istituzioni e delle unità di strada».
Quale è l'azione più efficace per contrastare il fenomeno dei senza fissa dimora?
«Non agire sull'onda dell'emergenza, quando ad esempio qualcuno muore per il freddo durante l'inverno, ma offrire soluzioni continuative. Sono pochi quelli che vanno in strada per una scelta di vita, la maggior parte dei senza fissa dimora non ha alternative: servono centri di accoglienza diversificati per ospitare chi non è più abituato a stare a stretto con-tatto con gli altri, serve una risposta abitativa a prezzi contenuti per chi non può permettersi una casa e dei piani di reinserimento per chi è stato espulso dal mercato del lavoro».
I dati disponibili sulla presenza dei barboni in Italia fotografano le dimensioni del fenomeno?
«Sono stime che devono raccontare un fenomeno parcellizzato, che registrano chi vive in strada o frequenta dormitori e mense, ma non tengono spesso conto di chi si rifugia sotto i viadotti o nelle strade abbandonate o in luoghi nascosti proprio per evitare di essere mandato via. Oggi il fenomeno nel nostro Paese è cresciuto per la presenza dei nuovi poveri, come dimostra anche il fatto che i centri di accoglienza si riempiono appena vengono aperti».