mercoledì 26 marzo 2008

Un barbone geniale!

(http://www.pietropacelli.com/barbone.htm)

Ai tempi dell’Università feci una conoscenza che non dimenticai mai più e che mi condizionò per tutta la vita; in uno dei miei vagabondaggi di studio ( mi piaceva studiare passeggiando nei luoghi più insoliti ) conobbi a Roma, sotto i ponti del Tevere, un barbone di mezza età che conduceva una vita poverissima ma molto tranquilla, dignitosa e rilassata; l’impressione che dava, al di là dell’alone di romanticismo che ci piace sempre immaginare in una figura di questo tipo, era quella di un uomo che aveva capito tutto della vita e dei suoi indecifrabili misteri; non parlava molto, preferendo invece osservare con molta attenzione tutto ciò che gli capitava intorno con un’aria di chi possedeva particolari lenti attraverso le quali poteva decifrare, in una originalissima dimensione, le cose, gli uomini, le piante e quant’altro si muoveva o esisteva intorno a lui. Al contrario, non era molto favorevole alla conversazione, preferiva, quasi con ostinazione, il silenzio; possedeva un sguardo invidiabilmente distaccato, qualche volta sorpreso, spesso meravigliato, per non dire estasiato; a volte sorrideva, forse a qualcosa o a qualcuno, senza una apparente motivazione; era la classica figura che spesso passa, agli occhi della gente normale, per un tipo particolare e stravagante, per non dire matto; non era neanche moltointeressato alle cure materiali del suo corpo, per quanto fosse sempre molto pulito, a prescindere della qualità dell’abbigliamento; anche nel mangiare aveva uno stile parco e riservato; poche cose, essenziali, con rapidità e noncuranza, come se avesse ben altro da fare.
Riuscii a entrare in confidenza con lui dopo molto tempo; fu sua l’iniziativa dopo miei svariati infruttuosi tentativi di contattarlo; avvenne quando, posato a terra il libro su cui stavo studiando, mi persi nell’osservazione del fiume che scorreva lento davanti a me; “cosa guardi?” mi chiese; “il fiume”, risposi; “e cosa vedi?”, “il fiume che scorre lento”; sorrise con un’aria comprensiva, ma triste e rispose soltanto: “capisco”, come se non potesse aspettarsi altro da me; il nostro colloquio, quel giorno, finì lì; anche lui si concentrò a guardare il fiume e lo spazio immediatamente sopra; lo osservai per un po’, senza farmi notare, e mi accorsi che quel barbone riusciva a vedere altre cose, altri movimenti che a me sfuggivano; stava lì con una partecipazione intensa, come un familiare a casa sua, come se quelmondo non gli nascondesse niente e gli appartenesse veramente.
Nei giorni che seguirono la nostra conoscenza migliorò; parlava molto più volentieri con me; mi spiegò che mi aveva posto quella domanda iniziale, perché pensava che stessi guardando non il fiume, ma dentro il fiume e immediatamente sopra; pensava, o meglio, sperava che avessi capito, o almeno percepito il suo segreto; gli chiesi di precisare meglio cosa intendesse, ma si mostrò molto riluttante perché, a suo dire, gli uomini non capiscono, si limitano solo al superficiale, non riescono ad entrare nel profondo della natura pur essendo parti della natura e pur possedendo un talento innato per penetrarla. Iniziò, allora, tra di noi una certa confidenza e cominciò a spiegarmi più esattamente cosa intendeva con quelle frasi; mi trovai all’improvviso di fronte ad una nuova visione del mondo.
Secondo quel mio nuovo amico, tutti noi osserviamo l’esterno con occhi molto limitati;all’inizio vediamo soltanto l’aspetto superficiale, esterno, meno importante di quello che ci circonda; ci limitiamo, insomma all’aspetto puramente esteriore, senza approfondire. Saremmo quasi come dei non vedenti che ignorassero l’esistenza della vista; i nostri occhi utilizzano, per vedere, poche dimensioni e gli sfuggono le moltissime dimensioni che invece esistono e che consentirebbero la comprensione vera della realtà, di tutta la realtà; in questo modo l’uomo perde l’unica occasione che gli viene offerta per vivere pienamente la sua esperienza.
Hanno rinunciato alla fantasia e, anche alla curiosità; stupidamente hanno delegatoai computer la guida della loro vita, divenendo soltanto corpi biologici che si nutrono,si ingrassano, curano inutilmente e in modo assillante il loro involucro esteriore. La fredda materialità del mondo industriale moderno ha aggravato la situazione; gli uomini vedono sempre meno, assomigliano sempre più ai prodotti e alle tecnologie che hanno inventato; gli uomini hanno barattato la conoscenza con il confort, acquisiscono sempre più ricchezza in cambio del vero potere: quello della comprensione della realtà, della vita e del loro destino.
Sempre con molta calma e sicurezza continuò a svelarmi il suo punto di vista; è possibile –proseguì- capire chi siamo e cosa siamo; ma occorre sbarazzarsi dei filtri che ci imprigionano e che ci mostrano altre strade; l’uomo che parla in strada, da solo, con il telefonino, e poi in macchina ascolta musica e continua a parlare al telefono, e poi a casa si concentra davanti alla televisione e poi si addormenta con la televisione accesa, è un uomo perduto; l’uomo che quando si sveglia la notte pensa sempre, in modo assillante e frenetico al business del giorno dopo è un pezzo biologico in movimento, senza coscienza e senza ricambi, senza vista e senza udito; quell’uomo è una cosa persa, anche se pensa di aver raggiunto il successo e di essere arrivato; non solo; quell’uomo, così frequente e crescente nelle nostre città, è sempre più solo, produce e dispensa nuove solitudini, in una rincorsa molto stupida verso ciò che non ha senso.
Si deve, invece, pur godendo delle nuove comodità, essere semplicemente capaci di usarle senza diventarne schiavi o innalzandole a nuovi miti; e, dunque, cercare di vedere meglio, di capire, di concentrarci sugli innumerevoli segnali che possiamo cogliere e che ci giungono spontaneamente dall’esterno e anche dall’interno.
Attraverso la concentrazione, la riflessione profonda, il silenzio -continuò-, è possibile osservare un altro mondo; non si deve avere fretta di scoprire tutto e subito; si tratta di un procedimento graduale, per fasi successive e consolidamenti successivi, che ha bisogno di molta forza interna e soprattutto di una grande volontà; chi inizia con determinazione comincerà ben presto a intravedere dei segnali chiari; poi la strada scorrerà, più velocemente, in discesa, perché, a quel punto, sarà una reazione a catena; all’inizio bisogna farsi aiutare anche dall’immaginazione e dalla fantasia; successivamente, la nuova realtà si affermerà prepotentemente e ci donerà la nuova, profonda, radicata consapevolezza.
Iniziò così a parlarmi dell’energia che anima ogni cosa e delle aree di energia più o meno vaste e concentrate che esistono in tutto ciò che vediamo; noi possiamo, in determinate condizioni ambientali e psicologiche legate ad un stato di tranquillità e rilassatezza, prima soltanto immaginare o intuire quelle aree di energia, e poi sempre più chiaramente capirle, vederle e persino sentirle fisicamente sulla nostra pelle e fin dentro i nostri stupefatti sensi; quelle aree di energia permeano e costituiscono tutto, persone, cose, animali, uomini, vegetali, fiumi, mari, montagne, fiori, pietre, insetti, ma anche temporali, venti, terremoti, inondazioni; sono in movimento perenne, si interrelazionano, si incrociano, affermano con decisione la loro esuberante esistenza, lottano per la sopravvivenza, si fondono e si dividono, danzano e rifuggono, dando luogo, in tal modo, alla vera lotta per la vita, per l’esistenza. Noi siamo il loro prodotto, il loro strumento, il loro modo di essere, di esprimersi, di apparire; siamo loro figli, ad esse rispondiamo e da esse dipendiamo; tutte le nostre manifestazioni sono legate al loro sviluppo, al loro stato di grazia o di depressione, alla loro giocosa o viscerale attività, che è perenne, mai doma, sempre in funzione, soggetta a periodiche trasformazioni.
Quell’energia, raggruppata in aree, e operativa in diverse forme, a seconda della sua intensità e della sua originale composizione, compenetra ed è la parte fondante del nostro organismo, scaturisce da esso e in esso ritorna; in questa vita e in altre vite; dà luogo a manifestazioni, sta intorno a noi, si proietta e riceve proiezioni, si agita e rotea intorno a noi; essa può essere visibile, anche a occhio nudo e può indicare all’osservatore attento le sue direzioni, le sue predisposizioni, le sue inclinazioni e anche i suoi desideri, i suoi movimenti e il suo ritmo.
La nostra particolarità, l’aspetto meraviglioso della nostra unicità consiste nel fatto che noi possiamo acquisire autonomia, agire in proprio; divenire nel pur brevissimo lasso di tempo della nostra vita una realtà specifica per quanto microscopica, peculiare, originale, che può navigare da sola, volare da sola, capire da sola e ragionare da sola. L’uomo non è altro che l’energia rappresentata in una delle sue più alte espressioni; è una fonte di ricchezza; una manifestazione straordinaria di potenza, di conoscenza, di capacità conoscitive e percettive senza precedenti.
Ma la presenza dell’energia non è appannaggio soltanto delle forme di vita umane; essa è presente e visibile ugualmente, pur in forme molto diverse tra di loro, anche negli animali e nei vegetali e persino nelle pietre, nell’acqua e nella terra; non si tratta infatti che della manifestazione esteriore del meraviglioso scontro perenne tra le parti costituenti della materia, di ogni tipo di materia; la fisica delle particelle,l’unica scienza, tra quelle esistenti, che ha indagato a fondo e nel profondo questo aspetto della vita, ha ampiamente e “oggettivamente” dimostrato la fondatezza di queste affermazioni; spetta però a noi andare oltre, apportare il valore aggiunto della nostra sensibilità percettiva e riuscire a vedere quello che la brutalità materiale della nostra vita quotidiana invece ci nasconde; la vera rivoluzione “tecnologica” che mi aspetto e che a tutti noi serve non sta in una ulteriore evoluzione del videotelefonino o in un superiore aggiuntivo confort della prossima automobile di grido, ma nella ricerca applicata e concretizzata di un metodo per vedere veramente al fondo la sostanza delle cose e della materia, vivere quella sostanza come sarebbe necessario e giusto, penetrare e comprendere pienamente ciò che siamo, chi siamo e dove stiamo andando; non ci può essere, al contrario, rapporto tra le luci al neon e la luce della verità riconoscibile; se il computer, invece di essere uno strumento di lavoro utile, si trasforma in una nuova divinità da venerare che assorbe tutto il nostro tempo, non avremo scampo, poiché saremo sempre più accecati dai falsi valori e dalle false verità che quella scatola di plastica, di fili intrecciati e di conoscenza artificiale e spesso contraffatta ci propina con generosità. Dovremmo prendere finalmente e definitivamente atto che il computer, come tutte le scoperte, le invenzioni e le innovazioni, è soltanto uno strumento in più che abbiamo e di cui possiamo disporre per affrontare le difficoltà della vita; non possiamo innalzarlo a nuovo mito, nuovo ideale, nuova divinità.
E’ comunque, quello che crediamo essere il nostro mondo, una versione superficiale, leggera, artificiale e mascherata della vera realtà; più ci estraniamo da quella superficialità e più possibilità abbiamo di trovare il bandolo della matassa che vogliano dipanare.
Questi pensieri mi riempivano la mente mentre stavo ascoltando con sorpresa e interesse fortissimo quella specie di summa filosofica e di vita; intuivo che quelle teorie venivano dal profondo del cuore di quel barbone e sentivo inspiegabilmente ma con sicurezza che quel mio nuovo strano amico non aveva tutti i torti.
Quando finì di parlare si sdraiò sul suo povero tappetino di cartone, bevve un lungo sorso d’acqua e si addormentò profondamente come per volersi riprendere da un grande stress. Io restai lì, vicino a lui, seduto a ripensare a quel colloquio; e mentre lo guardavo dormire ebbi netta l’impressione che soltanto una piccolissima parte di lui stesse dormendo; sentivo che in qualche modo continuava a trasferirmi la sua conoscenza e la sua saggezza e avvertivo con molta intensità la sua energia vitale nello spazio circostante.

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