sabato 30 maggio 2009

Maria, la clochard del binario 5 tornata a morire sulla sua panchina.

La figlia l’aveva portata in famiglia ma soffriva

Il medico: la stazione è casa sua, lasciatela andare

Binari alla stazione di Verona (Sartori)

VERONA — Maria, nella sua vi­ta, forse pensava di essere come l'aria che aveva deciso di vivere a piene mani, in ogni istante. Maria forse pensava di essere «invisibi­le » a tutti. Ed è così che ha deciso di vivere. Ma Maria non saprà mai che lei non era per niente invisibi­le. Tanto da diventare, lei evane­scente come l'aria, addirittura l'at­to di un congresso. E non un atto tra i tanti che si producono ad ogni assise medica. Perchè Maria e la sua storia sono diventate la «lectio magistralis» del congresso nazionale della società italiana dei geriatri ospedalieri, che si è te­nuto a Verona la settimana scor­sa. Maria questa cosa non la saprà mai. Perchè Maria non c’è più. Ma­ria, che non si chiamava Maria, è morta alcune settimane fa. Ed è morta con un dono che pochi - an­che quelli che si sfondano i porta­fogli con i soldi - possono vantare di avere. Perchè Maria è morta co­me e dove voleva.
Luigi Grezzana, coordinatore del dipartimento interaziendale di geriatria e presidente italiano della società dei geriatri ospedalie­ri, la sua storia l’ha raccontata e ne ha fatto l’introduzione del con­gresso, quando ancora non ne sa­peva la fine. A cercarlo, in ospedale, era sta­ta la figlia di Maria. Al telefono gli aveva raccontato di essere preoc­cupata per la madre, che da quin­dici giorni non mangiava e beve­va solo qualche goccia d’acqua. «Uscito dall’ospedale - ha raccon­tato Grezzana - sono andato a ca­sa sua. Abitava non lontano, in un palazzo assolutamente decoroso. Mi aspettava la figlia che mi aveva cercato al telefono. Sono entrato nell’appartamento, grande, puli­to, ordinato e mi è stato presenta­to un signore di una certa età, pa­dre della giovane donna e marito di Maria». Grezzana è stato accompagnato in camera. «Su un letto lindo, con lenzuola fresche di bucato, una donna di età avanzata, magrissi­ma, sofferente, emaciata». Eppure Maria era lucida. Ma non diceva nulla. A volte è vero che un geria­tra è un uomo che deve «vedere nella nebbia». E così è stato. Grez­zana ha chiesto al marito e alla fi­glia dove abitava prima Maria. «Ho colto che la mia domanda ave­va evocato una reazione insolita, di stupore. Non hanno risposto. Allora ho insistito. La figlia mi ha detto: 'La mia mamma prima abi­tava in stazione, su una panchina del binario numero 5».
E anche questo, come il nome di Maria, è un dato di fantasia. E’ la storia di questa donna che è ve­ra. Maria su quella panchina del binario numero 5 ci «abitava da tredici anni. «La figlia mi ha raccontato che la andava sempre a trovare, ma che lei non si voleva allontanare nel modo più assoluto dalla sua panchina. Quindici giorni prima, visto le condizioni in cui era Ma­ria, ha deciso di portarla a casa per lavarla, accudirla, nella spe­ranza di convincerla a vivere in fa­miglia. Cosa che faceva regolar­mente, ma per non più di qualche ora. Questa volta la figlia aveva de­ciso di trattenere Maria». Il ge­riatra è tornato a parlare con lei. Le ha detto che forse era meglio se tornava alla sua panchina. Lei, Maria, allora ha sorriso: «Là sì che mi vogliono bene». «Era una clochard per scelta ­ha raccontato Grezzana al congres­so - . Non c’era giustificazione al­cuna nè nella famiglia, nè nella ca­sa. Ma per lei quel binario e la pan­china erano la sua casa». Maria a casa sua ci è tornata. Aveva più di ottant’anni, Maria. E quella pan­china era davvero la sua casa. In stazione, a Porta Nuova, la cono­scevano tutti. E tutti conoscevano anche la figlia, che l’andava a tro­vare tutte le settimane. Maria, po­co dopo essere tornata a casa «sua», è morta. E’ morta dove vo­leva, Maria. E come voleva. Per lei non ci sono stati necrologi e fune­rali in pompa magna. Ma ancora oggi basta andare a Porta Nuova e chiedere di lei ­con quel nome che la privacy non permette ma che tutti conoscono - perchè chiunque, in quel mon­do caleidoscopico, la ricordi. «I vecchi - ha detto Grezzana - devo­no essere lasciati liberi. Quella di Maria è una storia che deve inse­gnare molto. In un anziano la casa fa salute, qualsiasi casa sia, pur­ché sia la sua casa». Lo sapeva be­ne Maria, clochard per scelta e at­to di un congresso medico per ca­so.

Angiola Petronio

Corriere della Sera.

giovedì 21 maggio 2009

Foggia, un clochard candidato a sindaco: ma si tratta solo di una «provocazione»

A diffondere la voce è stata l'associazione «Foglio di via» per richiamare l'attenzione sulla condizione dei barboni

FOGGIA - Un clochard candidato sindaco: la notizia (ghiotta e colorata) fa per molte ore il giro delle agenzie e dei web, anche nazionali. Ingannando molte redazioni. Ma non è vero nulla, si tratta solo di una «provocazione» a fin di bene, per suscitare l'attenzione sulla condizione dei senzatetto.

LA «BUFALA» - È stata costruita con tanto di video e di blog. Assegnato anche un nome al candidato-sindaco, Antonio Barbone (nomen omen) che si doveva aggiungere ai nove già in campo per contendersi la fascia tricolore di Foggia. «Anche i senza fissa dimora di Foggia hanno il loro candidato sindaco - era l'annuncio -. Si tratta di Antonio Barbone, un affermato commercialista, divenuto clochard da qualche anno, a causa di problemi economico-finanziari. Ha deciso di far conoscere a tutti i problemi che ogni giorno i suoi compagni di strada vivono sulla propria pelle», era il racconto diffuso. Il sedicente Barbone aveva stilato un suo programma in cui aveva segnato tutti gli interventi «che un bravo primo cittadino dovrebbe mettere in campo per facilitare la vita di quanti dormono per strada, nei vagoni abbandonati, sotto i porticati, sulle panchine pubbliche». I punti salienti erano: la costituzione di un dormitorio comunale, una mensa per poveri comunale, bagni pubblici in cui lavarsi, un diurno per senzatetto, l’attuazione della «Via per i poveri», la figura del consigliere aggiunto per i migranti, un Osservatorio Permanente sulle Povertà, politiche di inclusione per chi vive in fragilità sociale ed altro ancora.

LA SPIEGAZIONE - «Antonio Barbone è una persona che non esiste realmente, è un candidato virtuale. Abbiamo voluto in maniera forte scuotere l’opinione pubblica, inviando un comunicato stampa che potesse in qualche modo sollecitare l’attenzione dei mass-media. E anche di chi è veramente candidato». Emiliano Moccia è il direttore di «Foglio di via», il giornale di strada fatto dall’Associazione di volontariato di Foggia «Fratelli della stazione» che da anni si occupa di senza fissa dimora e di migranti che gravitano nei pressi dello scalo ferroviario, e spiega così la decisione della redazione di diffondere e confermare prima la notizia sulla candidatura a sindaco di Foggia di un clochard. E poi di dire che è tutto falso e che è una provocazione per sollecitare mass-media e veri candidati.


20 maggio 2009

Clochard italiano ricercato «Gli dobbiamo 3 mila euro»

La Spagna sulle sue tracce per risarcirlo dopo un' aggressione

Ha il cognome illustre, Filangieri, del giurista e filosofo Gaetano, vissuto nel ' 700 alla corte di Ferdinando IV di Borbone, ma - per ora - meno fortuna: Giampiero, esattamente un anno fa, era un giovane italiano senza tetto che vagabondava per Granada, viveva alla giornata e dormiva sotto le stelle. L' 8 giugno, otto adolescenti locali decisero di far pagare proprio a lui il vuoto di quella loro domenica pomeriggio. Insulti, risate, poi l' assalto. Soltanto una ragazzina del gruppo si tirò indietro per dedicarsi al lavoro più pulito: le riprese con il videofonino. Un film già visto. Che potrebbe però avere un finale imprevisto e vagamente lieto: i 3.000 euro di risarcimento che le famiglie degli aguzzini minorenni sono state condannate, dal tribunale, a pagare alla vittima. Di Giampiero Filangieri, però, non c' è più traccia. Gli ultimi a ricordarsi di averlo incontrato sono i medici dell' ospedale traumatologico che avevano cercato di riaccomodargli la faccia e le ossa, stilando una sconfortante prognosi di 90 giorni. Ma non lo hanno mai visto guarito, ammesso che si sia curato. Non si è più presentato nemmeno per la revisione della ferula, un presidio ortopedico flessibile, che gli era stato applicato a un dito fratturato. Come un animale ferito e selvatico, appena si è sentito di nuovo autosufficiente, è sparito. Al tribunale, la direzione sanitaria ha potuto fornire soltanto la sua impressionante cartella clinica, asettico riassunto di un linciaggio mancato per poco; e tutto ciò che della sua vita è rimasto impresso a Granada sono le sue origini: nato a Reggio Calabria nel 1980. Senza fissa dimora. Ovunque sia finito, Giampiero Filangieri non sa di aver diritto a una piccola fortuna che, ben impiegata, potrebbe aiutarlo magari a cambiare il suo destino. E che, in ogni caso, potrebbe regalargli qualche settimana o addirittura qualche mese di agi insperati. Probabilmente nemmeno sospetta che, in meno di 12 mesi, la giustizia abbia fatto il suo corso, individuato e processato i colpevoli, stabilito un prezzo per quel pestaggio gratuito. Se n' è andato, senza interessarsi alla sorte di chi aveva ridotto il suo volto a una maschera di sangue. Senza recriminare, senza accusare, senza nulla pretendere. Neppure una risposta al perché di tanta crudeltà. Una risposta che non c' è stata, né poteva esserci: i colpevoli hanno ammesso, la condanna è stata patteggiata, senza arrivare al dibattimento. Tutti condannati. Ma Giampiero, a quanto pare, non lo sa. Non sa e forse non gli importerebbe di sapere che nemmeno la regista in erba, quella che filmava l' impresa dei compagni e i suoi fiotti di sangue, se l' è cavata. Secondo un quotidiano di Granada, la ragazzina aveva poi cercato di difendersi sostenendo di averlo fatto per poter mostrare l' accaduto a un parente, agente di polizia. I giudici non le hanno creduto; e ora quelle immagini, le ultime di Giampiero, sono di scarso o di nessun aiuto agli investigatori andalusi, che si accingono o dovrebbero accingersi a cercarlo, senza sapere bene da dove partire. Dal luogo in cui l' avevano trovato l' 8 giugno dell' anno scorso? È in una zona popolosa di Granada, non lontana dal centro, la rotonda modernista di Arabial. Filangieri si stava lavando da solo le ferite in una fontana, quando le guardie si avvicinarono per soccorrerlo e cercare di ricostruire i fatti. Oppure dai centri di accoglienza per girovaghi squattrinati? Alla Casa «Luz Casanova», dove un lettore dell' Ideal di Granada scrive di averlo incrociato, non lo ricordano e non risulta mai registrato. Da quando la sua storia è stata pubblicata, gli avvistamenti a Granada si sono moltiplicati. C' è chi lo descrive come un uomo alto, rapato, con cicatrici visibili, un enorme zaino e sandali raffazzonati. Altri sostengono di averlo riconosciuto in uno squilibrato. È una caccia alla rovescia, al vincitore di un piccolo tesoro, da consegnargli per elementare senso di giustizia. Come sarebbe piaciuto all' altro Filangieri. Elisabetta Rosaspina La scheda Il pestaggio È l' 8 giugno di un anno fa. Giampiero Filangieri, giovane senzatetto, sta dormendo su una panchina a Granada, nel Sud della Spagna (sopra, la piazza del pestaggio). Otto adolescenti lo aggrediscono a freddo, senza un motivo: insulti, risate, poi le botte. Una ragazzina del gruppo riprende tutto con il telefonino La prognosi Il giovane, che allora aveva 28 anni, nativo di Reggio Calabria, quando viene soccorso dall' ambulanza è una maschera di sangue: all' ospedale gli danno una prognosi di 90 giorni. Ma appena l' uomo si regge in piedi, sparisce. E all' ospedale non si fa più vedere, neppure per le visite di controllo Il processo Gli otto vandali vengono identificati e incriminati. La ragazzina tenta di difendersi dicendo di aver ripreso la scena con il telefonino per poi mostrarla alla polizia. Non viene creduta. Il giudice fissa nella cifra di 3 mila euro il risarcimento che le famiglie degli aguzzini adolescenti debbono versare alla loro vittima. Ma l' uomo è sparito. La polizia lo sta cercando.

Rosaspina Elisabetta
19 maggio 2009 - Corriere della Sera

domenica 17 maggio 2009

Elemosina? Un “diritto”, ma lontano dalle banche

16 maggio 2009 - Secolo xix

Era stata annunciata dopo una serie di iniziative di controllo del territorio e di dissuasione, seguite alle lamentele di molti savonesi infastiditi dalla presenza in centro, soprattutto al lunedì giorno dell’affollatissimo mercato settimanale, di mendicati. Molesti secondo le lamentele, troppo insistenti per altri. Indecorosi per altri ancora perchè sdraiati per terra, con cani, per la sporcizia. Con una presenza ritenuta molesta o percepita dagli anziani o dalle donne sole, come una sorta di pericolo nelle vicinanze delle casse automatiche dei parcheggi, dei bancomat. L’ordinanza però vieta anche la richiesta di elemosina vicino alle banche.
Federico Berruti sindaco di Savona (archivio il secoloxix)Come ne è uscito il Comune di Savona?Con una ordinanza un po’ cerchiobottista destinata a suscitare opinioni discordi sulla scelta del sindaco di centrosinistra che limita infatti la possibilità di chiedere l’elemosina in città.
Il sindaco Berruti riconosciuto «il diritto dei più deboli di chiedere aiuto nelle strade e nelle piazze della citta», sottolinea che questo diritto «non possa trasformarsi in un obbligo o in un condizionamento per gli altri cittadini».
«Ritengo - afferma Berruti a commento della sua ordinanza- che in una città solidale le persone in difficoltà possano chiedere un aiuto ai cittadini, e che ciò possa avvenire in modo spontaneo negli spazi pubblicì».
Un po’ curiosamente però, prima dei divieti, l’ordinanza cita l’elemosina che «in sé come atto di donazione, sia sul pianoeconomico, sia su quello della solidareità sociale, non può e non deve essere vietata, posto che essa è una forma di redistribuzione della ricchezza e costituisce una risposta della società, ancornché insufficiente, posta innanzi al fenomeno della povertà. Ma non può e non deve scaturire in fenomeni molesti o violenti nei confronti dei consociati».
Aggiunge Berruti: «Non vi è offesa della morale e della tranquillita’ pubblica quandol’elemosinante versi in una situazione di bisogno, risolvendosi la mendicità in una legittima richiesta di umana solidarietà, volta a far leva sul sentimento della carità, purché ciò non avvenga in modo molesto o vessatorio, atto ad offendere la publica decenza».
«L’elemosina è tale - osserva il sindaco di Savona - se chi la concede si sente libero nella propria scelta e sicuro che un rifiuto non lo esponga a dei rischi o a delle ritorsioni. Ritengo che in alcune situazioni, indipendentemente dalla volontà di coloro che chiedono l’elemosina, i cittadini - in particolare le donne e gli anziani - si sentano insicuri e quasi costretti a concederla. I luoghi e i contesti cui è riferita l’ordinanza devono essere protetti da comportamenti che indirettamente li espongano a forme di violenza o di vessazione. Queste situazioni devono essere evitate, ed è nostro dovere impedire che i cittadini savonesi percepiscano di essere esposti ad obblighi o a rischi».
L’ordinanza dopo una sorta di sintetica analisi sociologica dello “stato di bisogno” e di come non deve essere manifestato o sollecitato verso il prossimo, fa divieto di “stazionamento, rivolto all’accattonaggio, presso o nelle adiacenze dei seguenti luoghi: aree a parcometro, casse automatiche diriscossione ticket, bancomat e postamat, istituti di credito, banche e uffici postali”. Praticamente in ogni zona del centro savonese che è uno dei più ricchi di filiali bancarie. E nelle piazze del Popolo, Saffi, in via Torino, nelle adiacenze della fortezza del Priamar dove si trovano i parcheggi a pagamento.
Per chi non rispetta l’ordinanza sono previste multe da 25 a 500 euro.

venerdì 15 maggio 2009

La bontà

La bontà sembra un valore assai trascurato nei rapporti che viviamo quotidianamente. Tutta la vita economica e i rapporti personali che ne sono sovente il riflesso, sono improntati alla competizione, all'aggressività, al superare gli antagonisti.
Le altre persone con cui intratteniamo scambi giornalieri, finiamo col percepirli talvolta come avversari da distruggere.

Si tratta del "Mors tua, vita mea" dei latini, della darwiniana lotta per la sopravvivenza. Di qui alla legge della giungla, si sa, il passo è breve.
In Italia si è persino creato un brutto neologismo, "buonismo", per screditare coloro che manifestano una qualche forma di solidarietà verso i più deboli e viceversa per giustificare ogni sorta di nefandezze perpetrate dai più forti.

Vediamo i nostri simili sempre più impegnati a desiderare con voracità il potere, la ricchezza, il successo, da ottenere in qualsiasi modo; il fine, si dice, giustifica i mezzi.

I dirigenti delle grandi aziende, ma qualche volta anche i quadri intermedi, vengono scelti per la loro capacità di comandare, che troppo spesso non è altro che un agire senza soverchi scrupoli, spremere i sottoposti, prevaricare in nome del profitto. E' spesso considerato come "bravo manager" colui che valorizza la propria azienda licenziando i dipendenti; a questo processo viene dato il nome di ristrutturazione aziendale o qualche nome inglese in apparenza neutro, scientifico, ma le conseguenze umane sono comunque quelle spiacevoli dell'insicurezza economica e talvolta della povertà.
Eppure all'interno della nostra coscienza avvertiamo che questo modo di vivere è sbagliato, ci crea disagio e sofferenza; finiamo così col ribellarci in modo salutare, anche se soltanto in maniera del tutto interiore, a questo stato di cose. Sentiamo che, portato alle estreme conseguenze, questo nostro stile di vita è disumano, inautentico, faticoso.

Una parte di noi, io credo consistente, aspira alla bontà, alla gentilezza, alla cortesia. Vuole un mondo più amorevole, vuole più dolcezza, più buon cuore, più generosità, più giustizia. Poter essere d'aiuto agli altri e poter chiedere aiuto quando ne ha bisogno. Fare finalmente qualcosa contro il proprio intessesse immediato.
Per esempio, almeno in un periodo dell'anno, a Natale, ci proponiamo di essere tutti più buoni. Secondo me non si tratta soltanto di un rituale ipocrita. Rappresenta il riconoscimento, certo parziale e contraddittorio, che la bontà è una nostra esigenza, che è forse iscritta nei nostri geni.

Vediamo allora persone, solitamente avare di sé e del proprio denaro, non accontentarsi di celebrare un Natale consumistico, ma fare beneficenza, aiutare i bisognosi, dedicare un po' del proprio tempo libero al benessere degli altri.
Ma la bontà non può essere un passatempo natalizio.
Ci sono persone che si dedicano con slancio e generosità agli altri durante tutto l'anno.
Sono coloro che, in silenzio e quasi in punta di piedi, si fanno carico di assistere volontariamente le persone malate, le vanno a trovare in ospedale, recano loro conforto, cercano di rendere la loro sofferenza più dolce e sopportabile. Coloro che si dedicano con slancio all'aiuto e al recupero di giovani disadattati, di ragazze fuorviate e sfruttate, di persone in difficoltà economica, o semplicemente disorientate, in crisi, di alcolisti o "drogati", di carcerati o disabili.
Un'amica di mia madre, per esempio, ha rinunciato quest'anno ai regali di Natale, per devolvere il denaro, che avrebbe speso in articoli del tutto superflui, per aiutare una conoscente, che la morte del giovane marito ha ridotto in ristrettezze economiche.
Non solo: ha consegnato all'amica anche i soldi guadagnati con le proprie ore di lavoro straordinario.

La nostra coscienza si sta talmente raffinando inoltre, che non tolleriamo, finalmente, nemmeno le sofferenze imposte ad esseri viventi appartenenti a specie diverse dalla nostra, agli animali e persino alle piante.
Il cane, il gatto e il canarino di casa, il pesciolino nell'acquario sono diventati nella vita i nostri inseparabili e familiari compagni di viaggio, ma anche quegli animali non domestici, spesso destinati al macello per fini alimentari li percepiamo come dotati di una qualche forma, spesso complessa, di intelligenza e sensibilità.
Non tolleriamo che vengano maltrattati, torturati, che vengano loro inferte sofferenze evitabili. Ci sentiamo solidali con loro.
Ed ecco che ci sono persone che, a proprie spese, curano gli animali randagi o feriti e dedicano parte del proprio tempo alle associazioni che li difendono.

C'è pure chi, nel proprio lavoro, qualunque sia, va oltre il proprio dovere professionale e cerca di aiutare sinceramente il prossimo negli uffici, nella scuola, negli ospedali. Si tratta di una forma silenziosa, inapparente, di bontà e proprio per questo suo anonimato, di una delle forme più preziose.
Insomma, a dispetto delle guerre, degli attentati, degli assassini, dei crimini, di cui stampa e televisione ci rendono sconsolati testimoni, la bontà non ha segnato il passo, anzi sembra conoscere un suo momento di ritrovata popolarità.
Non a caso Norberto Bobbio, un filosofo e un pensatore che tutta l'Italia ammira, ha dedicato un suo profondo saggio alla mitezza. E lo scrittore inglese Nick Hornby, molto amato dalle giovani generazioni, ha intitolato un suo recente romanzo : "Come diventare buoni".
Siamo giunti finalmente alla consapevolezza che aiutare chi è rimasto indietro non è un cedere una parte di se stessi, un impoverirsi, ma un arricchimento necessario.

"Ama il prossimo tuo come te stesso" è il precetto fondamentale della nostra religione e il fondamento insuperato della nostra civiltà .
E poi, al di là delle sempre possibili ingratitudini, talvolta succede il miracolo e chi aiutiamo è in grado di donarci la parte migliore, più umana, di se stesso.

lunedì 11 maggio 2009

Indagine

Censimento sugli homeless in Italia:
sono centomila, la metà quarantenni e colti.

di Claudia Fusani

Sono per lo più italiani, hanno all’incirca 40 anni, il 30 per cento è diplomato e il 7 per cento laureato, il 13 per cento ha un lavoro fisso o comunque è attivo nel mercato del lavoro (74%), il 70 per cento legge un quotidiano. Eppure sono clochard, senza fissa dimora. Poveri barboni. Una volta, adesso non più. Avrà molte sorprese il Viminale quando nel 2010 avrà il primo censimento nazionale dei cosiddetti barboni, così come stabilito dal disegno di legge sulla sicurezza già approvato al Senato e all’esame della Camera. A cominciare dal numero: le stime delle organizzazioni di volontariato parlano di un fenomeno che in Italia riguarda 70-100 mila persone, quasi lo 0,2 per cento della popolazione, una percentuale che ci affianca agli Stati Uniti dove gli homeless sono una realtà quasi “ordinaria”.Un primo assaggio di questa realtà arriva grazie allo studio di due ricercatori della Bocconi (Michela Braga e Lucia Corno)e della Fondazione De Benedetti che la notte del 14 gennaio 2008 (dati elaborati e diffusi nel gennaio 2009) hanno fatto il censimento di chi dormiva non in abitazioni proprie, quindi panchine, stazioni, sottopassi ma anche campi nomadi e strutture di volontariato. La rilevazione ha fotografato una popolazione di circa 4mila adulti privi di una casa: 408 erano in strada, 1.152 nei dormitori e circa 2.300 in baraccopoli o edifici dismessi. Quattromila, quindi, nella sola città di Milano, un dato che proiettato a livello nazionale arriva a 70-100 mila. L’ultimo censimento disponibile - del 2001 - parlava di circa 17 mila persone su tutto il territorio nazionale, lo 0,03 della popolazione. Numeri che dicono da soli quanto il fenomeno sia cresciuto in meno di dieci anni. La fotografia scattata dai ricercatori della Bocconi smonta pezzo dopo pezzo l’iconografia tradizionale del clochard come individuo che rifiuta il mondo e lontano dal tessuto delle reti sociali. A cominciare dalla nazionalità: gli stranieri sono la netta maggioranza (67%) nelle baraccopoli, diventano il 60 per cento nei dormitori e il 44 in strada. Per gli italiani è una scelta obbligata, sono diventati poveri per problemi legati al lavoro o alla famiglia (separazioni). Per gli stranieri, invece, è una «prosecuzione» naturale della loro condizione di immigrati. Lo studio è stato presentato ieri in un convegno organizzato dall’Italia dei Valori. Nello Formisano e Ahmad Gianpiero Vincenzo, italiano convertito all’Islam e consulente per il partito di Di Pietro per gli affari sociali, hanno presentato un disegno di legge in due punti - utilizzo del miliardo e 300 milioni dei fondi Gescal; autorecupero tramite cooperative sociali dei 4 mila immobili confiscati alle mafie - che mette in primo piano il problema degli homeless. Una realtà, denuncia la Caritas, «che non più essere considerata marginale e che invece questo governo punta solo a controllare senza aiutare». Una fetta di popolazione «senza casa ma non per questo senza speranza».

L'Unità - 1/09/2009

venerdì 8 maggio 2009

Viva gli sposi!!

Gremita la chiesa dove si è tenuta la cerimonia

Messina, clochard sposa direttrice di centro d'ascolto Caritas.
Il parroco che ha unito in matrimonio Hans e Silvana: "L'amore vero esiste e non conosce ostacoli"

Messina, 7 mag. - (Adnkronos) - "E' solo la conferma che l'amore vero esiste e non conosce ostacoli. Questa e' la concretizzazione dell'amore". Cosi' padre Ettore Sentimentale, parroco di San Luca Evangelista a Messina, racconta all'ADNKRONOS l'emozione provata oggi pomeriggio, quando ha unito in matrimonio Hans Falk, 56 anni e Silvana Fazio, 62 anni. Un matrimonio particolare, quello di Hans e Silvana, il matrimonio tra un clochard e la direttrice del centro di ascolto Caritas della parrocchia di San Luca a Messina.
Hans ha abbandonato la Germania per una delusione d'amore e da allora ha vagato per mezzo mondo dormendo in strada fino al suo arrivo nella citta' siciliana, proprio nella parrocchia di San Luca, per chiedere aiuto, qualche coperta per la notte e un pasto caldo ai volontari. "Silvana lo ha accolto subito -dice padre Ettore- l'ha aiutato, lo andava a trovare in strada, lo aspettava e lo accudiva. Fino a quando mi ha comunicato la sua intenzione di volerlo sposare. Non ho mai visto un cenno di tentennamento o di perplessita' in lei".
Di Hans, padre Ettore dice di non aver visto grandi cambiamenti in lui. "Era un galantuomo anche prima -racconta- quando non aveva una casa, non ha mai creato un problema. Oggi -conclude- la chiesa era gremita, tutti hanno voluto essere presenti, anche gli amici di Hans, quelli che ancora vivono in strada, tutti con la stessa gioia e con la stessa emozione".

domenica 3 maggio 2009

Morgan clochard!



Morgan come un clochard, suona per i passanti in metropolitana e raccoglie elemosine


Sono rimasti di stucco in parecchi, alla stazione Duomo della metro a Milano, trovandosi davanti Marco Castoldi, nelle inusuali vesti di clochard, seduto per terra, le gambe incrociate e la chitarra in mano. Morgan ha suonato per i passanti come fanno tanti artisti di strada sotto la metro, raccogliendo le offerte come uno qualunque di loro.
Il video è finito su Youtube e si vedrà nella trasmissione in onda su MTV, di Victoria Cabello, che lo accompagna nell’esecuzione estemporanea di Altrove.