domenica 4 dicembre 2011


La vita sotto un ponte

Milano, clochard in strada aspetta Natale con il suo albero.

di Rita Russo

«Michael, Michael come Schumacher». Lo ripete più volte con orgoglio anche se con il pilota tedesco condivide solo il nome. Da cinque mesi infatti, vive sotto il ponte di via Melchiorre Gioia, a pochi passi dalla nuova sede milanese della regione Lombardia. La sua casa è composta da un marciapiede, una parete di cemento, una radio collegata a un altoparlante da auto, molte coperte, un sacchetto di medicine, un carrellino e le parole crociate.
Forse tre metri per uno in tutto, con una temperatura per ora sopportabile di sei gradi. Da un paio di giorni si è però, concesso di decorare la sua “abitazione” con un alberello. Perché l’ha messo davanti ai cartoni, sopra la radio? «Cavolo, perché è Natale anche per me! Voglio aspettarlo come si deve». Probabilmente trascorrerà qui tutte le feste: non può spostarsi molto a causa dei dolori alla schiena né può rischiare di perdere i suoi pochi beni. «Se vado via e poi non trovo quello che ho lasciato come faccio?».
LE LUCI DEL NATALE. Il piccolo albero di Natale è un regalo di un amico. Un collega di lavoro dei tempi in cui si dava ancora da fare come muratore. Tempi molto lontani per lui. Da sette anni la sua vita si svolge in strada e l’unica compagna è la bottiglia: «Mia moglie mi ha lasciato, è andata a vivere a Torino con un italiano e i nostri figli, così io ho cominciato a bere. Non ce l’ho fatta da solo».
Ventitrè anni fa aveva lasciato la sua Minsk, in Bielorussia, con molte speranze e buona volontà: «Ho lavorato dal primo giorno. Prima come cuoco a Cortina d’Ampezzo, a Lignano Sabbiadoro e a Grado, negli hotel. Poi a Milano come operaio». Ha sempre pagato i contributi fino a quando non ha cominciato a bere e a perdere tutti i diritti. La crisi economica non c’entra. La vita da clochard è stata insieme una scelta e una necessità.

Una vita sotto il cavalcavia all'insegna della dignità

Oggi Michael i pomodori li cucina dentro un barattolo di latta e spesso è la Croce Rossa a portargli qualcosa di caldo e soprattutto le medicine per la schiena e i piedi. Il marciapiede sotto il cavalcavia di via Melchiorre Gioia lo divide per ora con Vasily, un ucraino più anziano e malconcio di lui che quasi non parla. Resta sotto le coperte tutto il giorno e ogni tanto si guarda intorno con sguardo sospettoso.
Quando è di buon umore passano un po’ di tempo con il gioco dell’oca di legno che Michael tiene nel suo carrello, tra le cose più preziose. Non vogliono definirsi accattoni, però. Non pretendono niente dal Comune di Milano nè dai passanti. Semplicemente la vita è andata così per loro due.
L'ELEMOSINA NON È IL SUO MESTIERENessuno si lamenta della presenza di Michael, anzi. La gente che abita o frequenta il quartiere ormai lo conosce e lo tratta con simpatia. «Tutti sanno che sono qui. Anche i carabinieri passano e mi salutano. Così come quelli che la mattina vanno negli uffici qui intorno. «Ciao ciao», mi dicono. Alcuni con la mano. Qualcuno lascia un aiuto. Sempre meno, però».
Se qualcuno allunga una moneta l’accetta, ma l’elemosina non è il mestiere di Michael. Come Estragone e Vladimiro, i due barboni che aspettavano Godot, resta sulla strada in attesa, senza lamentarsi o imprecare.
La casa, dice, non gli serve; il lavoro non potrebbe accettarlo visto che la sua schiena è così malridotta che a stento riesce a stare in piedi. I mesi che ha trascorso in una struttura di accoglienza per senzatetto sono stati una specie di galera, un incubo che vuole solo dimenticare. Oggi Michael non chiede niente a Babbo Natale. Gli basta sorridere ai passanti, regalare loro una canzone della sua radio e l’alberello di Natale: «L’importante è che vivo, no?».

Venerdì, 02 Dicembre 2011

fonte :  http://www.lettera43.it/attualita/33037/la-vita-sotto-un-ponte.htm

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