lunedì 13 ottobre 2008

Consiglio Letterario!


Un uomo che chiamano clochard


di Michel e Colette Collard Gambiez

Edizioni Lavoro / Esperienze / Macondo libri, pagine 381

Un ex frate francescano e un' infermiera, Michel e Colette Collard - Gambiez, raccontano in un libro la loro esperienza tra i "barboni" Clochard, se questa e' una vita romantica.

Piu' giovani e soli: cosi' e' cambiata la condizione dei senzacasa. Tra miseria e violenza Sono morti piu' di una dozzina di clochard a ridosso del Natale, soprattutto a Roma, sulle panchine, sui cartoni stesi nelle nicchie delle case, su mucchi di stracci agli angoli delle piazze, tra le lamiere di roulottes a pezzi. Per il gelo, per antiche privazioni. Sullo sfondo dei luccichii del Giubileo quelle morti sembrano ancora piu' amare. Nessuno, gia' adesso, ricorda Ben Chaar Zouhaier, Mario il pirata, Taddeus Sabala, Giampaolo, Anna, Heidi, nomi di un mondo alla ventura. L' indifferenza sociale nei loro confronti, spesso l' ostilita' , sono quasi sovrane, anche se non sono poche le persone - associazioni, Comuni, gruppi religiosi e laici - che si prodigano per trovare un rifugio e una mensa per i poveri senza casa e senza pane. Azione non facile perche' chi ha gettato via la propria vita rifiuta spesso un aiuto costante e qualsiasi regola. Chi sono. C' e' chi li chiama anche zanard, giovani di periferia allo sbando, o anche routard, uomini di strada che vivono di espedienti. Qui da noi, in troppi, li chiamano barboni. Anche Carlo Emilio Gadda, piu' anarco - espressionista che pietoso, nell' Adalgisa li definisce cosi' : "Vagabondi (argentino: atorrantes; milanese gergale: barboni) che, toltasi la giacca o una maglia, o peggio, vi passano in rassegna i pidocchi". + un mondo segreto, quello dei clochard, che si porta addosso un gran numero di pregiudizi, di leggende, di luoghi comuni. Michel e Colette Collard - Gambiez hanno vissuto per anni in Francia e in Belgio con questi dannati e dalla loro lunga esperienza hanno tratto un libro di testimonianza: Un uomo che chiamano clochard, diario di comunanza cristiana, specchio di vita quotidiana, pegno di affetto. Piu' che un' opera con velleita' letterarie e' un manufatto bollente che rivela dal vero l' esistenza di questi uomini e di queste donne. Non certo sinonimo di liberta' , che e' artificiale, non reale. L' idea del clochard felice e' un paradosso privo di significato: i suoi giorni fatti di durezza, di aggressivita' , di cattiveria, di solitudine. Il bisogno costante di affettivita' resta inespresso, rivelato soltanto qualche volta da un piccolo gesto, uno sguardo, un sorriso. Michel Collard, che ora ha 52 anni, comincio' a vivere da uguale con i clochard nel 1983. Frate francescano, si muoveva nel mondo della grande miseria nella scia del Santo del Cantico delle creature. Poi lascio' l' ordine e nel 1992 si sposo' con Colette Gambiez, un' infermiera piu' giovane di dieci anni che condivise la sua vita vagabonda, a Parigi, a Bruxelles, a Rouen, a Liegi, ad Amiens. Non sono pochi, nella storia del mondo, quelli che hanno voluto provare per conoscere, passare dall' altra parte, identificarsi. Simone Weil, per esempio, l' intellettuale, filosofa e politica, che visse la vita di lavoro manuale alle officine Renault e la rappresento' nel suo diario La condizione operaia. Duro' otto mesi quella sua dura esperienza. Michel e Colette continuano da anni, e sono diventati ambasciatori, quasi, di quell' umanita' sradicata battendosi con pazienza e con coraggio per migliorare fin dove e' possibile la vita dei loro amici di strada, impiantando comunita' , parlando e trattando con gli uomini della societa' civile e politica. Dormono anche loro sui cartoni, vanno a cercare i rimasugli di cibo nei bidoni della spazzatura vicino ai ristoranti, vivono la stessa vita dei loro compagni d' avventura negli squat, le case abbandonate o occupate, e nelle bidonville. Negli ultimi due decenni i clochard sono mutati. Non piu' , soltanto, i vecchi mendicanti dell' iconografia: sulle strade sono arrivati moltissimi giovani, drogati, alcolisti, senza lavoro da sempre e senza speranza. Quell' universo e' diventato forse piu' aspro anche perche' le sperequazioni tra ricchi e poveri nella felice Europa si sono fatte piu' profonde. Il libro di Michel e Colette e' un abecedario della miseria. Non esiste solidarieta' tra i poveri: e' soltanto un' idea romantica dei ricchi. La giornata e la notte del clochard e' fatta di appuntamenti, quasi ossessivi, legati alla ricerca del mangiare e del dormire. La stazione, il ricovero, il portone, il garage, la cantina sono gli appigli fissi, spesso i miraggi. La provvisorieta' e' un elemento essenziale della vita dei senzacasa, come la noia infinita. Il chiedere l' elemosina non e' un gesto automatico: per alcuni e' come un lavoro, per tanti e' motivo di vergogna, c' e' chi si droga per trovare il coraggio di stendere la mano. Il mondo esterno, nemico e amico, e' il poliziotto, il ferroviere, il vigile, la guardia notturna, il prete, la suora. La violenza, il disprezzo del prossimo sono dati per scontati. Lo stupore e' maggiore di fronte alla gentilezza che alla bonta' . Il desiderio conscio o inconscio e' di venir trattati da uomini. La psicologia del povero applicata ai suoi bisogni e' elementare e insieme complessa. I posti di accoglienza sono spesso gelidamente efficienti: il cuore deve contare come lo stomaco, altrimeni la disumanizzazione prevale. Scrivono Michel e Colette: "Questo libro vuole essere un invito a uscire da se' , dal proprio universo, per avere il coraggio di vivere un incontro con la persona abbandonata e rompere cosi' il cerchio in cui sono rinchiusi i poveri. Un invito a usare riverenza nei loro confronti, e dar prova di generosita' , di bellezza e di bonta' invece che di sospetto, d' inquisizione, di calcolo".

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