mercoledì 2 aprile 2008

Storie come altre.....

MILANO (29/02/2008)

L’unica cosa che aveva, di Silvia, era la sua foto da piccolina. Custodita nel portafoglio, che serviva solo per quello, per racchiuderci la foto di Silvia. Di soldi, Marco Faggionato, 52 anni, quattordici passati in strada, non ne aveva quella triste notte, quando due uomini, forse più disperati di lui, sul vagone abbandonato della stazione Centrale dove dormiva, lo hanno aggredito, gli hanno preso il portafoglio e, non trovandci denaro, hanno stracciato l’unica cosa che conteneva, il tesoro più prezioso: la foto della sua bambina.

L'ALCOL LA SUA ROVINA
Gli occhi azzurri, velati di tristezza, il fare rumoroso e forzatamente allegro. La vita di Marco è tutta qui, nella sede dell’Sos stazione Centrale, l’associazione di volontari che dal ’90 dà una mano a chi non ha nulla. E che ha aiutato anche lui. Marco Faggionato, da quasi cinque anni, per strada non ci vive più, ha una casa, trenta metri quadri assegnati nel 2003 in un palazzo popolare della zona via Padova, ma sul suo viso sono incisi, tra le rughe profonde, anni di solitudine e paura.
È finito per strada quando aveva trent’anni. Sua moglie, dopo sei anni di matrimonio, gli ha fatto trovare le valigie stanca di vederlo tutte le sere ubriaco sul divano. «Bevevo parecchio - confessa Marco - ma non ho mai alzato un dito né su mia moglie né su mia figlia». Silvia. Che, all’epoca, aveva solo tre anni. Marco lavorava come piastrellista, ma a rubargli il lavoro a poco a poco ci ha pensato una bottiglia di cognac: «Bevevo ogni giorno sempre di più - dice - quando mia moglie mi ha cacciato sono venuto alla stazione con un sacco a pelo e una bottiglia».


LA FOTO STRACCIATA
I vagoni vuoti dei treni abbandonati o gli angoli, tra giornali e cartoni, di via Sammartini, magari sotto un balcone, erano il suo rifugio, il più possibile lontano da tutti, anche dagli altri barboni: «Perché per strada - spiega con amarezza - non ci si può fidare di nessuno: prima bevi insieme qualche bicchiere e poi ti portano via tutto». Come quella notte d’inverno, quando è stato aggredito: «Erano in due, mi hanno svegliato - ricorda Marco - mi hanno preso il portafoglio, ma dentro non c’era nulla, solo la foto di mia figlia. E me l’hanno strappata».
Un velo umido attraversa i suoi occhi quando parla di lei, di Silvia, che oggi ha 27 anni e ha preso la laurea. È per lei che, dopo anni trascorsi entrando e uscendo dagli ospedali, ha deciso di cominciare a smettere. E, per farlo, ha cominciato a scrivere poesie. «Invece di entrare in un bar, mi sedevo su una banchina e scrivevo», racconta.

POESIE PER SILVIA
Oggi non beve quasi più, le sue poesie sono state raccolte in un libro, ha vinto quattro concorsi letterari e finalmente ha un tetto sotto il quale dormire. Ma non c’è pace nel suo cuore. Il ricordo di ciò che poteva essere lo tormenta: «Avrei voluto essere un buon padre per la mia Silvia, ma non ce l’ho fatta - sussurra con un filo di voce - non la vedo più da quel giorno di 24 anni fa, quando me ne sono andato. Ho tentato di incontrala, ma lei è scappata, si vergogna. Vorrei poterci parlare, solo per un attimo, abbracciarla, dirle che un’anima ce l’ho anch’io, che è tutta qui, in queste poesie, nelle poesie che ho scritto per lei».

Sandra De Marco

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