Un atto di ribellione da parte di un operaio immigrato che spezza la monotonia di gesti quotidiani ripetitivi. Questa la storia del corto Il grillo di Stefano Lorenzi con un attore d’eccezione come Birol Unel
Birol Unel, è inusuale che attori famosi come lei si interessino al lavoro di registi giovani?
Non è importante il fatto che un regista sia giovane o meno, quello che conta è condividere una visione insieme e trovare la giusta alchimia. Anche Fatih Akin, quando girò La sposa turca non era ancora conosciuto. Io penso, però che l’intesa tra il regista e l’attore e la storia che si vuole raccontare siano ancora più importanti dell’esperienza. Ho scelto di lavorare ne Il grillo, perché è un po’ difficile trovare un’idea così intensa e particolare. Inoltre mi aveva colpito che racchiudesse in sé un mistero.
In questo lavoro interpreta il ruolo di un immigrato e anche lei si è trasferito in Germania dalla Turchia all’età di 6 anni. Com’è stato il suo processo d’integrazione?
I miei parenti non sono emigrati, sono stati invitati da un datore di lavoro a trasferirsi in Germania. Per quanto mi riguarda, invece, mi considero solo un attore, non un migrante o un immigrato. Non mi interessa il tema. Sono un attore internazionale. Lavoro in tanti Paesi. Per me non è importante il tema della nazionalità.
L’hanno definita il Klaus Kinski turco. Lei che ne pensa, trova delle affinità con il grande attore?
Quando l’ho sentito la prima volta mi ha molto divertito. Di Kinski c’è n’è uno, lui è stato unico. Forse però condividiamo la stessa intensità e energia. Di lui dicevano che era una persona molto problematica ma alla fine ha fatto molti bei film e li ha portati tutti a termine meravigliosamente.
Terra è una testata ecologista. Quanto la riguardano le tematiche ambientali?
Mi sento un ecologista ma non sono un verde. L’argomento è importante. Cerco anche di contribuire in qualche modo all’ambiente. Per esempio faccio parte di un’iniziativa per la salvaguardia della “Valle delle farfalle” vicino Fethiye in Turchia: sono diventato uno degli sponsor di questo posto magico dove vivono le “brown tigers”, un tipo di farfalle.
Noi occidentali siamo cresciuti con l’idea che eravamo portatori di civiltà mentre i Paesi islamici erano poco sviluppati e retrogradi. Oggi gli italiani si ritrovano con un premier “sultano” che fa le feste nell’harem, mentre in Maghreb giovani arabi fanno una rivoluzione non religiosa. La storia ha ribaltato le parti?
Io non mi intendo di politica, non la pratico, non la seguo. A me Berlusconi sembra solo un boss, un moderno Al Capone. Ha potere e soldi oltre ogni limite ma non mi pare che faccia nulla per il Paese. I giovani arabi che si ribellano contro la dittatura fanno la cosa giusta. Speriamo finisca bene.
Si è sostenuto a lungo che Islam e democrazia fossero incompatibili.
Mi pare che in Libano diverse religioni convivano pacificamente. Lo scontro di civiltà è una bugia sostenuta da esseri cinici a cui interessa solo il business della guerra.
La Turchia in questo senso è sempre stata all’avanguardia.
Non seguo la politica turca. So che loro mi amano, si vantano dei miei successi. Ma io non ho nessun interesse a diventare un eroe nazionale. Non voglio averci nulla a che fare. Sono solo un clochard.
Nelle sue interviste però sembra aver mantenuto un rapporto forte con alcune figure della sua infanzia. In particolare sua nonna. Parliamo di persone molto anziane. Che lavorano la terra. Che sono la terra del Paese. Dobbiamo salvarle. Io sento che vengo da lì.
Nessun commento:
Posta un commento