martedì 25 agosto 2009

La raccolta differenziata fai-da-te dei disperati

Repubblica — 21 agosto 2009 pagina 1 sezione: PALERMO


FATECI caso. È aumentato il numero delle persone che frugano nei cassonetti della spazzatura. La mia è una notazione empirica, ma credo che corrisponda a un dato statistico effettivo. Se noi tutti si vive nell' immondizia, c' è però chi di immondizia sopravvive. Chi nel superfluo trova, talvolta, il necessario per tirare avanti un' altra giornata. La ricerca avviene di solito nella controrao nottetempo. C' è chi usa una specie di rampino per arpionare i rifiuti più profondi. E c' è chi si immerge letteralmente, a capo in giù, nei recipienti per esaminarne da presso il contenuto. Vi sono essenzialmente tre tipologie di setacciatori: quelli provvisti di "Lapa", che evidentemente fanno una raccolta più sistematica, massiccia o pesante; quelli in bicicletta, che selezionano materiali più preziosi e leggeri; infine quelli a piedi, che contano sul ritrovamento occasionale e che probabilmente sono i più disperati, anche perché il loro raggio d' azione non può essere molto vasto. Un caso a parte è la razzia di indumenti dagli appositi container, che generalmenteè praticata dagli zingari, con oculato vaglio dei capi migliori e disseminazione degli stracci inservibili, o dai clochard con l' arrivo della stagione fredda. In pratica, l' unica forma di riciclaggio attuata metodicamente dalla nostra città è questo trovarobato da accattoni, questa scatologica cernita in cui l' arte di arrangiarsi raggiunge il suo livello infimo, nauseabondo, stercorario. C ome cani e gatti, topi e scarafaggi, anche un certo numero, non indifferente, di esseri umani cerca nei rifiuti di che sfamarsi. Possiamo capire l' entità della crisi economica che stiamo attraversando, collegando due fenomeni paralleli e inversamente proporzionali: da un lato coloro che vivono di scarti sono in aumento; dall' altro la qualità dei rifiuti è diminuita, a dispetto dell' enorme incremento quantitativo (che però va connesso alla crescita della popolazione, oltre a quella dei consumi, e all' inefficienza della rimozione). Fino a qualche tempo fa, infatti, non era insolito trovare presso i cassonetti oggetti di un qualche valore: per esempio mobili tutto sommato in buono stato, piccoli elettrodomestici ancora funzionantio facilmente riparabili, roba vecchia ma di buona fattura, rarità o curiosità appetibili dai collezionisti (non per nulla molte persone, anche benestanti, praticano - o praticavano - l' hobby del recupero e del restauro di reperti abbandonati). Oggi questo sperpero sembra essere venuto meno. La crisi induce piuttostoa conservare, ad aggiustare ciò che si rompe, a sfruttare più a lungo certi beni che fino a qualche tempo fa erano soggetti a un aggiornamento incalzante, a una febbrile sostituzione. Insieme al fai-da-te casalingo, risorgono allora vecchi mestieri artigianali che sembravano essere stati spazzati dal progresso e dal benessere (veri o fittizi che fossero). Un esempio: vicino a casa mia è apparso da qualche tempo un riparatore di ombrelli che sembra uscire da una pagina delle Conversazioni vittoriniane, recando nelle sue mani la saggezza degli arrotini e dei calzolai. Naturalmente svolge anche altri lavori per sbarcare il lunario, ma si è stabilito per strada, in una via secondaria, con il suo banchetto e i suoi semplici arnesi, e qui svolge en plein air la sua semplice arte. Venuta la buona stagione, ha preso ad accomodare ombrelloni da spiaggia, giacché dal sole bisogna pur difendersi come dalla pioggia. Avevo perduto memoria di una mansione del genere. Siamo ormai abituati da molto tempo a gettare l' ombrello rotto e ad acquistarne subito uno nuovo, magari per strada, per pochi euro, dai tanti venditori ambulanti, di solito extracomunitari. Ci sarebbe da compiacersi di una così sensata morigeratezza, dopo decenni di orgia consumistica, se il segnale non fosse invece inquietante. Infatti, se si tende a riparare anche ciò che ha un costo modestissimo, è perché ormai anche i consumi, sia pure minimi, devono essere drasticamente ridotti. Tale compressione degli acquisti, ovviamente, non può che avere conseguenze catastrofiche in una città in cui il commercio tiene un campo vastissimo. Nel 1978, allora studente universitario, studiavo un saggio di Vincenzo Guarrasi intitolato "La condizione marginale" (Sellerio). Si trattava di uno studio demo-antropologico del quartiere Borgo Vecchio. Da un quadro complessoe articolato di folclore urbano (così lo definiva nella prefazione Luigi Maria Lombardi Satriani) emergeva una drammatica e sconcertante realtà culturale, economica e sociale in un quartiere tra i più caratteristici della Palermo di quegli anni (e che oggi declina mestamente). Scriveva Guarrasi, proprio in chiusura del libro: «Durante il lavoro di rilevazione avevamo notato dei grandi "malaseni" (magazzini) dove erano conservate grandi quantità di cartone ridotto in balle regolari. Facilmente ci siamo resi conto che attorno al cartone ruotava un discreto numero di uomini ma soprattutto di ragazzi e di bambini. Nell' area vi sono 12 locali dove viene conservato e imballato il cartone che durante il giorno e la notte frotte di ragazzi raccolgono per le vie della città». Sono passati oltre trent' anni, ma la marginalità della condizione cittadina non pare essersi evoluta più di tanto. Forse è venuto un po' meno l' aspetto dickensiano dello sfruttamento minorile, nel senso che ormai si è spostato su altri settori sociali, interessando prevalentemente (ma non esclusivamente) i bambini immigrati. Tuttavia la Beggar' s Opera continua tale e quale, tragicamente: una sparpagliata e spariglia folla di picari, sommersa, negletta, diseredata vive di espedienti negli interstizi di una società che si sfalda e si sgretola, che rovina nelle sue inadempienze, che sembra saper produrre solo scorie. Ma forse proprio questa umanità ostracizzata è la sola a rendersi conto, facendo del bisogno una virtù, che dai cocci e dai detriti è possibile ricavare le tessere per costruire un nuovo, più organico e coerente, mosaico sociale.

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