Consiglio Letterario!
Un uomo che chiamano  clochard
di Michel e Colette Collard GambiezEdizioni Lavoro / Esperienze /  Macondo libri, pagine 381Un ex frate francescano e un' infermiera, Michel e Colette Collard -  Gambiez, raccontano in un libro la loro esperienza tra i "barboni" Clochard, se  questa e' una vita romantica.
Piu' giovani e soli: cosi' e' cambiata la  condizione dei senzacasa. Tra miseria e violenza Sono morti piu' di una dozzina  di clochard a ridosso del Natale, soprattutto a Roma, sulle panchine, sui  cartoni stesi nelle nicchie delle case, su mucchi di stracci agli angoli delle  piazze, tra le lamiere di roulottes a pezzi. Per il gelo, per antiche  privazioni. Sullo sfondo dei luccichii del Giubileo quelle morti sembrano ancora  piu' amare. Nessuno, gia' adesso, ricorda Ben Chaar Zouhaier, Mario il pirata,  Taddeus Sabala, Giampaolo, Anna, Heidi, nomi di un mondo alla ventura. L'  indifferenza sociale nei loro confronti, spesso l' ostilita' , sono quasi  sovrane, anche se non sono poche le persone - associazioni, Comuni, gruppi  religiosi e laici - che si prodigano per trovare un rifugio e una mensa per i  poveri senza casa e senza pane. Azione non facile perche' chi ha gettato via la  propria vita rifiuta spesso un aiuto costante e qualsiasi regola. Chi sono. C'  e' chi li chiama anche zanard, giovani di periferia allo sbando, o anche  routard, uomini di strada che vivono di espedienti. Qui da noi, in troppi, li  chiamano barboni. Anche Carlo Emilio Gadda, piu' anarco - espressionista che  pietoso, nell' Adalgisa li definisce cosi' : "Vagabondi (argentino: atorrantes;  milanese gergale: barboni) che, toltasi la giacca o una maglia, o peggio, vi  passano in rassegna i pidocchi". + un mondo segreto, quello dei clochard, che si  porta addosso un gran numero di pregiudizi, di leggende, di luoghi comuni.  Michel e Colette Collard - Gambiez hanno vissuto per anni in Francia e in Belgio  con questi dannati e dalla loro lunga esperienza hanno tratto un libro di  testimonianza: Un uomo che chiamano clochard, diario di comunanza cristiana,  specchio di vita quotidiana, pegno di affetto. Piu' che un' opera con velleita'  letterarie e' un manufatto bollente che rivela dal vero l' esistenza di questi  uomini e di queste donne. Non certo sinonimo di liberta' , che e' artificiale,  non reale. L' idea del clochard felice e' un paradosso privo di significato: i  suoi giorni fatti di durezza, di aggressivita' , di cattiveria, di solitudine.  Il bisogno costante di affettivita' resta inespresso, rivelato soltanto qualche  volta da un piccolo gesto, uno sguardo, un sorriso. Michel Collard, che ora ha  52 anni, comincio' a vivere da uguale con i clochard nel 1983. Frate  francescano, si muoveva nel mondo della grande miseria nella scia del Santo del  Cantico delle creature. Poi lascio' l' ordine e nel 1992 si sposo' con Colette  Gambiez, un' infermiera piu' giovane di dieci anni che condivise la sua vita  vagabonda, a Parigi, a Bruxelles, a Rouen, a Liegi, ad Amiens. Non sono pochi,  nella storia del mondo, quelli che hanno voluto provare per conoscere, passare  dall' altra parte, identificarsi. Simone Weil, per esempio, l' intellettuale,  filosofa e politica, che visse la vita di lavoro manuale alle officine Renault e  la rappresento' nel suo diario La condizione operaia. Duro' otto mesi quella sua  dura esperienza. Michel e Colette continuano da anni, e sono diventati  ambasciatori, quasi, di quell' umanita' sradicata battendosi con pazienza e con  coraggio per migliorare fin dove e' possibile la vita dei loro amici di strada,  impiantando comunita' , parlando e trattando con gli uomini della societa'  civile e politica. Dormono anche loro sui cartoni, vanno a cercare i rimasugli  di cibo nei bidoni della spazzatura vicino ai ristoranti, vivono la stessa vita  dei loro compagni d' avventura negli squat, le case abbandonate o occupate, e  nelle bidonville. Negli ultimi due decenni i clochard sono mutati. Non piu' ,  soltanto, i vecchi mendicanti dell' iconografia: sulle strade sono arrivati  moltissimi giovani, drogati, alcolisti, senza lavoro da sempre e senza speranza.  Quell' universo e' diventato forse piu' aspro anche perche' le sperequazioni tra  ricchi e poveri nella felice Europa si sono fatte piu' profonde. Il libro di  Michel e Colette e' un abecedario della miseria. Non esiste solidarieta' tra i  poveri: e' soltanto un' idea romantica dei ricchi. La giornata e la notte del  clochard e' fatta di appuntamenti, quasi ossessivi, legati alla ricerca del  mangiare e del dormire. La stazione, il ricovero, il portone, il garage, la  cantina sono gli appigli fissi, spesso i miraggi. La provvisorieta' e' un  elemento essenziale della vita dei senzacasa, come la noia infinita. Il chiedere  l' elemosina non e' un gesto automatico: per alcuni e' come un lavoro, per tanti  e' motivo di vergogna, c' e' chi si droga per trovare il coraggio di stendere la  mano. Il mondo esterno, nemico e amico, e' il poliziotto, il ferroviere, il  vigile, la guardia notturna, il prete, la suora. La violenza, il disprezzo del  prossimo sono dati per scontati. Lo stupore e' maggiore di fronte alla  gentilezza che alla bonta' . Il desiderio conscio o inconscio e' di venir  trattati da uomini. La psicologia del povero applicata ai suoi bisogni e'  elementare e insieme complessa. I posti di accoglienza sono spesso gelidamente  efficienti: il cuore deve contare come lo stomaco, altrimeni la disumanizzazione  prevale. Scrivono Michel e Colette: "Questo libro vuole essere un invito a  uscire da se' , dal proprio universo, per avere il coraggio di vivere un  incontro con la persona abbandonata e rompere cosi' il cerchio in cui sono  rinchiusi i poveri. Un invito a usare riverenza nei loro confronti, e dar prova  di generosita' , di bellezza e di bonta' invece che di sospetto, d'  inquisizione, di calcolo".  
 
 
 
          
      
 
  
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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