venerdì 6 novembre 2009

Mensa dei poveri Sestri Levante

I frati Cappuccini hanno raddoppiato il numero di pasti serviti agli indigenti. Da 30 a 60 coperti, nel giro di poche settimane. E al convento di viale Tappani cambia anche il tipo di popolazione a cui sono destinati i pranzi gratuiti. Sempre meno clochard “nostrani”, ovvero italiani che, spesso per scelta, hanno deciso di vivere con il cielo come soffitto, magari viaggiando da una città ad un’altra. E sempre più stranieri: romeni, soprattutto. Ma anche latinoamericani. Questi ultimi non sono “barboni” in senso stretto. Sono inseriti socialmente, regolarmente in Italia, con una casa e un lavoro: le donne sono badanti e gli uomini sono impiegati nell’edilizia. Semplicemente sono persone che fanno fatica ad arrivare alla fine del mese coi soldi del loro stipendio. E risolvere il problema del pranzo, tutti i giorni, fa la differenza tra farcela e non farcela. Tra sopravvivere e doversi indebitare, magari.

Le 11,45 di ieri, davanti ai cancelli della chiesa dei Cappuccini in viale Tappani. «Io sono una badante - dice una donna ecuadoriana sui trent’anni, entrando nel chiostro del convento per mangiare - e qualche settimana fa è morto l’anziano che stavo assistendo. Mi sono trovata improvvisamente senza lavoro, ed ero in nero. Così mi sono venuti a mancare gli 800 euro con cui vivevo: ora aspetto un nuovo lavoro, e vengo qui a mangiare perché non ho altra scelta». Ci sono tante altre donne latino americane che entrano nel convento. Le loro storie sono tutte diverse, eppure tutte simili, come conferma il padre superiore Lorenzo Zamperin.

«Tante badanti, è vero. Tutte brave persone, devo dire, mai nessun problema. È gente che, semplicemente, non ce la fa ad arrivare alla fine del mese - dice il frate -. Ogni giorno arriva qui una trentina di sudamericani, uomini e donne. Una volta uno di loro ha dato dei problemi, infastidiva gli altri faceva rumore. Ma noi siamo in costante contatto con carabinieri e polizia. Li abbiamo chiamati e, da quel giorno, non ha più disturbato».

Il servizio mensa dei Cappuccini di Chiavari vive degli aiuti che i frati riescono a trovare. Da alcuni negozi e supermercati si raccoglie la verdura prossima alla scadenza e la frutta troppo matura per essere venduta, ma ancora buona. Poi ci sono enti e istituzioni che danno una mano, come il Comune, che stanzia una somma ogni anno per sostenere questo servizio.

Il numero massimo di coperti serviti in viale Tappani è stato raggiunto d’estate, con la concomitante chiusura dei servizi mensa dei frati di Santa Margherita e di quelli di Sestri Levante. Evidentemente, il passaparola tra gli “ultimi” aveva fatto sì che alla mensa chiavarese arrivassero i poveri delle altre città.

«Non sempre le nostre risorse ci consentono di servire tanti pasti quanti sono effettivamente quel giorno i poveri - spiega padre Lorenzo -. Allora cerchiamo di fare razioni più scarse, in modo da accontentare tutti. Magari aggiungiamo al pasto un “rinforzino” di formaggio».

Tra i nuovi poveri, ovvero le persone che, con la crisi non ce la fanno a sbarcare il lunario, non ci sono solo gli stranieri. C’è anche un chiavarese. Un uomo di una settantina d’anni, con vestiti puliti, ma ormai consunti.

«Sono andato in pensione dopo una vita da artigiano, e quello che mi danno al mese è 700 euro - dice l’uomo, mentre entra nel chiostro dei Cappuccini a mezzogiorno in punto -. Sono vedovo, senza figli, e pago 400 euro di affitto al mese. Mi faccia pure i conti in tasca: secondo lei con 300 euro riesco a tirare avanti 30 giorni? Con 10 euro al giorno per cibo, utenze, farmaci, vestiti e qualsiasi altra cosa io abbia bisogno? La risposta è no. Per questo vengo sempre qui: si mangia pure bene. E meno male che ci sono loro: i frati.

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