giovedì 26 novembre 2009

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Tornano le bidonville sotto il cielo di Parigi
22 novembre 2009 - Tullio Giannotti
Secolo xix
C’era una volta il clochard parigino, la sua panchina, i cartoni e le «chansons» che a quella figura romantica si ispiravano. Oggi sulle sponde del canale Saint-Martin piantano la tenda gli esuli afghani, quelli che sognano di arrivare in Inghilterra. E intorno all’Opera e alle boutique di lusso si accampano i Rom. A fare i conti sono quelli che con i senzatetto ci lavorano tutte le notti, per cercare di convincerli a dormire al coperto, a non farsi sorprendere dal gelo, che per la verità quest’anno non è arrivato e non è nemmeno annunciato. Si tratta di una vera e propria città nella città, 8.000 persone: «Ritroviamo nelle strade un universo che credevamo sparito - spiegano a Emmaus, l’associazione fondata dall’Abbè Pierre per aiutare i diseredati - quello delle bidonville. Nascono degli accampamenti, perché la strada è pericolosa e il gruppo protegge gli individui. Ma i senzatetto si radunano anche per appartenenza culturale e di comunità». Bidonville: per ricordarsele a Parigi non è indispensabile essere molto anziani. Basta aver visto quelle che vennero costruite negli anni Cinquanta proprio dove ora sorge la Parigi del futuro, al di là dell’Arco di Trionfo, in direzione del quartiere d’affari della Defense. C’erano gli immigrati arrivati non si sa come, per lo più dal Nordafrica, senza casa e senza diritti. Oggi tutto è cambiato, ma è insospettabile l’esistenza della Paris by night che dorme sotto le stelle proprio accanto a quella del lusso e di chi fa l’alba in discoteca.

È stridente il caso del quartiere dell’Opera, che è anche un quartiere d’affari - animatissimo il giorno e molto più deserto e buio la notte - e una zona commerciale, con i grandi magazzini e molti negozi di grande tendenza. Dopo le 19, quando tutto chiude e restano soltanto le insegne lampeggianti, arrivano uno dopo l’altro i Rom, che a Parigi centro erano quasi sconosciuti fino a qualche anno fa. Quasi tutti sono arrivati nel 2007, all’ingresso della Romania nell’Unione europea, scacciati dalle autorità romene. Hanno i loro cartoni, i materassini sudici, le bottiglie, i carrelli e i fornelletti da campo. Attorno alle 21, a boulevard Haussmann, si sentono anche gli odori di cene improvvisate, qualche canto e l’odore di un sigaro. Poi arrivano le bottiglie e le coperte di lana, i cappucci da infilare uno sull’altro per la notte e per resistere al freddo, i sacchi a pelo. A mezzanotte, chi esce dai teatri o dai cinema, oltre che dall’Opera, commentando lo spettacolo appena visto o apprestandosi alla cena, li vede ormai addormentati, incapaci di curarsi di quanto accade loro intorno. Diversa è la situazione che si è creata nel X arrondissement e fino alle rive del Canal Saint-Martin, dove si accampano gli afghani che sono finiti chissà come anche a Parigi dopo la chiusura del centro di accoglienza di Sangatte, una sorta di pianeta dei disperati in attesa di attraversare la Manica, diventato ormai incontrollabile. Paradossalmente sembrano più tranquilli questi afghani che la sera utilizzano le tende da campeggio a montaggio rapido, quelle che si aprono e si autoinstallano senza bisogno di altro. Colorate perché destinate al turismo alternativo, una accanto all’altra, sono assiepate lungo il canale. I loro abitanti si organizzano: qualcuno è sempre sveglio, sta fuori, fa la guardia al gruppo. Perché l’acqua del canale è vicina e qualche gruppo di balordi può arrivare alle spalle, specie il venerdì e il sabato sera. «No, nei centri di accoglienza preferiamo non andarci», dice uno di loro, nel ricordo dell’inferno di Sangatte.

1 commento:

Anonimo ha detto...

mm... funny thoughts )