mercoledì 17 settembre 2008

Il Barbone

http://www.baccobaccanels.com/scritti/Il_barbone_baccobaccanels.htm

Sulla banchina della stazione di Genova a mezzanotte, ad aspettare il treno, io e un barbone.
Nella mano destra porto una borsina di plastica con due asciugamani e l'astuccio con rasoio, dentifricio e spazzolino, nella sinistra ho il sacchetto dei panini.
Il barbone ha una gamba sola e si appoggia a due stampelle. E' lì che borbotta, sembra ce l'abbia con qualcuno.
Arriva il treno, marrone di ruggine. La porta del secondo vagone di testa si ferma davanti a me e al barbone.
Scende il controllore: "Genovartenzaimmediatalocalefermattuttentimiglia!"
Chiedo: "Ferma ad Albenga?"
Risponde: "Parte subito. Tutte fino a Ventimiglia, signore".
Faccio per salire quando sento il barbone che si lamenta: "Non ce la farò mai a salire con una gamba sola. Mi servirebbe aiuto per prendere il treno".
Mi giro e prendo il barbone sotto braccio, gli levo una stampella e la butto sul vagone. E' pesante e puzza: il barbone, non la stampella.
Ci sono tre gradini alti, lui si appoggia all'altra stampella da un lato e a me dall'altro. Poi agita la gamba solitaria cercando di raggiungere il primo gradino.
Dopo essersi gustato la scena a lungo, con impietosi occhi da rettile, il controllore scende ad aiutarmi e poco dopo, tutti e tre siamo a bordo.
Il barbone fa: "Mi avete fatto male. E' il modo di aiutare uno con una gamba sola?". Il controllore alza un sopracciglio, si gira e se ne va, nel posto dove vivono i controllori.
Io lascio l'ingresso e apro la porta del vagone. Luce blu fredda e odore di piedi, poche persone: operai delle imprese di pulizia, militari, una suora.
Mi siedo in un blocco da quattro ancora vuoto. Il barbone mi segue e si siede davanti a me e si accomoda stirando la gamba.
Il treno parte e per quasi un'ora non succede nulla, tranne l'agitarsi del barbone, che non trova una posizione comoda e s'addormenta e poi si sveglia, ogni volta spostando le stampelle e girandosi per trovare una posizione migliore, fino a svegliarsi del tutto.
Una volta sveglio, il barbone ricomincia: "Questo treno è uno schifo e tu e quell'altro scemo mi avete fatto salire! Se stavo giù adesso ero seduto bello comodo sulla panchina."
Un sottotenente del battaglione logistico, che riconosco dalle mostrine, alza la testa e ci guarda. Una suora alza gli occhi da una rivista di pesca con la mosca e ci guarda.
Dico al barbone: "Sei tu che hai chiesto di aiutarti a salire".
"Non è vero", piagnucola, "Siete voi che mi avete preso e buttato su questo treno!"
Il sottotenente si accomoda meglio e la suora chiude la rivista. Mi rendo conto che per loro io e il barbone siamo una cosa sola.
Mi accorgo di come mi guardano, in effetti, io non sono in gran forma. Con questi vestiti, la borsa di plastica e il sacchetto dei panini è facile dare un'impressione sbagliata.
Tra me e il barbone c'è solo una gamba di differenza. Questo penso, e non mi piace.
Per distrarmi, apro il sacchetto e prendo i panini che ha preparato mia madre. "Ne vuoi?" Dico al barbone, a voce alta, e lui ne prende uno.
Un altro uomo, che sembrava addormentato, alza la testa e ci guarda, aggiungendosi al nostro piccolo pubblico.
Mastichiamo piano e guardiamo fuori dal finestrino. Non si vede niente: solo il riflesso di due facce che ruminano piano.
Il barbone tossisce. "Il pane è secco, a momenti mi soffoco. Che schifo di panino mi hai dato".
"Mangia che è buono, quel panino lo ha fatto mia madre", rispondo alzando un sopracciglio in direzione del pubblico.
Ora mi sento più padrone della situazione, è chiaro che io mi sto prendendo cura di lui. "
Ah, allora è colpa di quella zoccola se sto morendo soffocato!", sputa fuori il barbone, insieme a briciole di pane umide che si attaccano al finestrino.
Respiro forte e mi sento bruciare la faccia dalla rabbia.
Non riesco più a mantenermi calmo e sbotto: "Adesso basta, mangiati quello schifo di panino e falla finita, capito?"
Il barbone mi guarda con gli occhi lacrimosi e tace.
Ha vinto lui.
Il sottotenente mi guarda con rimprovero e la suora riprende a leggere scuotendo la testa.
Gli altri, che non riesco a vedere in faccia, mi comunicano disapprovazione con la loro posizione, con il loro respiro, che sembra più pesante di prima.
Guardo l'orologio imbarazzato, mi alzo, prendo le mie cose e mi sposto verso l'uscita, dove almeno non c'è nessuno.
Chiudo alle mie spalle la porta del vagone, per lasciarmi alle spalle l'intera scena.
Non mi accorgo del controllore, che dietro le mie spalle, ride.
"C'è da ridere?", chiedo.
"Sì, lo sa, stiamo per arrivare…"
"E allora?".
"C'è sempre da ridere quando si arriva da qualche parte."
Non lo capisco, ma il treno si sta fermando e non ho più tempo per scherzare.
Scendo alla stazione. E' molto buio e in giro non si vede nessuno. Con calma, cammino sul marciapiede diretto verso l'uscita.
Vedo una figura piccola sotto un pannello che dovrebbe essere il tabellone degli orari, appeso fuori dalla stazione.
La cosa si agita e salta. Da lontano, sembra un cane in equilibrio sulle zampe posteriori, con le zampe davanti appoggiate al muro.
Curioso, mi avvicino.
La piccola figura non è un cane, è un nano che sta cercando di leggere l'orario del treno senza riuscirci: il tabellone è appeso troppo in alto.
Mi fermo e gli dico: "Amico, guarda che fino alle cinque da qui non passa più niente".
Il nano si gira e mi risponde: "Amico un cazzo, chi ti ha chiesto qualcosa? Ce la faccio benissimo anche da solo!"
Rimango a bocca aperta, cercando le parole. Poi, tiro un sospiro e prendo la mia strada verso il paese.
Tra le labbra, una sigaretta mi distende i nervi. Tra i denti, un vaffanculo mi fa compagnia. Brrr!, fa proprio freddo stanotte.

baccobaccanels - aprile 2002

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