Due milioni vivono in povertà assoluta
Nel 2008 in Italia 1.126.000 famiglie è risultato in condizioni di povertà assoluta, per un totale di 2.893.000 persone, pari al 4,9 per cento dell’intera popolazione. È quanto emerge dal rapporto Istat sulla povertà. Quasi 5 italiani su 100 possono essere considerati «i poveri tra i poveri» dal momento che non possono conseguire uno standard di vita minimamente accettabile.Sono 8 milioni 78mila le persone povere in Italia, il 13,6% dell’intera popolazione. Il fenomeno è maggiormente diffuso al sud (23,8%), dove l’incidenza di povertà relativa è quasi cinque volte superiore a quella del resto del Paese. È quanto emerge dal rapporto Istat sulla povertà relativa nel 2008 presentato oggi a Roma. La percentuale di famiglie relativamente povere (la soglia di povertà per un nucleo di due componenti è rappresentata dalla spesa media mensile per persona e nel 2008 è risultata pari a 999,67 euro) , riferisce l’Istat, è comunque sostanzialmente stabile negli ultimi quattro anni e immutati sono i profili della famiglie povere. Il fenomeno è stabile rispetto al 2007 a causa del peggioramento osservato tra le tipologie familiari che tradizionalmente presentano un’elevata diffusione della povertà e del miglioramento della condizione delle famiglie di anziani. L’incidenza di povertà risulta però in crescita tra le famiglie più ampie (dal 14,2% al 16,7% tra quelle di quattro persone e dal 22,4% al 25,9% tra quelle di cinque o più) , soprattutto per le coppie con due figli (dal 14% al 16,2%) e ancor più tra quelle con minori (dal 15,5% al 17,8%). In aumento la povertà nelle famiglie di monogenitori (13,9%), nei nuclei con a capo una persona in cerca di occupazione (dal 27,5% al 33,9%), tra quelle che percepiscono esclusivamente redditi da lavoro, e cioè con componenti occupati, (dal 6,7% al 9,7%) e ancor più tra le famiglie con a capo un lavoratore in proprio (dal 7,9% all’11,2%). Soltanto le famiglie con almeno un componente anziano mostrano una diminuzione dell’incidenza di povertà (dal 13,5% al 12,5%) che è ancora più marcata in presenza di due anziani o più (dal 16,9% al 14, 7%).
La Stampa - 30/07/2009
giovedì 30 luglio 2009
lunedì 27 luglio 2009
LASCIATE STARE I BARBONI
Sono venuto a conoscenza che in diverse città italiane si stanno approntando – a cura degli assessorati alle politiche sociali dei Comuni – alcune “task-force” per prestare soccorso ai barboni (o clochard, per usare un termine più bello); si prevede addirittura un T.S.O. (Trattamento Sanitario Obbligatorio), che si usa di norma per i malati di mente, per i barboni che non vogliono essere ricoverati nei Centri di Accoglienza..
Non ho capito bene il motivo che sta sotto a queste decisioni, ma – poiché escluderei la volontà da parte delle amministrazioni pubbliche di “fare del bene” a qualcuno – mi sorge il sospetto che la motivazione è presto trovata: togliere dalla strada e spedire in manicomio questi individui che vivono una vita “diversa” da quella di tutti noi; se vogliamo dirla tutta è la filosofia che adottava Hitler e poco dopo Stalin, ma lasciamo perdere le polemiche e andiamo avanti.
Mi è venuto in mente di parlare di barboni in quanto ho avuto il piacere di conoscerne uno e, nella sua “particolarità”, mi ha completamente affascinato; dunque vi voglio narrare alcune mie impressioni e ricordi di questo signore, del quale non conosco il nome, ma che una volta mi ha chiesto se conoscevo San Pietro; gli ho risposto pregandolo di farmi capire il motivo per cui gli interessava San Pietro e lui mi ha controbattuto che il santo gli aveva assicurato il suo interessamento per fargli avere una nave che lo avrebbe condotto in America; lui capiva benissimo che San Pietro aveva mille cose da fare e quindi si poteva essere dimenticato della promessa fatta ed era per questo che cercava qualcuno che lo potesse mettere in contatto con lui.
Oltre a questa “fissazione”, il nostro clochard non chiedeva niente, al massimo se proprio gli offrivi qualcosa, sceglieva un po’ di pane (purché raffermo, perché bagnandolo prendeva più sostanza) e qualche cartone, utile per passare la notte all’addiaccio, cosa che il nostro barbone faceva sistematicamente, d’estate e d’inverno: l’ho sentito rifiutare il ricovero presso alcune suore disposte ad ospitarlo per la notte; lui ringraziava e se ne tornava per strada, sempre alla ricerca di San Pietro. Non faceva male a nessuno, non chiedeva niente a nessuno, l’unica cosa che lo caratterizzava era quella di essere “diverso” da noi.
Noi mangiamo e beviamo per poi andare di corpo (guai se si interrompe il ciclo); poi lavoriamo e produciamo soldi che utilizziamo per acquistare cose in gran parte superflue (anche qui, sono guai se si interrompe il ciclo): evidentemente qualcuno tra noi, ogni tanto, si ritrova a pensare al tipo di vita che sta conducendo e, nel fare questo, manda in corto circuito il proprio cervello; e quindi esclude dalla propria mente il continuare a fare quella vita e va a cercarne una diversa, magari in America, con la nave promessa da San Pietro, come accade al mio barbone.
Per concludere voglio raccontarvi di un altro barbone, questo di stanza a Torino, che ebbe il coraggio di tuffarsi nel Po e salvare una persona che vi stava annegando; arrivarono le TV, i giornali e fioccarono le interviste: a tutti rispose gentilmente ma con estrema riservatezza; rifiutò di diventare un personaggio televisivo come desideravano gli altri mettendolo nella gabbia del “Grande Fratello”; rifiutò anche dei soldi ed un lavoro che gli veniva offerto; tornò a fare quello che faceva prima, chiedendo sommessamente di essere lasciato in pace, chiedendo di lasciarlo essere soltanto “un barbone”, una persona “diversa” ma non per questo inferiore o superiore a tutti noi.
Insomma, non mi risultano azioni violente di “barboni” ai danni di “normali”, mentre mi risultano parecchie violenze di “normali” ai danni di “barboni”; che vorrà dire??
http://visionidelmondo.myblog.it/archive/2009/04/20/lasciate-stare-i-barboni.html
Sono venuto a conoscenza che in diverse città italiane si stanno approntando – a cura degli assessorati alle politiche sociali dei Comuni – alcune “task-force” per prestare soccorso ai barboni (o clochard, per usare un termine più bello); si prevede addirittura un T.S.O. (Trattamento Sanitario Obbligatorio), che si usa di norma per i malati di mente, per i barboni che non vogliono essere ricoverati nei Centri di Accoglienza..
Non ho capito bene il motivo che sta sotto a queste decisioni, ma – poiché escluderei la volontà da parte delle amministrazioni pubbliche di “fare del bene” a qualcuno – mi sorge il sospetto che la motivazione è presto trovata: togliere dalla strada e spedire in manicomio questi individui che vivono una vita “diversa” da quella di tutti noi; se vogliamo dirla tutta è la filosofia che adottava Hitler e poco dopo Stalin, ma lasciamo perdere le polemiche e andiamo avanti.
Mi è venuto in mente di parlare di barboni in quanto ho avuto il piacere di conoscerne uno e, nella sua “particolarità”, mi ha completamente affascinato; dunque vi voglio narrare alcune mie impressioni e ricordi di questo signore, del quale non conosco il nome, ma che una volta mi ha chiesto se conoscevo San Pietro; gli ho risposto pregandolo di farmi capire il motivo per cui gli interessava San Pietro e lui mi ha controbattuto che il santo gli aveva assicurato il suo interessamento per fargli avere una nave che lo avrebbe condotto in America; lui capiva benissimo che San Pietro aveva mille cose da fare e quindi si poteva essere dimenticato della promessa fatta ed era per questo che cercava qualcuno che lo potesse mettere in contatto con lui.
Oltre a questa “fissazione”, il nostro clochard non chiedeva niente, al massimo se proprio gli offrivi qualcosa, sceglieva un po’ di pane (purché raffermo, perché bagnandolo prendeva più sostanza) e qualche cartone, utile per passare la notte all’addiaccio, cosa che il nostro barbone faceva sistematicamente, d’estate e d’inverno: l’ho sentito rifiutare il ricovero presso alcune suore disposte ad ospitarlo per la notte; lui ringraziava e se ne tornava per strada, sempre alla ricerca di San Pietro. Non faceva male a nessuno, non chiedeva niente a nessuno, l’unica cosa che lo caratterizzava era quella di essere “diverso” da noi.
Noi mangiamo e beviamo per poi andare di corpo (guai se si interrompe il ciclo); poi lavoriamo e produciamo soldi che utilizziamo per acquistare cose in gran parte superflue (anche qui, sono guai se si interrompe il ciclo): evidentemente qualcuno tra noi, ogni tanto, si ritrova a pensare al tipo di vita che sta conducendo e, nel fare questo, manda in corto circuito il proprio cervello; e quindi esclude dalla propria mente il continuare a fare quella vita e va a cercarne una diversa, magari in America, con la nave promessa da San Pietro, come accade al mio barbone.
Per concludere voglio raccontarvi di un altro barbone, questo di stanza a Torino, che ebbe il coraggio di tuffarsi nel Po e salvare una persona che vi stava annegando; arrivarono le TV, i giornali e fioccarono le interviste: a tutti rispose gentilmente ma con estrema riservatezza; rifiutò di diventare un personaggio televisivo come desideravano gli altri mettendolo nella gabbia del “Grande Fratello”; rifiutò anche dei soldi ed un lavoro che gli veniva offerto; tornò a fare quello che faceva prima, chiedendo sommessamente di essere lasciato in pace, chiedendo di lasciarlo essere soltanto “un barbone”, una persona “diversa” ma non per questo inferiore o superiore a tutti noi.
Insomma, non mi risultano azioni violente di “barboni” ai danni di “normali”, mentre mi risultano parecchie violenze di “normali” ai danni di “barboni”; che vorrà dire??
http://visionidelmondo.myblog.it/archive/2009/04/20/lasciate-stare-i-barboni.html
domenica 26 luglio 2009
Riflessioni
BARBONI, GLI ULTIMI INVISIBILI
Di: gloria - Fonte: Tempus Vitae
"Non hanno alcun padrone, alcun samaritano perché non chiedono nulla"
Il paese più ricco di barboni è l’America. A New York occupano gli angoli di tutte le strade, i giardini delle chiese e disegnano il verde dei prati come tante orchidee del paradosso. A San Francisco, per il suo clima, per l’amministrazione comunale tollerante, i barboni giungono da ogni parte e si siedono uno accanto all’altro, come a Cesarea d’Egitto nel IV secolo dopo Cristo. Una città con il venticinque per cento di omosessuali, conosce bene il pregiudizio e l’emarginazione. Ma ci sono a Roma, a Parigi, a Tokio.La geografia del barbone è quella dei paesi arricchiti, dove la sopravvivenza è legata al superfluo, all’inutile; dove si muore per iperalimentazione e ogni cittadino ha almeno un’auto; dove lo spreco è il sistema d’esistenza, il consumo il criterio di identità e gli oggetti hanno la dignità della carne umana. Sono concentrati dove dominano gli eroi dell’oro, le dinastie del denaro.Non ho trovato barboni in Africa, nell’Asia della fame: qui domina la povertà. Anche nell’Occidente ricco c’è povertà, ma ha un volto differente dal barbone. La povertà deve rispettare e amare la ricchezza, ne dipende, ne ha bisogno. La povertà cerca un riscatto e chiede. Il barbone non chiede perché non ha bisogno di niente. Talvolta lo scrive su un cartello che poi appoggia al suo corpo, mentre dorme, per non essere continuamente richiamato da chi ha voglia di dare. La povertà è necessaria alla ricchezza, permette le buone azioni e di rivestire la propria coscienza, abituata a rubare. La visione del mondo del povero è identica a quella del ricco.Ho conosciuto i santi dei poveri, coloro che danno la vita ai poveri: sono identici ai ricchi, a quelli che la provocano. Sulla povertà è nata una industria, simile alle grandi imprese. Sono santi compromessi col potere, amano gli agi anche se con lo stile d’un masochista, un preziosismo del vizio. Chi genera povertà, crea anche i samaritani che la governano: sono vestiti in modo diverso, ma sono come i ricchi. Nel copione è inclusa la critica ai padroni, ruolo che svolgevano un tempo i buffoni di corte.Sui drogati, i nuovi poveri, è nato un impero: non mi riferisco agli spacciatori, ma agli apostoli, alla mafia della bontà. Un potere che ha per provvidenza i governi e gli stessi spacciatori. Sugli emigrati è nato un mercato clandestino dello sfruttamento, gestito da chi ha sete di giustizia. Una povertà perpetua, necessaria, saranno con voi per sempre.I barboni non hanno alcun padrone, alcun samaritano perché non chiedono nulla, non hanno bisogno d’un letto per dormire o d’una mensa per sfamarsi. Nessuno si può santificare sulla loro condizione. è paradossale: persino la povertà genera ricchezza. Non i barboni. I santi della povertà girano in macchine blindate, con le segretarie, telefoni diretti col potere. Ricordano i kapò dei campi di concentramento nazisti.In ogni città cerco i barboni. Un appuntamento fisso, come un tempo i musei, i monumenti illustri. E come allora faccio fotografie. Li fisso così per sempre nella memoria d’una camera oscura, come testimonianza di questo tempo, del volto umano. Stufo delle maschere del carnevale quotidiano, vado nelle piazze per guardare un barbone, coperto di pelo, di polvere, e di puzza. Preferisco l’odore della cacca a quello dei concimi chimici; la puzza d’un barbone al profumo d’un inutile e impellicciato corpo di donna.Mi siedo sullo stesso marciapiede e rimango silenzioso. Poi scatto una immagine, come facevo per il più caro amico della mia adolescenza. Ho una stanza tappezzata di foto di barboni; barboni di tutto il mondo. Mi sono talmente familiari da sembrarmi autoritratti del barbone che è dentro di me. Il volto è una pergamena su cui è scritta la biografia di ciascuno. Si stampa, inconsapevole, mentre ognuno scrive un racconto che non gli appartiene. Il volto è la rappresentazione del nostro passato, inciso sulla fronte, dentro lo sguardo. Non c’è bisogno di chiedere e avere risposta; nel silenzio si può decifrare questa infallibile tavola di Rosetta, testimone d’una esistenza che lenta si fa morte.Ho guardato anche il movimento d’un barbone, i suoi gesti, e talora mi sono sembrate sequenze d’un balletto al Bolscioi. Il gesto di raccogliere qualcosa da un sacco d’immondizia quando tutti ormai si curvano per rubare, è poetico. Il silenzio d’un barbone è soave, in mezzo a un brusio di delatori e falsi profeti.Ho incontrato anche donne, immobili agli angoli delle strade: le barbone. Forse hanno partorito, hanno donato il loro corpo a un marito, forse hanno tentato, invano, d’essere donne e sono diventate barbone. Lo stesso vuoto, l’identico silenzio, il medesimo odore.Manca solo la barba e forse è questo il loro unico desiderio.La povertà mi rattrista, un barbone mi consola. Violento il povero con un obolo, rispetto il barbone con il silenzio, guardandolo muto.Questa maschera d’uomo servirà a vedere meglio le maschere disumane che ognuno di noi indossa. Il barbone è la maschera del mistero, fatto di vuoto, di silenzio e di una lunga, disordinata barba.
http://www.tempusvitae.it/headlines/articolo_view.asp?ARTICOLO_ID=14640
Di: gloria - Fonte: Tempus Vitae
"Non hanno alcun padrone, alcun samaritano perché non chiedono nulla"
Il paese più ricco di barboni è l’America. A New York occupano gli angoli di tutte le strade, i giardini delle chiese e disegnano il verde dei prati come tante orchidee del paradosso. A San Francisco, per il suo clima, per l’amministrazione comunale tollerante, i barboni giungono da ogni parte e si siedono uno accanto all’altro, come a Cesarea d’Egitto nel IV secolo dopo Cristo. Una città con il venticinque per cento di omosessuali, conosce bene il pregiudizio e l’emarginazione. Ma ci sono a Roma, a Parigi, a Tokio.La geografia del barbone è quella dei paesi arricchiti, dove la sopravvivenza è legata al superfluo, all’inutile; dove si muore per iperalimentazione e ogni cittadino ha almeno un’auto; dove lo spreco è il sistema d’esistenza, il consumo il criterio di identità e gli oggetti hanno la dignità della carne umana. Sono concentrati dove dominano gli eroi dell’oro, le dinastie del denaro.Non ho trovato barboni in Africa, nell’Asia della fame: qui domina la povertà. Anche nell’Occidente ricco c’è povertà, ma ha un volto differente dal barbone. La povertà deve rispettare e amare la ricchezza, ne dipende, ne ha bisogno. La povertà cerca un riscatto e chiede. Il barbone non chiede perché non ha bisogno di niente. Talvolta lo scrive su un cartello che poi appoggia al suo corpo, mentre dorme, per non essere continuamente richiamato da chi ha voglia di dare. La povertà è necessaria alla ricchezza, permette le buone azioni e di rivestire la propria coscienza, abituata a rubare. La visione del mondo del povero è identica a quella del ricco.Ho conosciuto i santi dei poveri, coloro che danno la vita ai poveri: sono identici ai ricchi, a quelli che la provocano. Sulla povertà è nata una industria, simile alle grandi imprese. Sono santi compromessi col potere, amano gli agi anche se con lo stile d’un masochista, un preziosismo del vizio. Chi genera povertà, crea anche i samaritani che la governano: sono vestiti in modo diverso, ma sono come i ricchi. Nel copione è inclusa la critica ai padroni, ruolo che svolgevano un tempo i buffoni di corte.Sui drogati, i nuovi poveri, è nato un impero: non mi riferisco agli spacciatori, ma agli apostoli, alla mafia della bontà. Un potere che ha per provvidenza i governi e gli stessi spacciatori. Sugli emigrati è nato un mercato clandestino dello sfruttamento, gestito da chi ha sete di giustizia. Una povertà perpetua, necessaria, saranno con voi per sempre.I barboni non hanno alcun padrone, alcun samaritano perché non chiedono nulla, non hanno bisogno d’un letto per dormire o d’una mensa per sfamarsi. Nessuno si può santificare sulla loro condizione. è paradossale: persino la povertà genera ricchezza. Non i barboni. I santi della povertà girano in macchine blindate, con le segretarie, telefoni diretti col potere. Ricordano i kapò dei campi di concentramento nazisti.In ogni città cerco i barboni. Un appuntamento fisso, come un tempo i musei, i monumenti illustri. E come allora faccio fotografie. Li fisso così per sempre nella memoria d’una camera oscura, come testimonianza di questo tempo, del volto umano. Stufo delle maschere del carnevale quotidiano, vado nelle piazze per guardare un barbone, coperto di pelo, di polvere, e di puzza. Preferisco l’odore della cacca a quello dei concimi chimici; la puzza d’un barbone al profumo d’un inutile e impellicciato corpo di donna.Mi siedo sullo stesso marciapiede e rimango silenzioso. Poi scatto una immagine, come facevo per il più caro amico della mia adolescenza. Ho una stanza tappezzata di foto di barboni; barboni di tutto il mondo. Mi sono talmente familiari da sembrarmi autoritratti del barbone che è dentro di me. Il volto è una pergamena su cui è scritta la biografia di ciascuno. Si stampa, inconsapevole, mentre ognuno scrive un racconto che non gli appartiene. Il volto è la rappresentazione del nostro passato, inciso sulla fronte, dentro lo sguardo. Non c’è bisogno di chiedere e avere risposta; nel silenzio si può decifrare questa infallibile tavola di Rosetta, testimone d’una esistenza che lenta si fa morte.Ho guardato anche il movimento d’un barbone, i suoi gesti, e talora mi sono sembrate sequenze d’un balletto al Bolscioi. Il gesto di raccogliere qualcosa da un sacco d’immondizia quando tutti ormai si curvano per rubare, è poetico. Il silenzio d’un barbone è soave, in mezzo a un brusio di delatori e falsi profeti.Ho incontrato anche donne, immobili agli angoli delle strade: le barbone. Forse hanno partorito, hanno donato il loro corpo a un marito, forse hanno tentato, invano, d’essere donne e sono diventate barbone. Lo stesso vuoto, l’identico silenzio, il medesimo odore.Manca solo la barba e forse è questo il loro unico desiderio.La povertà mi rattrista, un barbone mi consola. Violento il povero con un obolo, rispetto il barbone con il silenzio, guardandolo muto.Questa maschera d’uomo servirà a vedere meglio le maschere disumane che ognuno di noi indossa. Il barbone è la maschera del mistero, fatto di vuoto, di silenzio e di una lunga, disordinata barba.
http://www.tempusvitae.it/headlines/articolo_view.asp?ARTICOLO_ID=14640
Barboni con 500 automobili
"Stop ai proprietari fantasma"
L’Asaps: troppi veicoli fuorilegge in giro, servono più controlli. Migliaia di auto intestate a prestanome: a casalinghe, barboni, cittadini stranieri privi di qualsiasi bene sul quale ci si possa rivalere
ROMA - UNA CASALINGA di Bergamo aveva 263 auto intestate a suo nome, un pirata di Roma ha ucciso un giovane motociclista guidando un’autovettura intestata a un prestanome. Due notizie di cronaca che parlano di altrettanti reati, e che segnalano un fenomeno diffuso e inquietante.
Migliaia di auto circolano nel nostro Paese intestate a prestanome: a casalinghe, barboni, cittadini stranieri privi di qualsiasi bene sul quale ci si possa rivalere per ottenere un eventuale indennizzo in caso di incidente. Il meccanismo assicura l’impunità a un sottobosco di criminali e di truffatori dei quali spesso restano vittime ignare semplici cittadini, ma anche assicurazioni o società finanziarie che prestano soldi a compratori virtuali destinati ben presto a scomparire nel nulla. Danni per milioni di euro, che si potrebbero limitare o scongiurare se solo si attuassero più adeguati controlli preventivi.
A lanciare l’allarme è Giordano Biserni, presidente dell’Associazione amici della polizia stradale (Asaps).
Dottor Biserni, come è possibile?
«In modo molto semplice, intestando auto nuove o usate a persone che si limitano a fornire un loro documento in cambio di poche decine di euro. Questo sistema permette una serie di variazioni sul tema reato veramente pericolose».
Per esempio?«Si possono commettere furti, rapine o truffe circolando con una macchina pulita. Cioè una vettura che non risulta segnalata con targa e numero di telaio negli archivi ricerche delle forze dell’ordine. Qualora si riesca a risalire al proprietario, questo risulterà uno sprovveduto senza patrimoni aggredibili».
Che altro?
«Queste vetture spesso sono prive di assicurazione o con assicurazione falsa. Ecco che si incrementa in questo modo il fenomeno della pirateria stradale. Dopo il sinistro scappo. Rilevano la targa? Vadano poi a parlare con il barbone della stazione, con la casalinga di Bergamo, col drogato della Garbatella. Sono stati accertati anche casi di intestazioni a persone giuridiche prestanome, poi risultate residenti in indirizzi di campi nomadi».
E le truffe?
«Uno dei metodi consiste nell’immatricolare grosse berline con conformità e dichiarazioni di vendita false, intestate al solito prestanome. Dopo qualche mese, guarda caso, la vettura verrà rubata in province lontane o all’estero. Scatterà il meccanismo per riscuotere dall’assicurazione il prezzo della vettura inesistente».
Per quanto riguarda il Codice della Strada?
«Nessun problema per chi guida: può ignorare il tutor, l’autovelox o la segnaletica. Non pagherà multe e non si vedrà mai trattenere punti sulla patente».
E se un cittadino viene investito da una di queste auto prive di assicurazione su chi può rivalersi?
«Per lui inizierà un girone infernale per ottenere il rimborso, solo parziale e in tempi lunghi, dall’apposito Fondo vittime della strada».
Cosa si può fare per limitare il fenomeno?
«In un sistema come il nostro, che permette la verifica incrociata di tutti i dati esistenti non è possibile che un soggetto si intesti centinaia di auto senza che scatti un allerta presso gli uffici della Motorizzazione e del Pra. Per esempio dopo l’intestazione di 3 veicoli dovrebbe scattare in automatico una segnalazione alla polizia per gli aspetti criminali e alla Guardia di Finanza per gli accertamenti fiscali. Serve poi un sistema di verifica negli Sta (Sportello Automatico dell’Automobilista) nei quali in modo velocissimo e senza filtri di controllo si possono ottenere anche duplicati di targhe e carte di circolazione con una semplice denuncia di smarrimento. Spesso quei documenti vanno a vestire altri veicoli».
Chi o quale ente dovrebbe occuparsene e come?
«Basterebbe una normativa o una direttiva del ministero dei Trasporti che prevedesse la segnalazione dei casi sospetti alle forze di polizia o alla Finanza. I reati salterebbero subito fuori. A tutto c’è un limite anche al numero di veicoli posseduti».
di Dario C. Nicoli - Quotidiano.net
"Stop ai proprietari fantasma"
L’Asaps: troppi veicoli fuorilegge in giro, servono più controlli. Migliaia di auto intestate a prestanome: a casalinghe, barboni, cittadini stranieri privi di qualsiasi bene sul quale ci si possa rivalere
ROMA - UNA CASALINGA di Bergamo aveva 263 auto intestate a suo nome, un pirata di Roma ha ucciso un giovane motociclista guidando un’autovettura intestata a un prestanome. Due notizie di cronaca che parlano di altrettanti reati, e che segnalano un fenomeno diffuso e inquietante.
Migliaia di auto circolano nel nostro Paese intestate a prestanome: a casalinghe, barboni, cittadini stranieri privi di qualsiasi bene sul quale ci si possa rivalere per ottenere un eventuale indennizzo in caso di incidente. Il meccanismo assicura l’impunità a un sottobosco di criminali e di truffatori dei quali spesso restano vittime ignare semplici cittadini, ma anche assicurazioni o società finanziarie che prestano soldi a compratori virtuali destinati ben presto a scomparire nel nulla. Danni per milioni di euro, che si potrebbero limitare o scongiurare se solo si attuassero più adeguati controlli preventivi.
A lanciare l’allarme è Giordano Biserni, presidente dell’Associazione amici della polizia stradale (Asaps).
Dottor Biserni, come è possibile?
«In modo molto semplice, intestando auto nuove o usate a persone che si limitano a fornire un loro documento in cambio di poche decine di euro. Questo sistema permette una serie di variazioni sul tema reato veramente pericolose».
Per esempio?«Si possono commettere furti, rapine o truffe circolando con una macchina pulita. Cioè una vettura che non risulta segnalata con targa e numero di telaio negli archivi ricerche delle forze dell’ordine. Qualora si riesca a risalire al proprietario, questo risulterà uno sprovveduto senza patrimoni aggredibili».
Che altro?
«Queste vetture spesso sono prive di assicurazione o con assicurazione falsa. Ecco che si incrementa in questo modo il fenomeno della pirateria stradale. Dopo il sinistro scappo. Rilevano la targa? Vadano poi a parlare con il barbone della stazione, con la casalinga di Bergamo, col drogato della Garbatella. Sono stati accertati anche casi di intestazioni a persone giuridiche prestanome, poi risultate residenti in indirizzi di campi nomadi».
E le truffe?
«Uno dei metodi consiste nell’immatricolare grosse berline con conformità e dichiarazioni di vendita false, intestate al solito prestanome. Dopo qualche mese, guarda caso, la vettura verrà rubata in province lontane o all’estero. Scatterà il meccanismo per riscuotere dall’assicurazione il prezzo della vettura inesistente».
Per quanto riguarda il Codice della Strada?
«Nessun problema per chi guida: può ignorare il tutor, l’autovelox o la segnaletica. Non pagherà multe e non si vedrà mai trattenere punti sulla patente».
E se un cittadino viene investito da una di queste auto prive di assicurazione su chi può rivalersi?
«Per lui inizierà un girone infernale per ottenere il rimborso, solo parziale e in tempi lunghi, dall’apposito Fondo vittime della strada».
Cosa si può fare per limitare il fenomeno?
«In un sistema come il nostro, che permette la verifica incrociata di tutti i dati esistenti non è possibile che un soggetto si intesti centinaia di auto senza che scatti un allerta presso gli uffici della Motorizzazione e del Pra. Per esempio dopo l’intestazione di 3 veicoli dovrebbe scattare in automatico una segnalazione alla polizia per gli aspetti criminali e alla Guardia di Finanza per gli accertamenti fiscali. Serve poi un sistema di verifica negli Sta (Sportello Automatico dell’Automobilista) nei quali in modo velocissimo e senza filtri di controllo si possono ottenere anche duplicati di targhe e carte di circolazione con una semplice denuncia di smarrimento. Spesso quei documenti vanno a vestire altri veicoli».
Chi o quale ente dovrebbe occuparsene e come?
«Basterebbe una normativa o una direttiva del ministero dei Trasporti che prevedesse la segnalazione dei casi sospetti alle forze di polizia o alla Finanza. I reati salterebbero subito fuori. A tutto c’è un limite anche al numero di veicoli posseduti».
di Dario C. Nicoli - Quotidiano.net
venerdì 24 luglio 2009
Succede anche questo!!!
Impietosivano i passanti con finte malattie
Video incastra quattro clochard : denunciati.
Simulavano di avere malattie per impietosire i passanti e recuperare così gli spiccioli per la giornata. Per questo i carabinieri della compagnia di Portoria, guidati dal maggiore Francesco Pecoraro e dal luogotenente Francesco Lo Vecchio, hanno denunciato a piede libero quattro persone per abuso della credulità popolare e atti contrari alla pubblica decenza.Le persone denunciate sono tutte straniere: un marocchino di 67 anni, un giordano di 53, e due fratelli di origini romene di 33 e 37 anni. I quattro agivano ciascuno per conto suo e ognuno aveva una zona ben precisa dove chiedere l'elemosina. L'indagine è partita sei mesi fa, dopo alcune segnalazioni di negozianti, passanti e carabinieri di quartiere. Dopo le segnalazioni è partita l'attività di monitoraggio, durata un paio di settimane, anche attraverso le telecamere.
Gli investigatori hanno così scoperto che i clochard simulavano le malattie per impietosire i passanti. Come il marocchino che fingeva di avere il morbo di Parkinson e alla fine del "turno" di lavoro correva verso l'autobus per tornare a casa.
I carabinieri hanno stimato un giro di 70/80 euro al giorno per ognuno dei denunciati.
Repubblica- Genova.it
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