martedì 15 aprile 2008

Eroe per caso!!

L'episodio sabato pomeriggio

Tenta di stuprare minorenne. Arrestato

Sabato pomeriggio in Centrale. A dare l'allarme un clochard che vive in stazione.
In manette un uomo di 38 anni

MILANO - Nel pomeriggio di sabato 12 aprile il personale della Polizia Ferroviaria di Milano ha arrestato un cittadino italiano di 38 anni, originario di San Marco in Lamis (Fg), con precedenti specifici, perchè responsabile di violenza sessuale aggravata ai danni di una ragazza minorenne che stava transitando nella galleria dei taxi della Stazione Centrale. A far scattare l’allarme è stato un uomo senza fissa dimora, abituale frequentatore dello scalo ferroviario, che verso le 17 ha segnalato a un agente della squadra di polizia giudiziaria la presenza di una giovane in lacrime, trascinata con la forza da un uomo pochi minuti prima in un angolo nascosto della galleria, dietro uno dei pannelli dei lavori in corso. La ragazza ha raccontato che, mentre si stava recando dalla madre, era stata bloccata da un uomo di corporatura robusta il quale, dopo essersi sbottonato i pantaloni e averla afferrata per un braccio, l’aveva strattonata in un angolo e aveva cercato ripetutamente di violentarla, fino a quando la giovane era riuscita a liberarsi e scappare. L’uomo è stato immediatamente individuato presso l’atrio della biglietteria ovest e, dopo il riconoscimento da parte della vittima, è stato arrestato. Alla ragazza, assistita presso l’ospedale Niguarda, è stata diagnosticata un’ecchimosi al braccio sinistro guaribile in tre giorni.

14 aprile 2008

giovedì 10 aprile 2008

Barboni : “I am the tramp”

Un “popolo” affacciato sul vuoto, a cavallo di un abisso segna­to da dolori ottusi e povertà tenaci: sono i senza dimora, ‘quelli che solitamente chiamiamo «barboni» o vagabondi. Sono tanti: secondo i rapporti e le stime più autorevoli, calcolando anche i nomadi, gli alloggi impropri, gli immigrati con sistemazioni di fortuna, si arriva a mezzo milione di persone che vivono un forte disagio abitativo. Quelli privi di casa a tutti gli effètti sono 60-90 mila, altri 40-60 mila sono alloggiati provvisoriamente in servizi pubblici o case di accoglienza del volontariato.Sono dunque molti gli uomini e le donne che vivono in strada, ma di giorno non si vedono quasi, non si sa dove stiano. Non amano la luce, forse perché i loro corpi non fanno ombra, come i fantasmi sono attraversati dagli sguardi senza essere visti. Forse perché hanno vergogna di trascinarsi in mezzo agli altri, pesanti e infagottati di stracci, carichi dei loro preziosi sacchetti con qualche torsolo di cibo e, più facilmente, un cartone di vi­no, buono a scaldare d’inverno e a intossicare sangue e memoria tutto l’anno.

Vite prive di oggetti, di cose, oltre che di case; non, hanno nulla che tenga fermi in un posto, che non sia una panchina più riparata o la parrocchia vicina col piatto di minestra e il pezzo di pane.
Vite di strada e di notte. Vite di uomini e, sempre di più, di donne; di anziani ma, sempre più spesso, anche di giovani.
Vite di persone che hanno scelto e pagato l’illusione di essere li­bere, ma, ormai soprattutto, di persone malate, scacciate e schiacciate: tossicodipendenti, malati di AIDS, usciti dal carcere e dimessi dai manicomi, immigrati, disoccupati, sfrattati, senza famiglia, emarginati per cause diverse. “Barboni” per forza, senza poesia e senza giustizia.
Vite da barboni, che fanno venire alla mente quella pubblicità-progresso contro l’abbandono dei cani che dice: «bastardo sarai tu». E «barboni”, in effetti, siamo noi, società civile, ordinata e produttiva, ma anche distratta e indifferente riguardo a chi non ce la fa, a chi s’è fermato, s’è perso o, meglio, è stato messo da parte perché non disturbi la vista e non turbi la coscienza.
Queste figure rannicchiate che vi propongo, questi abi­tanti della notte e della strada, questo popolo delle stazioni e delle panchine, non sono solo fotografie: sono uno scossone al nostro intorpidito senso di giustizia, un richiamo al diritto di cia­scuno di avere un posto, un nome, un’identità, una residenza; o, di più e meglio: una dignità, una speranza.
Uomini e donne, giovani e anziani, sani e malati: cittadini, come ogni altro di noi, costretti a chiedere una minestra o una moneta perché non hanno ricevuto attenzione e risposte quando hanno chiesto diritti e giustizia, quando hanno chiesto lavoro o assistenza, una casa o una cura, un asilo o un permesso di soggiorno. Quando hanno chiesto le parole per chiedere e non le hanno trovate, perché non hanno potuto impararle. Sottratte anch’esse, povertà aggiuntiva e ancor più forte di quella ma­teriale. Così che, questi poveri estremi, oltre che invisibili sono anche silenziosi, per incapacità o per rinunzia. Pensateci: è difficile che chiedano o che si arrabattino a vendere cianfrusaglie o a lavare i vetri. Non disturbano, stanno rattrappiti in un, angolo oppure camminano, sempre discreti e trasparenti, sulla strada; itineranti proprio come una mostra fotografica o un circo equestre.
Vengono questi ribelli, questi dimissionari della convivenza, questi emarginati dalla ipocrita decenza, questi esiliati dal pote­re mercantile — la banale civiltà, l’angustia sociale che nomina barboni o in altri modi uguali questi che hanno abbandonato il campo, violato la dura legge dell’avere — vengono da lontano nella storia, da oscuri medioevi di carestie e pesti, d’empietà e di violenza, vengono dalle piazze di Londra, Parigi o di Milano, da sotto arcate di ponti, da corti dei miracoli, bruegheliane quaresime, cortei di cenci, di cecità e di piaghe, da alberghi di carità, ghetti di decenza.
Sono i barboni, nella trionfante storia nostra d’oggi, incongrue presenze, segno dei nostri ritardi, dei nostri fallimenti. Sono simbolo, nelle interne fratture, della più vasta, crudele frattura nel mondo, profezia inquietante d’un medioevo incombenti.
I cambiamenti di questo mondo, la crescita dei “barboni per forza”, ci dicono però che spesso basterebbe poco a farli ritrarre dall’abisso e dal vuoto, dalla solitudine e dalla paura. Basterebbe la cura per chi è malato, l’accoglienza per chi è drogato, un’opportunità di lavoro per chi è disoccupato. Un sostegno vero, insomma, più che le buone parole o il rifugio nella scusa, statisticamente sempre meno vera, che sono loro, barboni per scelta, a non volere una casa e una vita normale. Perché se non sappiamo dare loro un po’ di giustizia, anziché una facile pietà, i veri barboni siamo noi.

http://www.virginiomessori.it/rifiuto_differenziato.htm

venerdì 4 aprile 2008

Roba da matti!!!

Colpevole del furto in un supermercato "imprigionato" in un giardino pubblico ora è a San Vittore.
La polizia lo sorprende lontano dalla sua "cella".
Processo per direttissima rinviato.
Milano, "evade" dalla panchina scontava gli arresti domiciliari nel parco.

MILANO - La sua cella era la panchina in piazzale Aquileia a Milano. L'avevano beccato in un supermercato a rubare una maglietta e due paia di calze. Il giudice gli aveva permesso di scontare la pena su quella panchina, vicino a San Vittore, dove aveva eletto il suo domicilio da tempo. Non poteva però muoversi dall'indirizzo prescelto dalle 7 del mattino alle 21 di sera. Ma Antonio Capone, 41 anni di Avellino, venerdì scorso da quella panchina è scappato. E la polizia lo ha pizzicato una volta ancora, lontano dalla sua "cella". Questa volta, però, nella prigione vera c'è dovuto andare per davvero.
Il processo per direttissima davanti alla prima sezione penale del Tribunale di Milano era fissato per stamane ma il giudice ha deciso di rinviare il dibattimento di qualche giorno, a martedì prossimo, per accogliere la richiesta di patteggiamento presentata dall'avvocato "dell'evaso". 4 aprile 2008

Amici barboni guardate dove vi sedete!!!!!!!!

Dopo i lavavetri, al bando i mendicanti.

Firenze dice basta a chi chiede l’elemosina sdraiato sui marciapiedi o sulle strisce pedonali, causando pericoli ai pedoni e al traffico.
Dopo il pugno duro con i lavavetri (scomparsi dalla città), ora Firenze dice basta ai mendicanti che chiedono l’elemosina sdraiati sui marciapiedi o sulle strisce pedonali, causando pericoli ai pedoni e al traffico. La notizia, anticipata da Il Firenze, è stata confermata dagli amministratori di Palazzo Vecchio che stanno studiando una bozza di nuovo regolamento della polizia municipale per arginare il fenomeno: nei giorni scorsi una signora non vedente, Rita Moldavia, 56 anni, ha urtato contro un mendicante, è caduta e ha riportato diverse ferite. Questa è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso e l'assessore ha spiegato i provvedimenti che intende mettere in atto.
GRAVE OSTACOLO.
«L’accattonaggio non è un reato - ha spiegato l’assessore comunale alla sicurezza Graziano Cioni - ma i mendicanti distesi per terra sono un grave ostacolo. Non stiamo pensando a un’ordinanza, come quella che ha bloccato i lavavetri, ma a un nuovo regolamento della polizia municipale che preveda anche nuove norme sul fenomeno e che dovrà poi essere approvata dal Consiglio». Cioni non parla apertamente di racket dell’elemosina, ma fa intuire che dietro al fenomeno qualcosa ci sia. «Quando vediamo questi mendicanti stesi tutto il giorno nelle strade principali del centro storico - dice l’ assessore - pensiamo quantomeno a uno sfruttamento ignobile: l’accattonaggio individuale è una cosa, ma le sue forme organizzate sono una storia diversa». Il nuovo regolamento, quindi «dovrà prevedere delle modalità per contrastare chi chiede l’elemosina intralciando i pedoni». Nel nuovo regolamento ci saranno anche altre misure. «Vorremmo proibire ai turisti - ha spiegato Cioni - di toccare la porta del Battistero. Sono norme di convivenza civile in una città che vuole essere civile».
LE REAZIONI. «La bozza del nuovo regolamento della polizia municipale di Firenze contro i mendicanti è una vera e propria vergogna. Se questa è la politica della solidarietà del Pd c'è davvero da piangere». A dirlo, il capogruppo dei Verdi-Sinistra Arcobaleno alla Camera Angelo Bonelli, secondo il quale «nemmeno la Lega di Bossi ha mai osato fare una simile proposta». Mentre per Achille Serra, ex prefetto di Firenze e candidato alle elezioni per il Pd nel collegio Toscana, il provvedimento è giusto e ben fatto: «Penso che tutti i comuni dovrebbero adottare questo regolamento... non si tratta di contrapporsi agli emarginati ma di rendere la città accettabile. Le città sono l'immagine del nostro Paese». «Codificare e multare un comportamento come quello del mendicante sdraiato sui marciapiedi ci sembra esagerato». È questo il commento del presidente dell’Arci di Firenze, Francesca Chiavacci, all’idea lanciata dall’assessore Graziano Cioni. «La convivenza civile non si può costruire con le multe quando si ha a che fare con le povertà, se un racket esiste ribadiamo quanto dicemmo in occasione dell’ordinanza anti-lavavetri: intervengano le autorità competenti». «Visto che oggi è il primo di aprile credo ci sia il fondato motivo di pensare che si tratti di uno scherzo». Commenta così, Gabriele Toccafondi candidato alla Camera dei deputati per il Pdl, la notizia che l’amministrazione comunale di Firenze sta pensando ad un regolamento anti accattonaggio. «Mi sembra paradossale - prosegue Toccafondi - che ci sia bisogno di un regolamento nuovo per non consentire ad una persona che chiede l’elemosina o meno, di intralciare il passaggio pedonale con possibilità di arrecare danni ai pedoni. Per questo spero ancora in uno scherzo».
LA SIGNORA Rita, 56 anni, fa la centralinista ed è cieca. Venerdì, all'angolo di piazza del Duomo, è inciampata su un mendicante sdraiato per terra. E' caduta e si è sfracellata la bocca, ha perso il bastone, quello che usa per camminare, per farsi strada tra la gente. in via Calzaiuoli è stata soccorsa da una pattuglia di poliziotti. Sabato, Rita ha fatto denuncia ai vigili urbani ma il mendicante era di nuovo al suo posto. Ha fatto un vero e proprio appello all'assessore Cioni: «Forse gli amministratori non si rendono conto di come un cartello stradale messo male o un mendicante steso per terra o le biciclette sui marciapiedi, possano essere delle vere e proprie trappole per i disabili, in particolare per chi non vede».

02 aprile 2008

mercoledì 2 aprile 2008

Storie come altre.....

MILANO (29/02/2008)

L’unica cosa che aveva, di Silvia, era la sua foto da piccolina. Custodita nel portafoglio, che serviva solo per quello, per racchiuderci la foto di Silvia. Di soldi, Marco Faggionato, 52 anni, quattordici passati in strada, non ne aveva quella triste notte, quando due uomini, forse più disperati di lui, sul vagone abbandonato della stazione Centrale dove dormiva, lo hanno aggredito, gli hanno preso il portafoglio e, non trovandci denaro, hanno stracciato l’unica cosa che conteneva, il tesoro più prezioso: la foto della sua bambina.

L'ALCOL LA SUA ROVINA
Gli occhi azzurri, velati di tristezza, il fare rumoroso e forzatamente allegro. La vita di Marco è tutta qui, nella sede dell’Sos stazione Centrale, l’associazione di volontari che dal ’90 dà una mano a chi non ha nulla. E che ha aiutato anche lui. Marco Faggionato, da quasi cinque anni, per strada non ci vive più, ha una casa, trenta metri quadri assegnati nel 2003 in un palazzo popolare della zona via Padova, ma sul suo viso sono incisi, tra le rughe profonde, anni di solitudine e paura.
È finito per strada quando aveva trent’anni. Sua moglie, dopo sei anni di matrimonio, gli ha fatto trovare le valigie stanca di vederlo tutte le sere ubriaco sul divano. «Bevevo parecchio - confessa Marco - ma non ho mai alzato un dito né su mia moglie né su mia figlia». Silvia. Che, all’epoca, aveva solo tre anni. Marco lavorava come piastrellista, ma a rubargli il lavoro a poco a poco ci ha pensato una bottiglia di cognac: «Bevevo ogni giorno sempre di più - dice - quando mia moglie mi ha cacciato sono venuto alla stazione con un sacco a pelo e una bottiglia».


LA FOTO STRACCIATA
I vagoni vuoti dei treni abbandonati o gli angoli, tra giornali e cartoni, di via Sammartini, magari sotto un balcone, erano il suo rifugio, il più possibile lontano da tutti, anche dagli altri barboni: «Perché per strada - spiega con amarezza - non ci si può fidare di nessuno: prima bevi insieme qualche bicchiere e poi ti portano via tutto». Come quella notte d’inverno, quando è stato aggredito: «Erano in due, mi hanno svegliato - ricorda Marco - mi hanno preso il portafoglio, ma dentro non c’era nulla, solo la foto di mia figlia. E me l’hanno strappata».
Un velo umido attraversa i suoi occhi quando parla di lei, di Silvia, che oggi ha 27 anni e ha preso la laurea. È per lei che, dopo anni trascorsi entrando e uscendo dagli ospedali, ha deciso di cominciare a smettere. E, per farlo, ha cominciato a scrivere poesie. «Invece di entrare in un bar, mi sedevo su una banchina e scrivevo», racconta.

POESIE PER SILVIA
Oggi non beve quasi più, le sue poesie sono state raccolte in un libro, ha vinto quattro concorsi letterari e finalmente ha un tetto sotto il quale dormire. Ma non c’è pace nel suo cuore. Il ricordo di ciò che poteva essere lo tormenta: «Avrei voluto essere un buon padre per la mia Silvia, ma non ce l’ho fatta - sussurra con un filo di voce - non la vedo più da quel giorno di 24 anni fa, quando me ne sono andato. Ho tentato di incontrala, ma lei è scappata, si vergogna. Vorrei poterci parlare, solo per un attimo, abbracciarla, dirle che un’anima ce l’ho anch’io, che è tutta qui, in queste poesie, nelle poesie che ho scritto per lei».

Sandra De Marco