martedì 25 novembre 2008

Senza parole.........

Il clochard bruciato a Rimini - Le intercettazioni

«Dovevi vederlo tra le fiamme, che scaldata gli abbiamo dato»


RIMINI — «Dovevi vederlo il barbone dentro al fuoco...». E giù una bestemmia. «Gli ho buttato addosso tutta la benzina che avevo. Lui non fiatava, dormiva». L'auto andava e Alessandro Bruschi parla, parla. Non sapendo che ad ascoltarlo, oltre alla sua fidanzata, c'è anche una batteria di microspie. Non erano trascorse nemmeno 24 ore da quando il clochard Andrea Severi era stato trasformato in una torcia umana. Ne parlavano a tutta pagina i giornali e le tv. E Alessandro, 20 anni, una vita dietro al bancone di un bar, non si tiene. Parla. «Si vantava» dicono gli inquirenti. Convinto di aver compiuto chissà quale eroismo. «Dovevi vederlo. Le fiamme che si alzavano. E quello lì che fa uno scatto e poi casca dritto...». Attimi di silenzio nell'abitacolo dell'auto. La ragazza (che ha poi confermato tutto agli inquirenti e della quale non è stato reso noto il nome) tace. Alessandro riparte: «Avessi visto come si dimenava, urlava, quante fiamme (e giù un'altra bestemmia, ndr)... Poi siamo dovuti scappare...».
Due giorni dopo il rogo, il pm Ercolani e la sua squadra di investigatori, un mix di polizia e carabinieri, erano già sulle tracce dei quattro. Un testimone li aveva messi sulla pista buona. Uno che frequentava lo stesso bar dei ragazzi e che li aveva sentiti immaginare, programmare e quindi vantarsi «di aver bruciato un barbone». Il resto l'hanno fatto le intercettazioni telefoniche e le cimici messe nelle auto di alcuni di loro. Non si sa chi, dei quattro, ha avuto per primo l'idea. Si sa, però, che non è stato qualcosa di improvvisato. Alessandro Bruschi e Fabio Volanti, che fa ancora le superiori nonostante i 20 anni compiuti, si trovavano spesso al bar Cantinetta di Padul: un biliardo, le freccette e tante sciarpe del Rimini calcio. E lì che hanno deciso di «movimentare le loro serate», trasformando in bersaglio quel barbone che da anni dormiva sulle panchine di via Flaminia. Solo. Indifeso. Il fuoco? No, non subito. D'accordo con gli altri due, il perito chimico Enrico Giovanardi e l'elettricista Matteo Pagliarani, la banda («perché tale si sentivano di essere» ha detto il capo della mobile, Nicola Vitali) è partita in modo soft, si fa per dire. Una notte di fine ottobre hanno avvicinato il clochard, che dormiva, lanciandogli contro petardi e qualche sasso. Poi via, in auto, senza sapere (particolare essenziale nelle successive indagini) che un testimone aveva letto parte della targa. La notizia del raid finisce sui giornali locali e i quattro, il giorno dopo al bar, assaporano il piacere «di sentirsi importanti».
Perché allora non fare un salto di qualità? «Proviamo con il fuoco» complottano. Si organizzano. Comprano una tanica da 5 litri. La sera del 10 novembre entrano in azione. Con le cautele del caso. Vanno a prendere la benzina in uno dei pochi distributori sprovvisti di telecamere a circuito chiuso. Aspettano che passi la mezzanotte. Il clochard dorme. Stando alle prime ricostruzioni (ma i quattro si stanno già rimpallando le colpe), sarebbe stato Bruschi a cospargere di benzina il senzatetto, mentre gli altri assistevano alla scena dall'auto. «Sono rimasti a guardare l'uomo in fiamme finché hanno potuto, poi sono fuggiti» raccontano gli investigatori. Ma non poteva bastare. Quei quattro volevano di più. E dopo 40 minuti sono tornati sulla scena del delitto (mancato per miracolo) per vedere le ambulanze, le telecamere, l'agitazione. «Però hanno utilizzato un'altra auto, una Gran Punto stavolta, a conferma che era tutto programmato» aggiungono gli agenti. Andrea Severi, con metà corpo divorato dal fuoco, viene ricoverato al Centro grandi ustionati di Padova. E per i quattro iniziano giorni di intense letture: non si perdono un giornale o un tiggì. Le cimici sono già in funzione: «Hai visto? Ne parlano tutti, che roba...». Ci scherzano, anche: «Gli abbiamo dato una bella scaldata...». Poi un giorno scoprono che qualcuno ha letto parte della targa. E la voglia di scherzare diventa paura: «Hanno beccato la macchina, bisogna stare attenti, non usciamo...». Ora sono in carcere. E forse non sanno che l'operazione che li ha portati lì si chiama «Gioventù bruciata». La loro.

3 commenti:

Unknown ha detto...

Maledetti piccoli ignoranti.

Anonimo ha detto...

SPERO CHE GIUSTIZIA SIA FATTA. BASTARDI SENZ'ANIMA. DOVETE MARCIRE IN GALERA PER IL RESTO DELLA VOSTRA VUOTA ESISTENZA!!!

Anonimo ha detto...

Credo veramente che ci siano poche parole da dire......