venerdì 10 ottobre 2008

Lucy scritto da Eleonora

Lucy

Stamattina ho conosciuto Lucy.
E' una signora sulla 60ina che passa le sue giornate sotto il sole a Largo Argentina, seduta su una sedia di plastica resa più confortevole da un cuscino mezzo scucito, con un curioso cartello di cartone vicino a lei che recita : "Sono povera ma felice. Aiutatemi, Grazie".
Se siete di roma e bazzicate il centro l'avrete sicuramente vista.
Io l'avevo vista mille volte e stamattina, dopo esser andata in banca, ho preso 2 euro e glieli ho portati.

Lei stava sistemando la sua sedia mentre mi avvicinavo e mi ha fatto un sorriso enorme quando le ho lasciato quelle due monete.
Le ho chiesto il nome e mi sono accorta che non parlava l'italiano ma solo l'inglese.
Ero veramente incuriosita da questa donna che, con i suoi occhioni scuri, truccati con un improbabile ombretto color verde acqua, che le sta benissimo, continuava a guardarmi quasi con amore. "Are you happy, Lucy?"
E lei :"I have no money, 'cause I've no job. I've not an housband...but I'm STILL happy! God makes me feel so" indicando il sole e continuando a sorridere, con quel sincero sorriso di pace e armonia.
Resto veramente colpita dalla totale congruenza e coerenza nel modo i cui mi diceva queste cose. Tutto il suo corpo, i suoi gesti, la sua voce mi trasmetteva una serenità e una gioia fuori dal comune.
"For me is not so easy..." dico io.
"Oh yes!! IT IS!! Is like when you walk and dance at the same time...I've seen you before!"
E' come quando io cammino e ballo allo stesso tempo...è una cosa che mi viene automatica, è vero! E lei mi aveva già vista e aveva notato questa cosa!!
Rimango senza parole e cominciano a riempirsi gli occhi di lacrime, non riesco a trattenerle eppure mi viene da ridere e mi scoppia il cuore davanti a questa persona stupenda che contina a farsi baciare dal sole.
Mi racconta che è nigeriana e che vive tra Roma e Bologna, tre settimane in una città, tre nell'altra...

Grazie Lucy, sei meravigliosa!
"Can I hug you, Lucy?"
E ci abbracciamo così, con semplicità, col cuore, come se la conoscessi da sempre. Un abbraccio lungo, caldo e profumato di vita, di Africa.

"Have a nice day, my dear".
"Anche tu, Lucy! Thank you"

http://aranciamara.blogspot.com/

mercoledì 8 ottobre 2008

Nei panni di un clochard

di Gabriele Menegatti

Quella della settimana scorsa è stata un'inchiesta molto particolare,
probabilmente una delle più impegnative che personalmente mi sono trovato
a vivere da quando svolgo l'attività di reporter per Talk Radio – Voci nella Notte.
L'argomento da noi analizzato riguardava i clochard od homeless o, come si dice
da noi, barboni. In più di un'occasione in passato avevamo affrontato
tale tema, ma questa volta il compito doveva essere svolto in maniera
diversa. Infatti, dopo essermi camuffato in modo tale che anche il
mio vicino di casa avrebbe avuto problemi a riconoscermi, dovevo sostare
sulla strada recitando la parte di un senzatetto. Virgilio, reporter-sociologo,
nel frattempo avrebbe raccontato e commentato in diretta ciò che mi
accadeva, mantenendosi rigorosamente ad una certa distanza.
La nostra avventura è cominciata intorno a mezzanotte e mezza in coincidenza
con l'inizio della trasmissione. Dopo essermi accordato con il mio complice
riguardo dinamiche e tempistica degli interventi con lo studio, mi sono diretto,
armato di cartone e cappello per eventuali elemosine, su via del Corso,
meta scelta come prima tappa del nostro singolare tour.
Il primo forte impatto con la cruda realtà di un barbone l'ho percepito
quasi subito ed i protagonisti di quel brusco ingresso nel mondo dei clochard
sono stati due ragazzi, fidanzati credo. Mentre si avvicinavano alla mia
postazione tenendosi per mano, i nostri sguardi si sono incrociati per alcuni
istanti. Mi sentivo molto imbarazzato, probabilmente un pochino lo erano
anche loro, poi, sempre mantenendo il passo, si sono stretti in un abbraccio,
quasi che reciprocamente cercassero conforto l'uno dall'altra. Non credo
fosse bisogno di sicurezza, ero sdraiato a terra, non mi muovevo, non
potevano aver paura. Piuttosto, sembrava volessero isolare, lasciare fuori
una così brutta e scomoda immagine che si erano trovati davanti, mentre
passeggiavano spensieratamente per il corso.
Dopo aver rotto il ghiaccio con la coppietta sopracitata, ho iniziato sempre
più frequentemente a cercare il contatto, a livello di sguardi ovviamente,
con gli altri passanti. Ciò nonostante uno degli episodi che più mi ha colpito
è stato uno sguardo mancato, cioè una dimostrazione di totale indifferenza
da parte di una ragazza che, oltre a non accorgersi apparentemente di me,
ha ignorato anche il cappello posizionato ad un metro dal sottoscritto,
arrivando addirittura a calpestarlo. E' brutto pensare che l'abbia visto e
di proposito ci sia passata sopra, ma forse è ancora peggio che non si sia
accorta di una persona, in evidente difficoltà, sdraiata per terra su di un
marciapiede neanche troppo largo: Marco Berry delle Iene li chiama invisibili.
Dopo aver costatato che il flusso di persone in via del Corso iniziava a
diminuire, abbiamo deciso di spostarci verso Corso Vittorio, precisamente
all'inizio della via che porta a Campo de’ Fiori. Una volta sistemato
l'armamentario nei pressi del semaforo pedonale, mi sono soffermato
dietro un muretto per qualche minuto con Virgilio, insieme discutevamo
riguardo le mosse successive da adottare. In quel lasso di tempo è avvenuta
la cosa più simpatica della serata, infatti un tassista che stava ascoltando la
trasmissione, ci ha riconosciuto ed ha rallentato per salutarci: come amerebbe
dire Michele, questa è la magia di Talk Radio – Voci nella Notte.
Purtroppo al ritorno in postazione mi attendeva una squallida sorpresa: il
cappello con le monetine (80 centesimi in tutto) da me posizionate per
rendere più credibile il tutto, era sparito.
Beh! complimenti all'autore del gesto eroico,
in tasca avevo qualcosina in più di 80 centesimi e, se me li avesse chiesti, sarei stato felice di aiutarlo.
Poveraccio! (nell'animo).

A quel punto, intenzionato a recuperare la somma persa, ho deciso di iniziare
ad interagire con i passanti chiedendogli l'elemosina. Dopo una lunga serie
di tentativi andati male, forse anche per via del mio aspetto poco
rassicurante, sono riuscito a fermare un signore che, dopo aver frugato
accuratamente nelle tasche, ha tirato fuori una moneta da dieci centesimi.
Prima di porgermela però, ha tenuto a precisare che non era pienamente
d'accordo con quel genere d'azione, dubbioso sul come avrei potuto spendere
quei soldi. Anche se non l'ha espressamente detto, era palese a cosa si
riferisse. Dentro di me ho pensato che comunque sarebbe stato piuttosto
difficile procurarmi dello "sballo" con quella cifra. Però, in ogni caso andava
premiato il gesto, in fondo era l'unico della serata che, anche se in maniera
light, aveva messo mano al portafogli. A quel punto mi sono presentato
spiegandogli che era tutta una messa in scena e, nonostante l'arrivo di Virgilio
in veste di rassicuratore, la nostra "vittima" sembrava essere molto confusa,
rifiutando addirittura la restituzione della monetina: effetto candid camera.
Si erano fatte le tre meno cinque, la serata era giunta al termine, perciò,
una volta salutato lo studio e gli ascoltatori, ci siamo avviati verso la macchina.
Ovviamente due ore e mezza sdraiato su di un marciapiede non possono avermi
insegnato cosa significhi vivere quel tipo di vita, vivere nell'emarginazione e
nell'indifferenza altrui. Nonostante mi fossi immedesimato moltissimo nel
ruolo che stavo interpretando, affrontavo tutto ciò nella consapevolezza
(rassicurante) che quello era solo un incarico di lavoro, era l'operativo della
serata che, se vogliamo, poteva essere vissuto anche come un gioco, forte
del fatto che una volta impartitomi il "rompete le righe" da parte di Michele,
una volta che lo stesso avesse pronunciato il tradizionale "buongiorno Roma",
sarei potuto correre a casa, nella mia confortevole casetta, ad infilarmi sotto
la doccia dopo aver cestinato i panni luridi che indossavo, per tornare ad
essere una persona definibile, da chi mi circonda, "normale".
Però nonostante ciò ho avuto modo di provare delle particolari sensazioni
e di raccoglierne altrettante da quei passanti che, anche senza guardarmi,
dimostravano di aver avvertito la mia presenza. Come ho già detto questa
esperienza non può avermi fatto capire pienamente cosa possa significare
essere un barbone e, sinceramente, spero di non arrivare mai a scoprirlo al
100%... Posso comunque dire di essermi avvicinato, seppur di poco, seppur
per poco, al loro mondo, alla loro condizione e realtà e di essere stato per
un paio d'ore un'invisibile o quanto meno, meno visibile del solito.

(24/09/2007)
http://www.micheleplastino.net/inchieste.aspx?ln=it&id=20

domenica 5 ottobre 2008

"Clochard" di Raffaele Innamorato

Ho trascorso
nel pianto
della solitudine
la mia vita.
M'illudo di vivere:
non so più chi sono!
Nel mio animo,
nascondo
austere
convinzioni.....
parlatemi di me,
dei miei sogni,
di quello che sono stato per voi!
ho smarrito
la mia voce
e il mio essere me stesso.
Vivo
perchè ho paura
di morire.....


http://memoriedistrada.blogspot.com/2007/07/clochard.html

mercoledì 1 ottobre 2008

Storia di un clochard

a volte, nell'immenso vagare della disperazione, può accendersi una luce...

«Viaggiare è proprio utile, fa lavorare l’immaginazione. Tutto il resto è delusione e fatica. Il viaggio che ci è dato è interamente immaginario. Ecco la sua forza. Va dalla vita alla morte. Uomini, bestie, città e cose, è tutto inventato. È un romanzo, nient’altro che una storia fittizia...» Può essere che Angelo Starinieri, ricco e povero, e poi di nuovo ricco; manager divenuto clochard, e infine di nuovo manager dei suoi amici barboni, dai milioni ai centesimi, su e giù per le montagne russe di un’esistenza esagerata, non abbia mai letto Louis Ferdinand Céline. Ma già quel titolo: «Viaggio al termine della notte», gli piacerebbe, per non dire che un personaggio come il suo ci sarebbe stato bene benissimo - di diritto, anzi - nelle pagine del medico visionario di Courbevoie. Parla di quelli come lui, Céline, quando dice per esempio che «l’esistenza è una cosa che vi torce e vi rovina la faccia».
La faccia di Angelo Starinieri, 70 anni, barba bianca e gli occhi che hanno fatto da spettatori a tante sconfitte, un po’ rovinata lo è.
Lui, l’uomo che con i suoi amici barboni è entrato nel Guinness dei primati perché un giorno gli è venuto in mente di confezionare la torta più grande del mondo (86 metri di giulebbe, se vi sembran pochi...) un libro potrebbe scriverlo domani, se volesse. Un libro per raccontare che l’approdo a un paradiso possibile in cui la speranza, il riscatto, la visione di una felicità infine possibile spesso è lì, a portata di mano. E viene un momento in cui tocca fermarsi, riconoscere che il bene è lì da vedere, basta allungare una mano per coglierlo; e allora tutti i pezzi sparpagliati tornano alla base, e un quadro compatibile, benigno, salvifico infine, va profilandosi. Riconoscerlo, farlo proprio, ecco di che si tratta.
Angelo Starinieri, dunque, 70 anni, quasi sempre vissuto a Como. Manager - marketing, pubblicità, relazioni esterne - di una multinazionale svizzera, ramo orologi. Presidente, a un certo punto, della «Lariana Hockey», «150mila euro investiti in due anni, così...».
Poi il mondo che comincia a girare a rovescio. Un figlio che muore per droga, il matrimonio che va a rotoli, i problemi economici a seguire. Per un anno e mezzo Starinieri viene a vivere a Milano, da un amico. Ma la vita: sempre in discesa. «Uno stato di torpore molto triste», sintetizza lui. Depressione, si chiama.
Lascia la casa dell’amico, prende a gravitare intorno alla stazione di Cadorna. «Dormivo sulle panchine, mi lavavo alla Croce Rossa, mangiavo alla Caritas. Pian piano morivo dentro, sentivo che il cervello mi si spappolava». Poi, la scossa. Una donna che gli passa accanto, e dice al figlio: «Lo vedi? Se non studi finisci come quello lì». Allora Starinieri si alza, si ricorda che una volta, dài, era un uomo. Resta dov’è: ma ricomincia a fare le cose che sapeva fare. Angelo Starinieri ricomincia a vivere a novembre. Si inventa una mostra di pittura: «Suoni e colori: 28884 minuti per gli invisibili». Invisibili come lui. A dicembre, la faccenda della torta, cui mettono mano in una trentina. E i giornali e le telecamere che corrono a vedere.
A marzo, un salotto letterario dove i lettori possono incontrare gli autori: «Leggere un libro per il sorriso di un clochard». E con i soldi messi insieme ecco una bella roulotte dove fare un po’ di cucina, e sette tende nuove di zecca per dormirci la notte. In ballo, altre due buone idee: una piattaforma dove collocare altre tende per i suoi amici e un combino con il Comune per la gestione di alcuni giardinetti della città. La sera, quando tutti i barboni di Cadorna si ritrovano, sembra una famiglia. Lui, il manager che si fece clochard, nelle vesti dell’amministratore delegato degli Invisibili, se si può dire.
Non cambierà vita, Starinieri. Ha detto così: «Non si diventa clochard per scelta. Ma bisogna rispettare il proprio destino». Céline avrebbe sottoscritto.

Fonte: Il Giornale 2008