Colpevole del furto in un supermercato "imprigionato" in un giardino pubblico ora è a San Vittore.
La polizia lo sorprende lontano dalla sua "cella".
Processo per direttissima rinviato.
Milano, "evade" dalla panchina scontava gli arresti domiciliari nel parco.
MILANO - La sua cella era la panchina in piazzale Aquileia a Milano. L'avevano beccato in un supermercato a rubare una maglietta e due paia di calze. Il giudice gli aveva permesso di scontare la pena su quella panchina, vicino a San Vittore, dove aveva eletto il suo domicilio da tempo. Non poteva però muoversi dall'indirizzo prescelto dalle 7 del mattino alle 21 di sera. Ma Antonio Capone, 41 anni di Avellino, venerdì scorso da quella panchina è scappato. E la polizia lo ha pizzicato una volta ancora, lontano dalla sua "cella". Questa volta, però, nella prigione vera c'è dovuto andare per davvero.
Il processo per direttissima davanti alla prima sezione penale del Tribunale di Milano era fissato per stamane ma il giudice ha deciso di rinviare il dibattimento di qualche giorno, a martedì prossimo, per accogliere la richiesta di patteggiamento presentata dall'avvocato "dell'evaso". 4 aprile 2008
venerdì 4 aprile 2008
Amici barboni guardate dove vi sedete!!!!!!!!
Dopo i lavavetri, al bando i mendicanti.
Firenze dice basta a chi chiede l’elemosina sdraiato sui marciapiedi o sulle strisce pedonali, causando pericoli ai pedoni e al traffico.
Dopo il pugno duro con i lavavetri (scomparsi dalla città), ora Firenze dice basta ai mendicanti che chiedono l’elemosina sdraiati sui marciapiedi o sulle strisce pedonali, causando pericoli ai pedoni e al traffico. La notizia, anticipata da Il Firenze, è stata confermata dagli amministratori di Palazzo Vecchio che stanno studiando una bozza di nuovo regolamento della polizia municipale per arginare il fenomeno: nei giorni scorsi una signora non vedente, Rita Moldavia, 56 anni, ha urtato contro un mendicante, è caduta e ha riportato diverse ferite. Questa è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso e l'assessore ha spiegato i provvedimenti che intende mettere in atto.
GRAVE OSTACOLO.
«L’accattonaggio non è un reato - ha spiegato l’assessore comunale alla sicurezza Graziano Cioni - ma i mendicanti distesi per terra sono un grave ostacolo. Non stiamo pensando a un’ordinanza, come quella che ha bloccato i lavavetri, ma a un nuovo regolamento della polizia municipale che preveda anche nuove norme sul fenomeno e che dovrà poi essere approvata dal Consiglio». Cioni non parla apertamente di racket dell’elemosina, ma fa intuire che dietro al fenomeno qualcosa ci sia. «Quando vediamo questi mendicanti stesi tutto il giorno nelle strade principali del centro storico - dice l’ assessore - pensiamo quantomeno a uno sfruttamento ignobile: l’accattonaggio individuale è una cosa, ma le sue forme organizzate sono una storia diversa». Il nuovo regolamento, quindi «dovrà prevedere delle modalità per contrastare chi chiede l’elemosina intralciando i pedoni». Nel nuovo regolamento ci saranno anche altre misure. «Vorremmo proibire ai turisti - ha spiegato Cioni - di toccare la porta del Battistero. Sono norme di convivenza civile in una città che vuole essere civile».
LE REAZIONI. «La bozza del nuovo regolamento della polizia municipale di Firenze contro i mendicanti è una vera e propria vergogna. Se questa è la politica della solidarietà del Pd c'è davvero da piangere». A dirlo, il capogruppo dei Verdi-Sinistra Arcobaleno alla Camera Angelo Bonelli, secondo il quale «nemmeno la Lega di Bossi ha mai osato fare una simile proposta». Mentre per Achille Serra, ex prefetto di Firenze e candidato alle elezioni per il Pd nel collegio Toscana, il provvedimento è giusto e ben fatto: «Penso che tutti i comuni dovrebbero adottare questo regolamento... non si tratta di contrapporsi agli emarginati ma di rendere la città accettabile. Le città sono l'immagine del nostro Paese». «Codificare e multare un comportamento come quello del mendicante sdraiato sui marciapiedi ci sembra esagerato». È questo il commento del presidente dell’Arci di Firenze, Francesca Chiavacci, all’idea lanciata dall’assessore Graziano Cioni. «La convivenza civile non si può costruire con le multe quando si ha a che fare con le povertà, se un racket esiste ribadiamo quanto dicemmo in occasione dell’ordinanza anti-lavavetri: intervengano le autorità competenti». «Visto che oggi è il primo di aprile credo ci sia il fondato motivo di pensare che si tratti di uno scherzo». Commenta così, Gabriele Toccafondi candidato alla Camera dei deputati per il Pdl, la notizia che l’amministrazione comunale di Firenze sta pensando ad un regolamento anti accattonaggio. «Mi sembra paradossale - prosegue Toccafondi - che ci sia bisogno di un regolamento nuovo per non consentire ad una persona che chiede l’elemosina o meno, di intralciare il passaggio pedonale con possibilità di arrecare danni ai pedoni. Per questo spero ancora in uno scherzo».
LA SIGNORA Rita, 56 anni, fa la centralinista ed è cieca. Venerdì, all'angolo di piazza del Duomo, è inciampata su un mendicante sdraiato per terra. E' caduta e si è sfracellata la bocca, ha perso il bastone, quello che usa per camminare, per farsi strada tra la gente. in via Calzaiuoli è stata soccorsa da una pattuglia di poliziotti. Sabato, Rita ha fatto denuncia ai vigili urbani ma il mendicante era di nuovo al suo posto. Ha fatto un vero e proprio appello all'assessore Cioni: «Forse gli amministratori non si rendono conto di come un cartello stradale messo male o un mendicante steso per terra o le biciclette sui marciapiedi, possano essere delle vere e proprie trappole per i disabili, in particolare per chi non vede».
02 aprile 2008
Firenze dice basta a chi chiede l’elemosina sdraiato sui marciapiedi o sulle strisce pedonali, causando pericoli ai pedoni e al traffico.
Dopo il pugno duro con i lavavetri (scomparsi dalla città), ora Firenze dice basta ai mendicanti che chiedono l’elemosina sdraiati sui marciapiedi o sulle strisce pedonali, causando pericoli ai pedoni e al traffico. La notizia, anticipata da Il Firenze, è stata confermata dagli amministratori di Palazzo Vecchio che stanno studiando una bozza di nuovo regolamento della polizia municipale per arginare il fenomeno: nei giorni scorsi una signora non vedente, Rita Moldavia, 56 anni, ha urtato contro un mendicante, è caduta e ha riportato diverse ferite. Questa è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso e l'assessore ha spiegato i provvedimenti che intende mettere in atto.
GRAVE OSTACOLO.
«L’accattonaggio non è un reato - ha spiegato l’assessore comunale alla sicurezza Graziano Cioni - ma i mendicanti distesi per terra sono un grave ostacolo. Non stiamo pensando a un’ordinanza, come quella che ha bloccato i lavavetri, ma a un nuovo regolamento della polizia municipale che preveda anche nuove norme sul fenomeno e che dovrà poi essere approvata dal Consiglio». Cioni non parla apertamente di racket dell’elemosina, ma fa intuire che dietro al fenomeno qualcosa ci sia. «Quando vediamo questi mendicanti stesi tutto il giorno nelle strade principali del centro storico - dice l’ assessore - pensiamo quantomeno a uno sfruttamento ignobile: l’accattonaggio individuale è una cosa, ma le sue forme organizzate sono una storia diversa». Il nuovo regolamento, quindi «dovrà prevedere delle modalità per contrastare chi chiede l’elemosina intralciando i pedoni». Nel nuovo regolamento ci saranno anche altre misure. «Vorremmo proibire ai turisti - ha spiegato Cioni - di toccare la porta del Battistero. Sono norme di convivenza civile in una città che vuole essere civile».
LE REAZIONI. «La bozza del nuovo regolamento della polizia municipale di Firenze contro i mendicanti è una vera e propria vergogna. Se questa è la politica della solidarietà del Pd c'è davvero da piangere». A dirlo, il capogruppo dei Verdi-Sinistra Arcobaleno alla Camera Angelo Bonelli, secondo il quale «nemmeno la Lega di Bossi ha mai osato fare una simile proposta». Mentre per Achille Serra, ex prefetto di Firenze e candidato alle elezioni per il Pd nel collegio Toscana, il provvedimento è giusto e ben fatto: «Penso che tutti i comuni dovrebbero adottare questo regolamento... non si tratta di contrapporsi agli emarginati ma di rendere la città accettabile. Le città sono l'immagine del nostro Paese». «Codificare e multare un comportamento come quello del mendicante sdraiato sui marciapiedi ci sembra esagerato». È questo il commento del presidente dell’Arci di Firenze, Francesca Chiavacci, all’idea lanciata dall’assessore Graziano Cioni. «La convivenza civile non si può costruire con le multe quando si ha a che fare con le povertà, se un racket esiste ribadiamo quanto dicemmo in occasione dell’ordinanza anti-lavavetri: intervengano le autorità competenti». «Visto che oggi è il primo di aprile credo ci sia il fondato motivo di pensare che si tratti di uno scherzo». Commenta così, Gabriele Toccafondi candidato alla Camera dei deputati per il Pdl, la notizia che l’amministrazione comunale di Firenze sta pensando ad un regolamento anti accattonaggio. «Mi sembra paradossale - prosegue Toccafondi - che ci sia bisogno di un regolamento nuovo per non consentire ad una persona che chiede l’elemosina o meno, di intralciare il passaggio pedonale con possibilità di arrecare danni ai pedoni. Per questo spero ancora in uno scherzo».
LA SIGNORA Rita, 56 anni, fa la centralinista ed è cieca. Venerdì, all'angolo di piazza del Duomo, è inciampata su un mendicante sdraiato per terra. E' caduta e si è sfracellata la bocca, ha perso il bastone, quello che usa per camminare, per farsi strada tra la gente. in via Calzaiuoli è stata soccorsa da una pattuglia di poliziotti. Sabato, Rita ha fatto denuncia ai vigili urbani ma il mendicante era di nuovo al suo posto. Ha fatto un vero e proprio appello all'assessore Cioni: «Forse gli amministratori non si rendono conto di come un cartello stradale messo male o un mendicante steso per terra o le biciclette sui marciapiedi, possano essere delle vere e proprie trappole per i disabili, in particolare per chi non vede».
02 aprile 2008
mercoledì 2 aprile 2008
Storie come altre.....
MILANO (29/02/2008)
L’unica cosa che aveva, di Silvia, era la sua foto da piccolina. Custodita nel portafoglio, che serviva solo per quello, per racchiuderci la foto di Silvia. Di soldi, Marco Faggionato, 52 anni, quattordici passati in strada, non ne aveva quella triste notte, quando due uomini, forse più disperati di lui, sul vagone abbandonato della stazione Centrale dove dormiva, lo hanno aggredito, gli hanno preso il portafoglio e, non trovandci denaro, hanno stracciato l’unica cosa che conteneva, il tesoro più prezioso: la foto della sua bambina.
L'ALCOL LA SUA ROVINA
Gli occhi azzurri, velati di tristezza, il fare rumoroso e forzatamente allegro. La vita di Marco è tutta qui, nella sede dell’Sos stazione Centrale, l’associazione di volontari che dal ’90 dà una mano a chi non ha nulla. E che ha aiutato anche lui. Marco Faggionato, da quasi cinque anni, per strada non ci vive più, ha una casa, trenta metri quadri assegnati nel 2003 in un palazzo popolare della zona via Padova, ma sul suo viso sono incisi, tra le rughe profonde, anni di solitudine e paura.
È finito per strada quando aveva trent’anni. Sua moglie, dopo sei anni di matrimonio, gli ha fatto trovare le valigie stanca di vederlo tutte le sere ubriaco sul divano. «Bevevo parecchio - confessa Marco - ma non ho mai alzato un dito né su mia moglie né su mia figlia». Silvia. Che, all’epoca, aveva solo tre anni. Marco lavorava come piastrellista, ma a rubargli il lavoro a poco a poco ci ha pensato una bottiglia di cognac: «Bevevo ogni giorno sempre di più - dice - quando mia moglie mi ha cacciato sono venuto alla stazione con un sacco a pelo e una bottiglia».
LA FOTO STRACCIATA
I vagoni vuoti dei treni abbandonati o gli angoli, tra giornali e cartoni, di via Sammartini, magari sotto un balcone, erano il suo rifugio, il più possibile lontano da tutti, anche dagli altri barboni: «Perché per strada - spiega con amarezza - non ci si può fidare di nessuno: prima bevi insieme qualche bicchiere e poi ti portano via tutto». Come quella notte d’inverno, quando è stato aggredito: «Erano in due, mi hanno svegliato - ricorda Marco - mi hanno preso il portafoglio, ma dentro non c’era nulla, solo la foto di mia figlia. E me l’hanno strappata».
Un velo umido attraversa i suoi occhi quando parla di lei, di Silvia, che oggi ha 27 anni e ha preso la laurea. È per lei che, dopo anni trascorsi entrando e uscendo dagli ospedali, ha deciso di cominciare a smettere. E, per farlo, ha cominciato a scrivere poesie. «Invece di entrare in un bar, mi sedevo su una banchina e scrivevo», racconta.
POESIE PER SILVIA
Oggi non beve quasi più, le sue poesie sono state raccolte in un libro, ha vinto quattro concorsi letterari e finalmente ha un tetto sotto il quale dormire. Ma non c’è pace nel suo cuore. Il ricordo di ciò che poteva essere lo tormenta: «Avrei voluto essere un buon padre per la mia Silvia, ma non ce l’ho fatta - sussurra con un filo di voce - non la vedo più da quel giorno di 24 anni fa, quando me ne sono andato. Ho tentato di incontrala, ma lei è scappata, si vergogna. Vorrei poterci parlare, solo per un attimo, abbracciarla, dirle che un’anima ce l’ho anch’io, che è tutta qui, in queste poesie, nelle poesie che ho scritto per lei».
Sandra De Marco
L’unica cosa che aveva, di Silvia, era la sua foto da piccolina. Custodita nel portafoglio, che serviva solo per quello, per racchiuderci la foto di Silvia. Di soldi, Marco Faggionato, 52 anni, quattordici passati in strada, non ne aveva quella triste notte, quando due uomini, forse più disperati di lui, sul vagone abbandonato della stazione Centrale dove dormiva, lo hanno aggredito, gli hanno preso il portafoglio e, non trovandci denaro, hanno stracciato l’unica cosa che conteneva, il tesoro più prezioso: la foto della sua bambina.
L'ALCOL LA SUA ROVINA
Gli occhi azzurri, velati di tristezza, il fare rumoroso e forzatamente allegro. La vita di Marco è tutta qui, nella sede dell’Sos stazione Centrale, l’associazione di volontari che dal ’90 dà una mano a chi non ha nulla. E che ha aiutato anche lui. Marco Faggionato, da quasi cinque anni, per strada non ci vive più, ha una casa, trenta metri quadri assegnati nel 2003 in un palazzo popolare della zona via Padova, ma sul suo viso sono incisi, tra le rughe profonde, anni di solitudine e paura.
È finito per strada quando aveva trent’anni. Sua moglie, dopo sei anni di matrimonio, gli ha fatto trovare le valigie stanca di vederlo tutte le sere ubriaco sul divano. «Bevevo parecchio - confessa Marco - ma non ho mai alzato un dito né su mia moglie né su mia figlia». Silvia. Che, all’epoca, aveva solo tre anni. Marco lavorava come piastrellista, ma a rubargli il lavoro a poco a poco ci ha pensato una bottiglia di cognac: «Bevevo ogni giorno sempre di più - dice - quando mia moglie mi ha cacciato sono venuto alla stazione con un sacco a pelo e una bottiglia».
LA FOTO STRACCIATA
I vagoni vuoti dei treni abbandonati o gli angoli, tra giornali e cartoni, di via Sammartini, magari sotto un balcone, erano il suo rifugio, il più possibile lontano da tutti, anche dagli altri barboni: «Perché per strada - spiega con amarezza - non ci si può fidare di nessuno: prima bevi insieme qualche bicchiere e poi ti portano via tutto». Come quella notte d’inverno, quando è stato aggredito: «Erano in due, mi hanno svegliato - ricorda Marco - mi hanno preso il portafoglio, ma dentro non c’era nulla, solo la foto di mia figlia. E me l’hanno strappata».
Un velo umido attraversa i suoi occhi quando parla di lei, di Silvia, che oggi ha 27 anni e ha preso la laurea. È per lei che, dopo anni trascorsi entrando e uscendo dagli ospedali, ha deciso di cominciare a smettere. E, per farlo, ha cominciato a scrivere poesie. «Invece di entrare in un bar, mi sedevo su una banchina e scrivevo», racconta.
POESIE PER SILVIA
Oggi non beve quasi più, le sue poesie sono state raccolte in un libro, ha vinto quattro concorsi letterari e finalmente ha un tetto sotto il quale dormire. Ma non c’è pace nel suo cuore. Il ricordo di ciò che poteva essere lo tormenta: «Avrei voluto essere un buon padre per la mia Silvia, ma non ce l’ho fatta - sussurra con un filo di voce - non la vedo più da quel giorno di 24 anni fa, quando me ne sono andato. Ho tentato di incontrala, ma lei è scappata, si vergogna. Vorrei poterci parlare, solo per un attimo, abbracciarla, dirle che un’anima ce l’ho anch’io, che è tutta qui, in queste poesie, nelle poesie che ho scritto per lei».
Sandra De Marco
lunedì 31 marzo 2008
Vivere (e morire) da barbone
Un inciampo, una fatalità e tutto si trasforma, l'esistenza deraglia
Storie di senzatetto fra vecchie coperte distese sui marciapiedi e mille rimpianti
di FABRIZIO RAVELLI
Vivere (e morire) da barboneQuando la vita ti butta sulla strada"
GIANNI LA SCIARPA a disegni Burberry se l'arrotola bene intorno al collo, poi infila il cappotto blu che sarebbe anche elegante, blu anche il berretto di panno a visiera tipo lupo di mare. Ha due borse, una 48 ore nera e una sacca grigia. Scarpe nere moderne. La vestizione è alle cinque e mezza della mattina, nella sala d'aspetto della stazione ferroviaria di Greco-Pirelli. "Prima sistemo le mie cose. Ho i cartoni sotto, poi una coperta, e il sacco a pelo. Piego tutto, e metto dietro la panchina di fuori. Fanno tutti così, nessuno tocca niente. Se posso, faccio colazione, sennò salto". Poi si avvia verso la sua giornata, e sembra un viaggiatore in arrivo. "Certo io non mi sento un barbone. Non ho fatto questa scelta". Diventare barbone è un attimo, un inciampo, una fatalità. Brutta parola barbone, ce ne sono di più corrette: va molto clochard, elegante, o senzacasa, senzadimora. Gianni ha 57 anni, nato a Ragusa. Da tre anni vive per strada. Non si sente un barbone, ma ha grande solidarietà e rispetto per i suoi compagni di vita. Il suo amico Daniele, per esempio, 51 anni, droga e galera alle spalle, senza casa da una vita. Magro, piccolo, e tossisce di continuo in questa mattinata di neve. "Daniele, bisogna che ti curi, che vai dal medico". L'altro scuote le spalle e tossisce. "Testa dura di un valtellinese, hai fatto la broncopolmonite anche l'anno scorso". L'inciampo di Gianni, quello che l'ha fatto deragliare, è stata una malattia: "Epatite B, quando me l'hanno trovata ho perso il posto. Ero chef sulle navi da crociera della Festival Cruise, in Oriente". E poi un furto: "Sono tornato in Italia, e a Roma mi hanno rubato la 24 ore. Dentro c'era il mio passaporto, e c'era la protesi. Sì, la dentiera. Era il 2004. Siccome ero residente nelle Filippine, là avevo moglie e due figlie, ci hanno messo un anno per ridarmi il passaporto, un calvario. Da allora sto per strada. Senza dentiera, nessuno mi dà un lavoro. Lo vedi? Mi restano solo questi tre denti davanti. Ho fatto dieci colloqui, ma mi guardano in bocca e dicono di no".
Gianni parla sei lingue: "Quattro parlate e scritte: inglese, francese, tedesco, spagnolo. Due solo parlate: cinese e giapponese". Nel suo italiano c'è traccia di pronuncia inglese. Ha girato il mondo. In borsa ha un curriculum che comincia nel '63, scuola alberghiera Tre Stelle di Stresa e finisce sulla motonave Flamingo, Festival Cruise Line. In mezzo, quattro diplomi in Food and Beverage Management, e tredici posti di lavoro: hotel, ristoranti, navi, in tutto il mondo. Ha una domanda di impiego in inglese, ("applicazione", dice traducendo), con tanto di indirizzo e-mail e cellulare ("Usato, me l'ha regalato una suora amica mia"). Il suo indirizzo è quello del Centro Sos, comunità Exodus di don Mazzi: "Ci vado spesso, si possono vedere gli amici e fare quattro chiacchiere, e c'è da leggere". A cento metri dal Grand Hotel Gallia, dove Gianni è stato assistente chef nel '74-'75. La sua giornata è questa: "Mi alzo alle cinque e mezza. C'è anche chi dorme fino alle sette, ma io lo faccio per rispetto dei viaggiatori. Dobbiamo liberare la sala. Adesso siamo otto singoli e due coppie. La sala è riscaldata, ci lasciano stare, e nessuno fa casino o si ubriaca". Prende su le sue borse, e si incammina verso la fermata dell'81. "Vedi, il mio segreto è questo: io faccio come se dovessi lavorare, come se avessi sempre un'occupazione. Vivo di espedienti, sì. Però non rubo, e non chiedo l'elemosina per strada. Per me è una questione di orgoglio personale". Si arrabatta: "Ho chiesto il sussidio del Comune, ma dicono sempre che si deve riunire la commissione. Conosco qualche prete e qualche vescovo, che a volte mi allungano dei soldi. Io non sono insistente, non assillo la gente. So stare al mondo, e sono gentile". Con le sue borse, come un viaggiatore. Basta non sentirsi un barbone. "Per mangiare, faccio così. Per esempio: il mercoledì sera alle nove, davanti alla stazione di Porta Garibaldi, viene il furgone di Sant'Egidio con del cibo caldo. Io e Daniele prendiamo il treno delle 20,58 da Greco a Garibaldi". In borsa ha la guida della Comunità di Sant'Egidio "Milano, dove mangiare, dormire, lavarsi". C'è tutto, ci sono anche gli ambulatori dove Daniele non vuole andare. Lui non dorme in stazione: "Mai stato in un dormitorio. Voglio stare da solo. Poi c'è quello che puzza, quello che non ha rispetto. E io ho un cattivo carattere". Poi ci porta a vedere "casa sua". Non l'ha mai mostrata nemmeno a Gianni. Sotto la neve, in mezzo a questa nuova Milano della Bicocca, il teatro degli Arcimboldi, l'università e i palazzoni disegnati da Gregotti, il "Caffè Harry's Scala". Daniele sta su un pianerottolo, al livello 2 del posteggio sotterraneo, aperto al gelo. Una coperta stesa in verticale a far da muro. Sacchi a pelo, coperte, borse, scarpe, tre lumini da camposanto: "Io qui non sento nemmeno l'umidità". E tossisce. Il suo amico Enzo, titolare del secondo sacco a pelo, è in giro. C'era Donatella, ora è a Bologna. Lì sotto il tunnel del tram c'è altra gente: "Come quei due ragazzi poveri, Antonio e Ludmilla, e i loro cani, vivono in una tenda". Casa sua Daniele la tiene mezza segreta, "perché mi hanno insegnato che si fa così, non si sa mai". Daniele si arrabbia se lo chiamano barbone "con superiorità", ma ha una sua filosofia della strada: "Il vero barbone è quello che non chiede niente, che fruga nei cestini e fuma i muccetti". Lui, che ha un sussidio di 160 euro al mese dal Comune, non vede che strada nel suo futuro. Gianni è amico suo, divide con lui anche un pasto completo 6 euro alla trattoria di via Breda: "Gestiscono dei cinesi, sono gentili, e quando ho qualche soldo ci vado". Ma per lui la strada è provvisoria, dice: "C'è chi l'ha scelta e chi non l'ha scelta. Chi l'ha scelta è diverso da me. Io mi curo esteriormente e interiormente, per essere una persona normale. Su tanti argomenti ho cultura, so fare discorsi. Potrei lavorare ancora qualche anno, se trovassi". Già, la dentiera, sempre lì torna. "Ho questo preventivo, fatto dal dentista di fiducia di un amico vescovo: 3.600 euro. E come faccio? Mi sono informato: in Ungheria costa meno. Il viaggio 580 e la protesi 1.300 circa". A questo pensa, marciando con le borse per la sua Milano di mense religiose, centri di assistenza, bagni pubblici: "Vado in quello di via Pucci, 50 centesimi e ti danno anche l'asciugamano". Su e giù da tram e autobus. A pranzo da suor Carmela in via Ponzio: "La 90 fino a piazza Piola, poi la 93". A cena dai francescani di viale Piave, oppure il tè e le brioche della Croce Rossa a Greco. Daniele prendeva anche l'Intercity, due fermate, per mangiare a Pavia: "Il primo potevi mangiarlo anche tre o quattro volte, roba buona. Ma era troppo uno sbattimento". E Gianni, che non si sente un barbone, lo accudisce come un fratello maggiore. Poi dà una mano al dopolavoro ferrovieri, sportello d'ascolto sotto la massicciata della stazione Centrale: "Abbiamo appena organizzato il Capodanno della solidarietà, 1200 pasti". Mimmo Vastola, il responsabile, ha un solo sogno: "Che restiamo disoccupati, nel senso che non ci sono più emarginati da assistere. Ci vorrebbero soluzioni vere. E invece i senza casa aumentano". A Milano c'è un esercito di gente che si dedica a loro, fra laici e religiosi. In questi giorni di neve e gelo, distribuiscono anche coperte e sacchi a pelo. Gianni aspetta solo che finisca, questa sua vita di strada: "Ho tre mesi, fino a marzo, per risolvere il problema della dentiera. Perché poi ci sono gli ingaggi sulle navi, sono pronto a partire per il mondo". Nelle Filippine ha due figlie, ospiti delle suore. La moglie è morta nell'alluvione del 2002. "Ogni tanto telefono, se ho abbastanza soldi". Intanto, c'è da badare a quegli altri: "Hassan il marocchino, anche lui dorme con me a Greco: bravo ragazzo, con un caffè lo fai felice. Al bar, ogni sera ci regalano quello che è avanzato: brioche o panini". Aspetta anche che finisca l'inverno: "D'estate vado in Toscana, ho degli amici che mi aiutano". Liscia il cappotto blu, sistema la sciarpa, saluta gli amici della "sala". Non sentirsi un barbone è già qualcosa. Se poi ci fosse anche una dentiera, per ricominciare la sua vita deragliata, sarebbe tutto a posto.
La Repubblica 4 gennaio 2008
Storie di senzatetto fra vecchie coperte distese sui marciapiedi e mille rimpianti
di FABRIZIO RAVELLI
Vivere (e morire) da barboneQuando la vita ti butta sulla strada"
GIANNI LA SCIARPA a disegni Burberry se l'arrotola bene intorno al collo, poi infila il cappotto blu che sarebbe anche elegante, blu anche il berretto di panno a visiera tipo lupo di mare. Ha due borse, una 48 ore nera e una sacca grigia. Scarpe nere moderne. La vestizione è alle cinque e mezza della mattina, nella sala d'aspetto della stazione ferroviaria di Greco-Pirelli. "Prima sistemo le mie cose. Ho i cartoni sotto, poi una coperta, e il sacco a pelo. Piego tutto, e metto dietro la panchina di fuori. Fanno tutti così, nessuno tocca niente. Se posso, faccio colazione, sennò salto". Poi si avvia verso la sua giornata, e sembra un viaggiatore in arrivo. "Certo io non mi sento un barbone. Non ho fatto questa scelta". Diventare barbone è un attimo, un inciampo, una fatalità. Brutta parola barbone, ce ne sono di più corrette: va molto clochard, elegante, o senzacasa, senzadimora. Gianni ha 57 anni, nato a Ragusa. Da tre anni vive per strada. Non si sente un barbone, ma ha grande solidarietà e rispetto per i suoi compagni di vita. Il suo amico Daniele, per esempio, 51 anni, droga e galera alle spalle, senza casa da una vita. Magro, piccolo, e tossisce di continuo in questa mattinata di neve. "Daniele, bisogna che ti curi, che vai dal medico". L'altro scuote le spalle e tossisce. "Testa dura di un valtellinese, hai fatto la broncopolmonite anche l'anno scorso". L'inciampo di Gianni, quello che l'ha fatto deragliare, è stata una malattia: "Epatite B, quando me l'hanno trovata ho perso il posto. Ero chef sulle navi da crociera della Festival Cruise, in Oriente". E poi un furto: "Sono tornato in Italia, e a Roma mi hanno rubato la 24 ore. Dentro c'era il mio passaporto, e c'era la protesi. Sì, la dentiera. Era il 2004. Siccome ero residente nelle Filippine, là avevo moglie e due figlie, ci hanno messo un anno per ridarmi il passaporto, un calvario. Da allora sto per strada. Senza dentiera, nessuno mi dà un lavoro. Lo vedi? Mi restano solo questi tre denti davanti. Ho fatto dieci colloqui, ma mi guardano in bocca e dicono di no".
Gianni parla sei lingue: "Quattro parlate e scritte: inglese, francese, tedesco, spagnolo. Due solo parlate: cinese e giapponese". Nel suo italiano c'è traccia di pronuncia inglese. Ha girato il mondo. In borsa ha un curriculum che comincia nel '63, scuola alberghiera Tre Stelle di Stresa e finisce sulla motonave Flamingo, Festival Cruise Line. In mezzo, quattro diplomi in Food and Beverage Management, e tredici posti di lavoro: hotel, ristoranti, navi, in tutto il mondo. Ha una domanda di impiego in inglese, ("applicazione", dice traducendo), con tanto di indirizzo e-mail e cellulare ("Usato, me l'ha regalato una suora amica mia"). Il suo indirizzo è quello del Centro Sos, comunità Exodus di don Mazzi: "Ci vado spesso, si possono vedere gli amici e fare quattro chiacchiere, e c'è da leggere". A cento metri dal Grand Hotel Gallia, dove Gianni è stato assistente chef nel '74-'75. La sua giornata è questa: "Mi alzo alle cinque e mezza. C'è anche chi dorme fino alle sette, ma io lo faccio per rispetto dei viaggiatori. Dobbiamo liberare la sala. Adesso siamo otto singoli e due coppie. La sala è riscaldata, ci lasciano stare, e nessuno fa casino o si ubriaca". Prende su le sue borse, e si incammina verso la fermata dell'81. "Vedi, il mio segreto è questo: io faccio come se dovessi lavorare, come se avessi sempre un'occupazione. Vivo di espedienti, sì. Però non rubo, e non chiedo l'elemosina per strada. Per me è una questione di orgoglio personale". Si arrabatta: "Ho chiesto il sussidio del Comune, ma dicono sempre che si deve riunire la commissione. Conosco qualche prete e qualche vescovo, che a volte mi allungano dei soldi. Io non sono insistente, non assillo la gente. So stare al mondo, e sono gentile". Con le sue borse, come un viaggiatore. Basta non sentirsi un barbone. "Per mangiare, faccio così. Per esempio: il mercoledì sera alle nove, davanti alla stazione di Porta Garibaldi, viene il furgone di Sant'Egidio con del cibo caldo. Io e Daniele prendiamo il treno delle 20,58 da Greco a Garibaldi". In borsa ha la guida della Comunità di Sant'Egidio "Milano, dove mangiare, dormire, lavarsi". C'è tutto, ci sono anche gli ambulatori dove Daniele non vuole andare. Lui non dorme in stazione: "Mai stato in un dormitorio. Voglio stare da solo. Poi c'è quello che puzza, quello che non ha rispetto. E io ho un cattivo carattere". Poi ci porta a vedere "casa sua". Non l'ha mai mostrata nemmeno a Gianni. Sotto la neve, in mezzo a questa nuova Milano della Bicocca, il teatro degli Arcimboldi, l'università e i palazzoni disegnati da Gregotti, il "Caffè Harry's Scala". Daniele sta su un pianerottolo, al livello 2 del posteggio sotterraneo, aperto al gelo. Una coperta stesa in verticale a far da muro. Sacchi a pelo, coperte, borse, scarpe, tre lumini da camposanto: "Io qui non sento nemmeno l'umidità". E tossisce. Il suo amico Enzo, titolare del secondo sacco a pelo, è in giro. C'era Donatella, ora è a Bologna. Lì sotto il tunnel del tram c'è altra gente: "Come quei due ragazzi poveri, Antonio e Ludmilla, e i loro cani, vivono in una tenda". Casa sua Daniele la tiene mezza segreta, "perché mi hanno insegnato che si fa così, non si sa mai". Daniele si arrabbia se lo chiamano barbone "con superiorità", ma ha una sua filosofia della strada: "Il vero barbone è quello che non chiede niente, che fruga nei cestini e fuma i muccetti". Lui, che ha un sussidio di 160 euro al mese dal Comune, non vede che strada nel suo futuro. Gianni è amico suo, divide con lui anche un pasto completo 6 euro alla trattoria di via Breda: "Gestiscono dei cinesi, sono gentili, e quando ho qualche soldo ci vado". Ma per lui la strada è provvisoria, dice: "C'è chi l'ha scelta e chi non l'ha scelta. Chi l'ha scelta è diverso da me. Io mi curo esteriormente e interiormente, per essere una persona normale. Su tanti argomenti ho cultura, so fare discorsi. Potrei lavorare ancora qualche anno, se trovassi". Già, la dentiera, sempre lì torna. "Ho questo preventivo, fatto dal dentista di fiducia di un amico vescovo: 3.600 euro. E come faccio? Mi sono informato: in Ungheria costa meno. Il viaggio 580 e la protesi 1.300 circa". A questo pensa, marciando con le borse per la sua Milano di mense religiose, centri di assistenza, bagni pubblici: "Vado in quello di via Pucci, 50 centesimi e ti danno anche l'asciugamano". Su e giù da tram e autobus. A pranzo da suor Carmela in via Ponzio: "La 90 fino a piazza Piola, poi la 93". A cena dai francescani di viale Piave, oppure il tè e le brioche della Croce Rossa a Greco. Daniele prendeva anche l'Intercity, due fermate, per mangiare a Pavia: "Il primo potevi mangiarlo anche tre o quattro volte, roba buona. Ma era troppo uno sbattimento". E Gianni, che non si sente un barbone, lo accudisce come un fratello maggiore. Poi dà una mano al dopolavoro ferrovieri, sportello d'ascolto sotto la massicciata della stazione Centrale: "Abbiamo appena organizzato il Capodanno della solidarietà, 1200 pasti". Mimmo Vastola, il responsabile, ha un solo sogno: "Che restiamo disoccupati, nel senso che non ci sono più emarginati da assistere. Ci vorrebbero soluzioni vere. E invece i senza casa aumentano". A Milano c'è un esercito di gente che si dedica a loro, fra laici e religiosi. In questi giorni di neve e gelo, distribuiscono anche coperte e sacchi a pelo. Gianni aspetta solo che finisca, questa sua vita di strada: "Ho tre mesi, fino a marzo, per risolvere il problema della dentiera. Perché poi ci sono gli ingaggi sulle navi, sono pronto a partire per il mondo". Nelle Filippine ha due figlie, ospiti delle suore. La moglie è morta nell'alluvione del 2002. "Ogni tanto telefono, se ho abbastanza soldi". Intanto, c'è da badare a quegli altri: "Hassan il marocchino, anche lui dorme con me a Greco: bravo ragazzo, con un caffè lo fai felice. Al bar, ogni sera ci regalano quello che è avanzato: brioche o panini". Aspetta anche che finisca l'inverno: "D'estate vado in Toscana, ho degli amici che mi aiutano". Liscia il cappotto blu, sistema la sciarpa, saluta gli amici della "sala". Non sentirsi un barbone è già qualcosa. Se poi ci fosse anche una dentiera, per ricominciare la sua vita deragliata, sarebbe tutto a posto.
La Repubblica 4 gennaio 2008
venerdì 28 marzo 2008
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